Lo aveva annunciato in occasione del suo discorso inaugurale sulle priorita’ degli USA nel 2018 del 2 gennaio scorso: a breve, aveva detto l’ambasciatrice USA all’ONU Nikki Haley, sarebbe stata convocata una sessione d’emergenza del Consiglio di Sicurezza ONU per discutere della delicata situazione in Iran, dove da giorni si susseguono proteste contro l’aumento dei prezzi e la crisi economica. Proteste che la stessa Haley non ha mancato di definire, in quell’occasione, “atti coraggiosi”, censurando d’altra parte le repressioni di un regime che, ha detto, ha una lunga tradizione “nell’uccidere i suoi stessi cittadini che osano sollevare la testa e dire la verità'”. Così, l’annunciata sessione del Consiglio ha evidenziato l’impegno di tutta la comunità internazionale nel monitorare l’andamento della situazione, e nello spronare il regime di Teheran a gestire la crisi con mezzi pacifici.
Tayé-Brook Zerihoun, Assistant Secretary-General for Political Affairs, ha relazionato in merito alle manifestazioni andate in scena a partire dal 28 dicembre scorso, quando centinaia di iraniani hanno dato il via alla protesta nella città di Mashhad, la seconda più grande del Paese, al suono di slogan contro l’asprezza delle condizioni economiche. Secondo i dati ufficiali iraniani, sarebbero 20 le persone rimaste uccise durante le proteste, inclusi un ragazzo e un poliziotto, mentre, secondo quanto riferito dal ministro dell’Interno iraniano, almeno un migliaio di persone sarebbero attualmente detenute.
Cosi’, di fronte ai suoi colleghi riuniti intorno al prestigioso tavolo circolare del Consiglio di Sicurezza, l’ambasciatrice Haley ha ancora una volta puntato il dito severamente contro il regime: “Oggi il popolo iraniano parla al proprio Governo, e il suo messaggio e’ innegabile: basta supportare il terrorismo. Basta dare milioni dei nostri soldi ad assassini e dittatori. Basta svendere la nostra salute in foreign fighters e guerre per procura”, ha tuonato, di fatto politicizzando il significato di proteste scoppiate, in gran parte, per motivazioni innanzitutto economiche. L’ambasciatrice ha inoltre ribadito che gli Stati Uniti “stanno incondizionatamente con coloro che in Iran sono in cerca della libertà per se stessi, di prosperità per le proprie famiglie, e di dignità per la propria nazione”, e nessun tentativo del regime, ha proseguito, compreso quello di derubricare a “burattini di potenze straniere” i manifestanti, potrà cambiare tutto ciò. Quindi, una minaccia esplicita a Teheran: “Il regime e’ ora sotto osservazione. Il mondo guarda quello che fate”.
Eppure, nonostante l’unanime impegno a vigilare sui prossimi sviluppi, non si può certo dire che, in merito alle eventuali ricadute che quanto sta accadendo avrà sulle relazioni della comunità internazionale con l’Iran, esista piena unita’ d’intenti nel Consiglio di Sicurezza. Perché e’ vero che l’ambasciatrice Haley e’ riuscita a guadagnarsi l’appoggio della maggioranza dei colleghi per convocare la riunione d’urgenza; altrettanto vero, tuttavia, e’ che Cina e Russia, originariamente contrarie a discutere di quelli che considera affari interni di un Paese straniero, guidano un gruppetto di Stati saldi nel ritenere che non derivi alcuna minaccia alla sicurezza internazionale dall’attuale situazione iraniana. Tradotto: le manifestazioni, per il momento, sono e restano affari di Teheran, rispetto ai quali la comunità internazionale non dovrebbe esercitare alcuna ingerenza. Il rappresentante cinese all’ONU, ad esempio, ha osservato che, seguendo la logica di Haley, il Consiglio di Sicurezza avrebbe dovuto occuparsi anche delle proteste razziali scoppiate a Ferguson del 2014, o del movimento Occupy Wall Street nel 2011.
Non solo: la divisione sussiste, soprattutto, sull’atteggiamento delle diverse potenze nei confronti dell’ormai famigerato accordo sul nucleare negoziato dall’amministrazione di Barack Obama, e da sempre duramente contestato dal suo successore. In effetti, a partire dalla prossima settimana, Trump dovrà prendere diverse decisioni in merito, compresa quella se onorare o meno la parte del patto del 2015 che impegna i contraenti a eliminare le restrizioni sul sistema bancario iraniano, ma anche sulle industrie petrolifere e navali. Il Presidente, visto l’andazzo, potrebbe optare per imporre nuove sanzioni, che rischierebbero di far collassare definitivamente l’accordo, una mossa che – come ha dimostrato la sessione di venerdì del Consiglio di Sicurezza – lascerebbe gli Stati Uniti pressoche’ isolati.
In effetti, oltre alle istanze russe e cinesi di non ingerenza, anche le altre potenze del Consiglio si mostrano decisamente più conservative degli States rispetto al lascito obamiano sul programma nucleare di Teheran. L’ambasciatrice svedese Irina Schoulgin Nyioni, ad esempio, ha sintetizzato così la posizione di molti dei Quindici: “Le violazioni dei diritti umani devono essere separate dal JCPOA. L’accordo esiste per assicurare la natura pacifica del programma nucleare iraniano”. E lo stesso rappresentante permanente francese Francois Delattre ha aggiunto che “la fine dell’accordo sul nucleare sarebbe un duro colpo per l’intera comunità internazionale”, visto che esso “e’ una pietra d’angolo per la stabilità in Medio Oriente”.
Una posizione largamente condivisa in Europa, a giudicare, anche, dalle parole della titolare della Politica estera dell’UE Federica Mogherini, che, pur condannando i 20 decessi nelle proteste di questi giorni, ha nelle scorse ore assicurato che, nonostante i chiari segnali che giungono dagli Stati Uniti, il Vecchio Continente resterà compatto nel dimostrare di non voler arretrare nelle sue relazioni con l’Iran, ma anzi, di volerle migliorare. “Interrompere tutti i contatti condurrebbe al rischio di rafforzare gli estremisti”, ha osservato lo stesso presidente francese Emmanuel Macron.
L’isolamento, tuttavia, non sembra spaventare gli USA di Trump. Che già in diverse altre occasioni, come la recente presa di posizione su Israele, l’addio all’UNESCO, al Global Compact on Migration e all’accordo sul clima, hanno dimostrato di non avere paura di assumere posizioni decisamente anti-conformiste rispetto alla quasi totalità della comunità internazionale. Perché, come ha spiegato l’ambasciatrice Haley in conferenza stampa, rispondendo alla domanda di un giornalista, Washington e’ sicura di schierarsi “dalla parte giusta della storia’. Anche, se necessario, da sola, fieramente contro tutti.