Che la Libia non sia una priorità americana non è di certo una novità. Più di una volta ce ne siamo accorti: da quando, nella primavera 2016, l’amministrazione Obama richiamava l’Italia a un maggior attivismo nella regione, conferendole la “leadership” delle operazioni, fino a quando, l’anno successivo, Donald Trump “gelò” l’allora premier Paolo Gentiloni con una semplice e inappellabile constatazione: “Non vedo un ruolo degli Stati Uniti in Libia. Siamo troppo impegnati su altri fronti”.
Visti tali precedenti, dunque, non dovrebbe stupire più di tanto il fatto che, durante il press briefing di apertura della presidenza americana del Consiglio di Sicurezza, l’ambasciatrice americana all’ONU Nikki Haley, tra le tante priorità a stelle a strisce, non abbia mai nominato la Libia. Stupisce, al contrario, se si considerano gli scontri rinfocolatisi negli ultimi giorni tra le milizie attorno a Tripoli, e se si pensa che il premier italiano Giuseppe Conte e il presidente americano Donald Trump, da Washington, non più tardi di un mese fa parlarono esplicitamente di una “cabina di regia” condivisa sulla questione.
A nulla di tutto ciò, tuttavia, si è fatto cenno nel press briefing. Neppure da parte dei tanti giornalisti a cui è stato concesso di sottoporre le proprie domande (noi, purtroppo, non siamo stati tra questi). Tanta attenzione sull’Iran, sulla Siria, sulla Palestina e sul Myanmar; nulla sulla crisi che da ormai 7 anni si sviluppa alle porte del Mediterraneo. Non è chiaro, dunque, se quella “cabina di regia” condivisa con Trump verrà testata proprio in occasione di quest’ultimo acuirsi degli scontri nel Paese nordafricano.
Ciò non significa che la Libia sarà totalmente assente dall’agenda del Consiglio: la sua presenza, seppur modesta, è un’urgenza dettata dall’attualità. Domani, mercoledì 5 settembre, si terrà infatti un briefing dell’UNSMIL, la United Nations Support Mission in Libya, che ha seguito gli eventi recenti intorno a Tripoli e che, negli scorsi giorni, ha chiesto a tutte le parti coinvolte di cessare i combattimenti. Haley, peraltro, non parteciperà di persona al meeting: presiederà la riunione l’ambasciatore Jonathan Cohen. Proprio oggi, la missione UNSMIL ha annunciato il raggiungimento di un accordo sul cessate il fuoco firmato dal Governo di Accordo Nazionale, da comandanti militari, da apparati di sicurezza e da gruppi armati presenti intorno alla Capitale. E secondo quanto scrive su Facebook il sottosegretario al ministero degli Esteri italiano Manlio Di Stefano, tale risultato sarebbe stato raggiunto anche grazie all’impegno del presidente degli Stati Uniti: “Il nostro Governo è in contatto costante con l’Ambasciata italiana a Tripoli e grazie all’azione nostra insieme al rappresentante dell’ONU in Libia, Ghassan Salameh, e al sostegno di Donald J. Trump, questa mattina si è raggiunta una tregua sostanziale”, ha infatti dichiarato.
Ma oltre a quella di domani, mai citata da Haley nella conferenza stampa, nessun altra riunione sulla Libia sembra essere in calendario nel mese di settembre, salvo modifiche dell’ultimo minuto. Un mese, ha detto Haley, “particolarmente pieno”, anche perché il 25 avrà inizio l’high-level General Debate dell’Assemblea Generale, in occasione del quale Donald Trump sarà chiamato a presiedere il Consiglio di Sicurezza. In quella sede, ha puntualizzato la rappresentante USA, saranno ancora più chiare le priorità che gli Stati Uniti porranno all’attenzione della comunità internazionale.
Priorità che, secondo quanto sintetizzato dall’Ambasciatrice, vanno dalla lotta alla corruzione (che è “causa di conflitti”, ha spiegato, un debutto del tema in Consiglio di Sicurezza), alla necessità di rendere più efficaci le missioni di peacekeeping (in merito a questo, gli Stati Uniti hanno annunciato una risoluzione, volta a rafforzare l’azione del Segretario generale); dalla Siria (con al centro la questione delle armi chimiche), alle “continue violazioni” delle risoluzioni e della legge internazionale da parte dell’Iran; dalla crisi in Nicaragua (altra “prima volta” in Consiglio) al problema delle droghe (“che riguarda praticamente tutti i Paesi del mondo”).
In merito al Myanmar, rispondendo a una domanda, Haley ha ribadito la preoccupazione dell’intero Consiglio di Sicurezza sulla questione – soprattutto a seguito della mancanza di collaborazione delle autorità birmane -, e ha sottolineato che i suoi membri dovranno prendere una “dura decisione” in merito. Quanto alla Corea del Nord, la Rappresentante permanente degli USA alle Nazioni Unite ha promesso una risposta decisa alla discontinua osservanza delle sanzioni da parte di Russia e Cina. Sullo Yemen, ha osservato che la guerra è durata fin troppo e ha opposto la “trasparenza” dell’Arabia Saudita nel voler intraprendere un’indagine in merito ai recenti attacchi sui civili al continuo “sostegno dell’Iran ai gruppi terroristici”. Sulla Palestina, l’Ambasciatrice ha orgogliosamente difeso le posizioni, spesso in controtendenza, espresse dagli Stati Uniti sulla crisi, e ha specificato che la scelta di tagliare i finanziamenti all’UNWRA non implica un minore sostegno americano ai palestinesi (“nessuno dà più fondi ai palestinesi degli Stati Uniti”), ma è una scelta, ha sostenuto, dovuta all’eccessiva politicizzazione di quell’organismo.
Qualche minuto del denso press briefing è stato dedicato al libro-inchiesta esplosivo “Fear: Trump in the White House” di Bob Woodward, firma di punta del Washington Post e reporter del Watergate. Haley ha cercato di soffiare sul fuoco di alcune delle rivelazioni in esso contenute, ha elogiato lo spirito di collaborazione e affidabilità che Trump ha sempre mostrato nei suoi confronti, e ha decisamente negato la circostanza secondo cui il Presidente avrebbe chiesto al ministro della Difesa Jim Mattis di far assassinare Assad, dopo l’attacco chimico dell’aprile 2017. “Ero presente a quella riunione, e posso dire di non aver mai sentito il Presidente proporre di assassinare Assad”, ha ribadito, quasi divertita, l’Ambasciatrice.
Un mese pieno, dunque. Gli argomenti sul tavolo, in effetti, sono tanti, e la loro discussione precede la settimana di fuoco della 73esima sessione dell’Assemblea Generale. Resta da capire in che modo la presidenza americana del Consiglio di Sicurezza affronterà l’emergenza libica, e se l’escalation imporrà la questione sui tavoli diplomatici più di quanto non fosse inizialmente previsto. Per ora, perlomeno, la totale assenza di qualsiasi cenno sulla questione nel press briefing fa pensare. Con buona pace di Palazzo Chigi.