“La più imponente raffica di razzi e di fuoco di mortai dalle enclavi costiere” dal 2014 a oggi. Così l’esercito israeliano ha definito l’escalation scoppiata nelle ultime ore sulla Striscia di Gaza, dalla quale i militanti di varie fazioni, tra cui Hamas, hanno effettuato più di 100 lanci contro Israele, provocando diversi feriti, ma, per fortuna, nessun morto. Un attacco a seguito del quale i jet israeliani hanno puntato almeno 50 target di Hamas e della Jihad islamica.
Uno sviluppo in qualche modo atteso, purtroppo, visto che, domenica mattina, l’esercito israeliano aveva ucciso tre abitanti della Striscia di Gaza in un attacco contro Hamas vicino alla città di Khan Yunis. E viste, soprattutto, le proteste palestinesi represse nel sangue dei giorni ancora precedenti. Escalation dopo la quale Hamas ha accettato di dichiarare a un cessate il fuoco, per tutto il tempo in cui – ha aggiunto – si fermerà anche l’Occupazione.
Una crisi giunta, come di consueto, sui tavoli delle Nazioni Unite, da decenni coinvolte – fino ad oggi con risultati modesti – nella gestione del conflitto israelo-palestinese. Gli Stati Uniti dell’ambasciatrice Nikki Haley hanno infatti convocato una sessione straordinaria del Consiglio di Sicurezza nel pomeriggio, dopo lo scontro diplomatico a colpi di bozze di risoluzione nato, nelle ultime ore, con il Kuwait. Il quale aveva proposto un testo, poi bloccato da Washington, che chiedeva la formazione di un meccanismo di protezione internazionale per i palestinesi di fronte alle violenze israeliane. Il Kuwait aveva precedentemente chiesto al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite di condannare l’uso della forza da parte di Israele contro i civili palestinesi, “nei termini più forti” possibili, e di prendere misure “per garantire la sicurezza e la protezione della popolazione civile palestinese”, anche attraverso “una missione di protezione internazionale”.
Una bozza chiaramente invisa agli Stati Uniti, che l’hanno rispedita al mittente, proponendo invece a propria volta uno statement di ferma condanna degli attacchi di Hamas contro Israele. Ma proprio il Kuwait, membro non permanente del Consiglio che rappresenta i Paesi arabi, ha spiegato alla stampa internazionale di aver a sua volta bloccato la dichiarazione per consentire l’esame della propria bozza di risoluzione che prevede, al contrario, la protezione dei civili nei Territori palestinesi e nella Striscia di Gaza.
Non è un caso che il rappresentante permanente di Israele all’ONU, Danny Danon, si sia augurato che la comunità internazionale si mostrasse unita nel condannare le ultime azioni di Hamas, a suo avviso del tutto assimilabili a quelle di altri gruppi jihadisti come Al Qaeda o Daesh. “Se i bambini israeliani non sono autorizzati a dormire sonni tranquilli, allora i terroristi di Gaza sentiranno la potenza dell’IDF”, ha tuonato Danon. “Non consentiremo a nessuno di minacciare i nostri cittadini, e faremo tutto ciò che è necessario per difenderli”, ha chiosato.
Danon, durante lo stakeout, ha peraltro puntualizzato, su domanda della stampa, che Tel Aviv non vuole una escalation, ma che, se attaccata, risponderà. Eppure, nonostante il cessate il fuoco annunciato da Hamas – ipotesi subito negata dal ministro della Difesa israeliano, che ha ricordato come la politica di Israele sia esplicitamente diretta a non consentire attacchi verso i propri cittadini -, l’impressione è che l’escalation paventata sia ormai a portata di mano. L’aggressività dimostrata nelle scorse settimane da parte dell’esercito israeliano e la strategia inefficace e quasi masochistica adottata dalla leadership palestinese – unitamente alla provocazione di queste ore di Hamas – sembrano aver gravemente compromesso il processo di pace. E quel che è peggio, di fronte a questo drammatico quadro, la comunità internazionale pare ancora una volta incapace di trovare un accordo. Perché la richiesta dell’ambasciatrice USA Haley di condannare senza se e senza ma le azioni di Hamas ha trovato un seguito soltanto parziale.
Parziale, certo, è stato anche il quadro dipinto dalla Haley: la quale ha opportunamente descritto l’intenzione di Hamas come rivolta a massimizzare le vittime civili, ha definito terroristica la sua azione e ha duramente criticato l’incapacità della comunità internazionale nel condannare unanimamente un atto del genere perché “di mezzo c’è Israele”, ma non ha speso una parola in merito alle moltissime vittime palestinesi mietute durante la sanguinaria repressione israeliana delle proteste, a cui ha fatto riferimento solo per sostenere che fossero a loro volta organizzate da Hamas. “Come ho chiesto prima ai miei colleghi, lo chiederò a voi ancora oggi. Chi tra noi accetterebbe 70 razzi lanciati contro il proprio Paese? Conosciamo tutti la risposta a questa domanda. Nessuno lo farebbe”, ha poi affermato. “È una vergogna per il Consiglio di Sicurezza il fallimento nel condannare gli attacchi di Hamas contro i civili israeliani, mentre in Consiglio dei Diritti Umani decide di mandare una squadra per investigare sulle azioni di autodifesa israeliane”, ha aggiunto.
In questo senso, una delle risposte più ferme alla dichiarazione statunitense è stata quella della Francia. Che sì, ha condannato fermamente le azioni di Hamas, ma ha anche ricordato come i fatti degli scorsi giorni siano giunti dopo due mesi di dura repressione da parte dell’esercito israeliano. Quello che è accaduto, ha dichiarato l’ambasciatore francese François Delattre, non è altro che la conseguenza “dell’uso indiscriminato della forza da parte dell’esercito israeliano”.
Non solo: alla critica americana alla doppio standard della comunità internazionale “quando di mezzo c’è Israele”, la Francia ha invece opposto una ferma denuncia del silenzio generale di fronte alla situazione di Gaza. Un silenzio inaccettabile, ha detto, tanto per la popolazione palestinese quanto per quella israeliana; un silenzio che il mondo può interpretare non solo come incapacità, ma anche come scarsa affidabilità. Proprio per questo motivo, la Francia ha chiesto di riprendere in mano la bozza di risoluzione proposta dal Kuwait (e invisa agli States), e di continuare a migliorarla per poter giungere a un accordo.
Del resto, lo stesso Nickolay Mladenov, Special Coordinator for the Middle East Peace Process, ha sì condannato fermamente l’attacco “vergognoso” di Hamas – un attacco, ha detto, che non può essere in alcun modo giustificato -, ma ha anche voluto mandare un messaggio ai palestinesi: “Vediamo la vostra sofferenza, e faremo tutto ciò che è in nostro potere per garantirvi un futuro di pace, speranza, sicurezza”. E non è un caso che l’Osservatore permanente dello Stato osservatore di Palestina abbia ringraziato, all’inizio del suo intervento, “i tanti membri del Consiglio di Sicurezza la cui memoria si è spinta oltre le ultime 24 ore”. Un intervento duro, accusatorio nei confronti di Israele e della sua “narrativa che distorce la realtà”, ma anche nei confronti degli Stati Uniti, che, con la loro decisione di bloccare l’iniziativa del Kuwait, è il solo membro che tiene immobilizzato il Consiglio di Sicurezza. Quanto alle ultime vicende, l’Osservatore ha dichiarato che sono state provocate dal comportamento israeliano delle ultime settimane. Ecco perché, ha tuonato, “non condanniamo, rigettiamo l’istanza, ma condanniamo l’uccisione dei civili palestinesi”, aggiungendo che solo Israele sembra aver diritto alla sicurezza, e che l’applicazione del diritto internazionale dovrebbe avvenire su basi giuste ed eque.
Ancora una volta, insomma, la comunità internazionale si è mostrata drammaticamente divisa di fronte al rischio escalation sulla Striscia di Gaza. Una divisione sancita dalla presa di posizione degli Stati Uniti di Donald Trump, ma anche da una strategia palestinese, messa in atto da una leadership inadeguata – ne abbiamo già parlato -, certamente inefficace e non all’altezza della causa. Una causa legittima e sacrosanta, ma che, ad oggi, sembra sempre più irrealizzabile.