Alla fine, anche la COP24 è giunta al termine. Tutti contenti e pronti a farsi fotografare sorridenti al termine dei lavori (che si sono protratti più del previsto). La segretaria esecutiva dell’Unfccc, Patricia Espinosa, gongola: “Katowice ha dimostrato ancora una volta la resilienza dell’Accordo di Parigi, la nostra solida roadmap per l’azione climatica”. Una road map che dovrebbe essere contenuta nel documento finale, il “pacchetto” di linee guida che, almeno sulla carta, dovrebbe incoraggiare una maggiore ambizione di azione per il clima. Tra le componenti chiave del “pacchetto Katowice” come è stato chiamato il documento finale una particolare per la trasparenza e per promuovere la fiducia tra i vari paesi sul fatto che tutti stanno facendo la propria parte per ridurre i cambiamenti climatici.
Ma se i risultati sono così positivi come vorrebbero far credere molti (inclusi molti giornali), come mai il segretario generale dell’Onu António Guterres, nelle ultime due settimane, ha dovuto fare avanti e indietro da Katowice per evitare che i negoziati fallissero. E come mai alla fine ha dichiarato Failing to agree climate action would ‘not only be immoral’ but ‘suicidal’? É con queste parole che il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres ha riconosciuto quello che è un vero fallimento nel cammino verso la limitazione delle emissioni di CO2 e l’aumento delle temperature medie globali. Questa volta, però, Guterres è andato oltre: ad essere a rischio è la sopravvivenza stessa del genere umano.
Molti restano i temi chiave irrisolti. Nei giorni scorsi, i paesi più sviluppati e maggiori responsabili dell’innalzamento delle temperature hanno mostrato di non essere disposti a fare granchè. Già detto di paesi come gli USA (con il cambio di rotta dopo Obama), la Cina o l’India (paesi ancora in via di sviluppo – ma basta questo a consentire loro di inquinare come stanno facendo?), e la Russia che in silenzio si è unita al gruppo dei grandi inquinatori non disposti a fare molto, da qualche mese anche molti paesi europei sembra si stiano tirando indietro. Dopo molti dei paesi dell’Europa orientale che lo hanno detto da subito, ora a loro si sono aggiunti anche quelli che, solo poche settimane fa, sembravano poter diventare i nuovi paladini della salvaguardia dell’ambiente.
Come il Regno Unito, distratto dai problemi interni della premier May. O l’Italia, al lavoro con la diatriba con la Commissione europea sulla manovra finanziaria sulla manovra finanziaria. E poi la Germania: ben tre regioni della Germania orientale sono ancora in larga misura dipendenti dal carbone e, per questo, hanno chiesto esplicitamente di rinviare le misure. Per una volta la Germania non è riuscita a fare la prima della classe e si è presentata a mani vuote alla COP24.
E poi la Francia, in questi giorni costretta a fare un passo indietro sulle misure a favore dell’ambiente per venire incontro alle pressioni dei gilet gialli (Macron ha tagliato le misure che prevedevano l’aumento delle accise sui combustibili fossili). Un passo indietro contro un’economia verde che è costato al presidente Macron anche gli sberleffi del presidente americano Donald Trump con il tweet: “Giorno e notte molto tristi a Parigi, forse è il momento di porre fine al ridicolo ed estremamente costoso accordo di Parigi, e restituire i soldi alle persone sotto forma di tasse più basse. Gli Stati Uniti sono stati molto avanti e siamo l’unico grande paese in cui le emissioni sono diminuite lo scorso anno”.
Sembrano lontani i tempi in cui tutti questi paesi lottavano (o almeno fingevano di farlo) contro i cambiamenti climatici: nel 1992 il Vertice sulla Terra, organizzato dall’Onu a Rio de Janeiro, portò al primo trattato per la riduzione dei gas serra, firmato da 197 paesi. Entrò in vigore nel 1994. Fu allora che iniziarono le conferenza mondiali sul clima (le COP). Anche queste ora rischiano di essere vanificate: nel documento finale della COP24 che contiene le indicazioni per i paesi sottoscrittori per il prossimo anno, sembrano essere spariti gli allarmi contenuti nel rapporto dell’Ipcc (l’Ipcc è citato solo come richiamo generico). E senza questa base scientifica, il rulebook, le regole per i paesi da qui alla prossima COP, la 25, sembrano prive di significato.
Pochi hanno notato che il documento finale approvato alla COP24 manca di una parte fondamentale ovvero l’accordo sull’articolo 6 dell’Accordo siglato a Parigi in occasione della COP21 che riguarda ai “meccanismi di mercato” ovvero quegli strumenti che consentono ai vari paesi di soddisfare una parte dei loro obiettivi di mitigazione nazionali. Una questione spinosa e fondamentale ma che i partecipanti alla COP24 hanno deciso di rimandare. Eppure è proprio questa misura che dovrebbe regolamentare i “mercati del carbonio” – o “scambio di emissioni di carbonio” – che consentono ai Paesi di scambiare le loro quote di emissioni. Di fatto, anche se tutti i maggiori media da anni fanno finta di non saperlo, è proprio grazie al fenomeno della “compensazione” che la maggior parte dei paesi più sviluppati possono continuare ad inquinare più di quanto dovrebbero. “Compensare” significa bilanciare la quantità di CO2 emessa attraverso interventi di forestazione oppure impiegando fonti rinnovabili oppure compensando le maggiori emissioni con l’impegno di altri paesi ad emettere di meno. Si tratta di scambi che ormai generano “crediti di emissione” che vengono venduti sul mercato volontario. Chi vuole compensare le emissioni, può acquistare questi crediti chiamati Certificati di Riduzione delle Emissioni (CERs) e in tal modo co-finanziare gli interventi con la garanzia che ogni credito acquistato corrisponda a una tonnellata assorbita o evitata. Un giro d’affari miliardario che va avanti da anni senza che nessuno ne parli. Il Clean Developement Mechanism, Meccanismo di Sviluppo Pulito, nato sotto l’egida dell’ONU, nato in seno al Protocollo di Kyoto che avrebbe dovuto essere contenuto nelle regole per mettere in atto l’articolo 6 dell’accordo di Parigi. Peccato, però, che i partecipanti alla COP24 abbiano casualmente dimenticato di inserirlo nel documento finale!
Al termine del suo intervento alla Cop24 il ministro dell’ambiente delle Maldive, Hussain Hassan, ha chiesto ai ministri presenti in plenaria di alzarsi in piedi: “Non c’è tempo da perdere – ha detto – rimaniamo in piedi per alcuni secondi per pensare a cosa accadrà se non riusciremo a salvare il Pianeta”.
Il punto fondamentale è che ad essere in gioco non è la sopravvivenza della Terra, ma dell’uomo. È questo l’aspetto fondamentale che i leader dei paesi, o meglio i loro delegati alla COP24, non sembrano aver capito: questi accordi non servono a migliorare l’ambiente, ma a realizzare iniziative che permettano all’uomo di continuare a vivere e a farlo come viviamo oggi.
Una mancanza di lungimiranza che potrebbe avere conseguenze pesanti sulla sopravvivenza stessa del genere umano. Quello che Guterres ha definito un suicidio.