Mentre è in corso, a Ginevra, un nuovo round di negoziati sulla crisi siriana, il Consiglio di Sicurezza ONU, negli ultimi scampoli di presidenza italiana, ha discusso del medesimo dossier – approfondito, pochi giorni fa, nel briefing tenuto dall’Inviato Speciale Staffan De Mistura – con un focus prettamente umanitario. Perché, in fondo, il dramma dei conflitti è proprio questo: che il loro impatto sulle vite dei civili valica di molto, a livello temporale, la durata della crisi stessa, e anche quando, dal punto di vista diplomatico, sembra aprirsi uno spiraglio nel buio, occorreranno anni, a volte anche decenni, perché la situazione umanitaria torni a sfiorare livelli di tollerabilità.
Così, se in occasione del suo ultimo briefing davanti al Consiglio, De Mistura ha parlato dei progressi nel processo politico e si è mostrato pur prudentemente fiducioso in merito al meeting di Ginevra, sui temi umanitari non è trapelata alcuna forma, neppur moderata, di ottimismo. Perché il Sottosegretario Generale Mark Lowcock dello United Nations Office for the Coordination of Humanitarian Affairs, nel presentare il report “Syria 2018 Humanitarian Needs Overview”, ha tracciato un quadro il cui bilancio non può che definirsi drammatico. A sette anni dall’inizio del conflitto, ha rilevato, “la Siria rimane la più ampia crisi di displacement nel mondo”. Un terzo delle scuole sono state danneggiate o distrutte; 14,1 milioni di persone necessitano di assistenza umanitaria. E di questi, 5,6 milioni di persone si trovano in stato di acuto bisogno per un’ampia convergenza di cause, tra cui il displacement, l’esposizione ai combattimenti, e un accesso ristretto ai beni di prima necessità e ai servizi base.
Non solo: almeno la metà dell’intera popolazione ha dovuto abbandonare le proprie case, e in media più di 6 persone ogni giorno nei primi 9 mesi del 2017 hanno ingrossato le file del disperato esercito degli sfollati. 2,98 milioni di persone si trovano in aree difficilmente raggiungibili. E nonostante la situazione sia lievemente migliorata nel nordest della Siria, secondo Lowcock le necessità dei civili che vivono in tali aree continuano a essere eccezionalmente serie, a causa di “arbitrarie restrizioni della libertà di movimento”, ma anche dell’impossibilità di accedere all’assistenza umanitaria.
La sicurezza e l’incolumità dei civili, ha proseguito Lowcock, continua a essere a rischio. La gravità della situazione è efficacemente fotografata dall’alto numero di feriti e dalle continue violazioni del diritto internazionale – che impedisce, ad esempio, di attuare attacchi indiscriminati e stabilisce come inviolabili i principi di proporzionalità e precauzione –. Non solo: i civili continuano a essere esposti al rischio di cariche esplosive nelle aree densamente popolate. Secondo le stime ufficiali, 8,2 milioni di persone vivono in questa situazione. Per non parlare, poi, delle gravissime violazioni perpetrate nei confronti dei bambini: i dati ufficiali parlano di almeno 26 attacchi a scuole (con target bambini e insegnanti), e 107 a strutture e personale sanitari nella prima metà del 2017. E poi c’è la questione del reclutamento di minori, con un 18% dei 300 casi verificati che riguardano bambini al di sotto dei 15 anni, molti dei quali con ruoli attivi di combattimento.
Quello a cui stiamo assistendo, stando a questo quadro, è insomma una tragedia umanitaria senza fine (almeno per ora). Pochi giorni fa, le Nazioni Unite hanno peraltro veicolato un appello su una vera e propria “emergenza nell’emergenza”: quella che riguarda la violenza di genere. Un fenomeno la cui incidenza sale vertiginosamente soprattutto in tempi di guerra e di instabilità.
E che la situazione non sia destinata a migliorare presto lo dimostra anche la piccata reazione della parte siriana alla pubblicazione della Overview 2018: il Rappresentante Permanente Bashar al-Jafari, dopo aver puntualizzato di attendere con ansia la visita, calendarizzata per gennaio, dell’Under-Secretary General in Siria, ha però fatto riferimento a un presunto “doppio standard” della comunità internazionale sul dossier siriano, sostenendo che l’argomento della crisi umanitaria sia stato spesso strumentalizzato fare pressioni al governo. In particolare, nel merito della Overview 2018, l’Ambasciatore ha affondato il coltello: “Abbiamo apprezzato i miglioramenti presenti nel report, ma continuiamo a sperare che i futuri documenti rifletteranno la realtà sul terreno in maniera oggettiva, trasparente e professionale”. A suo avviso, il lavoro dell’OCHA avrebbe ignorato le fonti governative, e si sarebbe affidato unicamente a quelle dell’opposizione, al fine di “favorire gli obiettivi politici di alcuni Stati” membri del Consiglio di Sicurezza. Un commento duro, che fotografa senza appello come anche nella questione umanitaria, che meriterebbe la prioritaria e incondizionata attenzione della comunità internazionale, irrompano impietosamente i contrasti politici, ben lungi, com’è evidente, dall’essere risolti. Condannando di fatto chi in quel conflitto ha perso tutto – casa, averi, futuro, famiglia – a rimanere ancora una volta vittime di un’infinita guerra di propaganda.