Precisamente un mese dopo la morte di Jamal Khashoggi, corrispondente del Washington Post, entrato e mai uscito dall’ambasciata dell’Arabia Saudita di Istanbul lo scorso 2 Ottobre, le Nazioni Unite si riuniscono nell’International Day to End Impunity for Crimes Against Journalists. La giornata internazionale per terminare l’impunità dei crimini contro i giornalisti, nel contesto di questi ultimi mesi del 2018, assume una fisionomia particolare.
La morte di Khashoggi, infatti, fa da headline a una lunga lista di politiche che, ultimamente, vedono i giornalisti attaccati, per certi versi in maniera violenta e per altri vocale, dai governi stessi. Oggi, alla vigilia della giornata organizzata dall’UNESCO, un gruppo di esperti sui diritti umanitari eletti dall’ONU, ha rilasciato uno statement a condannare le basi concettuali sulle quali questi stessi attacchi sembrano basarsi. David Kaye, special rapporteur per la promozione e la protezione del diritto alla libertà d’opinion e espressione, Agnes Callamard, special rapporteur invece per i crimini umanitari, e Bernard Duhaime, chairman del gruppo che si occupa delle sparizioni involontarie, si uniscono nella propagazione di un messaggio contro la tossicità delle politiche spesso addottate contro la libertà di stampa.
“Queste ultime settimane hanno dimostrato, un’altra volta, la natura tossica e sproporzionata dell’incitamento politico contro i giornalisti. Urgiamo gli stati membri a intraprendere politiche che assicurino le giuste responsabilità criminali verso chi attacca i giornalisti, sia in maniera fisica che non”, racconta il loro comunicato. Proseguendo, il gruppo di esperti, che non ha paura di parlare della scomparsa di Khasoggi, sostiene che “l’unico modo per andare avanti è investigare a fondo il suo omicidio, riconosciuta da tutti gli stati membri dell’ONU. Qualsiasi cosa di meno renderebbe tutte le dichiarazioni politiche che promettono devozione alla sicurezza dei giornalisti delle ridicole sciocchezze”.
L’UNESCO, che organizza la giornata l’International Day to End Impunity for Crimes Against Journalists del 2 Novembre, ha rilasciato inoltre la seguente, incredibile pillola statistica: tra il 2006 e il 2017, più di 1,000 giornalisti sono stati uccisi per aver portato delle notizie al loro pubblico. Proviene proprio da qui l’idea che promossa dalla campagna che l’UNESCO accosta a questa giornata, intitolata #TruthNeverDies, mirata al riconoscere i rischi del giornalismo politico, ed a spingere varie associazioni mediatiche ad una tutela più completa del proprio capitale intellettuale ed investigativo.
Journalists are killed every day to silence the truth.
Share their stories to keep them alive.
Help make sure that #TruthNeverDies: https://t.co/AU2iFRdbpI via @UNESCO pic.twitter.com/PnX0DjqVrR
— United Nations Geneva (@UNGeneva) October 31, 2018
“Ogni anno, un giornalista riceve un Pulitzer, ma altri cento vengono sparati”, twitta la campagna social di #TruthNeverDies. Ogni giorno, giornalisti in tutto il mondo rischiano la vita per poter raccontare le loro storie. Condividere le loro storie, leggerle, immaginarle, capirle, ci aiuta a mantenerle vive. Condividendole, perdendoci nel loro interno, possiamo noi stessi crearne la propagazione, quell’effetto a goccia che più che ogni altra cosa sanno avere le storie. Non possiamo lasciare che la verità ci venga nascosta, specie se attraverso metodi violenti. Abbiamo un diritto alla verità, come i giornalisti hanno il diritto di raccontarcela. Se questa relazione si rompe, si rompe con lei la nostra sensazione della realtà. Rischiamo di perdere tatto con la realtà che ci circonda, e non possiamo, dunque, sorvolare le politiche e le azioni che silenziano le voci che ci raccontano la realtà.