Palermitana, magistrato, un autorevole curriculum nazionale e internazionale alle spalle: prima Coordinatrice del Comitato interministeriale contro il traffico di donne e bambini tra il 1996 e il 2001, poi Special Representative and Co-ordinator for Combating Trafficking in Human Beings presso l’OSCE, attualmente Special Rapporteur on trafficking in persons dell’ONU. Abbiamo incontrato Maria Grazia Giammarinaro a margine del suo intervento al Consiglio di Sicurezza ONU, dove si è tenuto un open debate sull’argomento – di drammatica attualità – del traffico di esseri umani in contesti di guerra. La giudice Giammarinaro ha raccontato alla Voce la sua grande esperienza nel campo, il suo indefesso impegno come Rapporteur ONU in contesti spesso difficili, e ci ha aiutato a capire quanto quella del contrasto al traffico degli esseri umani debba essere una sfida prioritaria per tutta la comunità internazionale.
Giudice Giammarinaro, da quanto tempo detiene questo incarico all’ONU?
“Dal 2014 sono Rapporteur ONU sul traffico di esseri umani – in italiano, forse, è più corretto parlare di ‘tratta’ –. Il mio incarico consiste nel presentare dei rapporti sia al Consiglio sui Diritti umani di Ginevra, sia all’Assemblea generale qui a New York, sulla situazione del rispetto dei diritti delle persone vittime di tratta. I miei rapporti sono in genere tematici: scelgo degli approcci, e degli angoli visuali, fino a questo momento non particolarmente compresi. L’anno scorso ho presentato due rapporti, sia a Ginevra che a New York, sul nesso esistente tra la tratta e i conflitti, perché questa connessione non era chiara: ora sappiamo che il trafficking è sistematicamente una componente dei conflitti”.
Al Consiglio di Sicurezza presieduto dal sottosegretario Amendola, si è parlato soprattutto di traffico di esseri umani in Libia. Oggi parlano tutti di Libia, a maggior ragione dopo la pubblicazione di alcuni video dalla CNN, e forse anche per questo si è alzato il livello di attenzione sull’argomento. Può dirci, in base alla sua esperienza, da quanto tempo le era noto questo problema?
“Devo dire che il video (della CNN – ndr) è stato scioccante persino per me, che mi occupo di queste cose su base quotidiana. Scioccante perché vedere queste persone vendute come schiavi esattamente come accadeva nel contesto della schiavitù storica è uno shock. Ma effettivamente, noi che ci occupiamo della questione dal punto di vista dei diritti umani stiamo dicendo da moltissimo tempo quanto il trafficking sia legato al contesto delle migrazioni: talvolta si nasconde, si dissimula, altre volte invece si manifesta in modo aperto, soprattutto quando ci sono delle vulnerabilità provocate dal displacement, con persone che devono lasciare la propria casa e i propri Paesi d’origine per sfuggire a conflitti, persecuzioni, regimi dittatoriali, situazioni di conflitto che coinvolgono l’intero Paese o restano a un livello locale, cambiamento climatico ed estrema povertà. Quindi, nell’ambito di queste migrazioni forzate, ci sono delle vulnerabilità, che vengono sfruttate dai trafficanti per schiavizzare queste persone. I metodi sono infiniti, ma uno dei più frequenti – e probabilmente quello che abbiamo visto sulla CNN ha questo tipo di background – è che il migrante paga anche delle cifre considerevoli, ma poi il trafficante gli dice che quella somma serve per pagare solo la prima parte del viaggio, e che per la seconda occorrono altri soldi. Da qui, le torture che avvengono per chiedere alle famiglie il riscatto, e tutte le atrocità che abbiamo visto in termini di trafficking e di schiavitù. Le persone vengono vendute perché hanno un debito da rimborsare, e quindi vengono acquistate da qualcuno che avrà il “diritto” di sfruttarli lavorativamente, o nell’industria del sesso, per un numero di anni non ben precisato”.
Il Segretario Generale Guterres ha più volte avvertito che per contrastare efficacemente il traffico di esseri umani, e andare alle origini del problema, si deve cercare in ogni modo di potenziare le vie legali di immigrazione.
“Questo è sicuramente un obiettivo prioritario. Oggi, nella maggior parte dei Paesi del mondo, le politiche migratorie restrittive sono una parte del problema, perché contribuiscono ad aumentare le vulnerabilità, pur già preesistenti. Aumentare i canali di immigrazione regolare è sicuramente la via maestra per diminuire le vulnerabilità e quindi per prevenire e combattere il traffico. Sono dunque completamente d’accordo con il Segretario Generale, e spero che il processo che condurrà al Global Compact sui rifugiati e i migranti conterrà, nel suo documento finale, impegni precisi in questa direzione. Naturalmente, sono anche consapevole della difficoltà di questa negoziazione: sono personalmente impegnata affinché questo aspetto, insieme a quello della protezione dei migranti in situazioni di vulnerabilità, abbia un ruolo significativo nel documento finale e sia oggetto di impegni concreti degli Stati. Ci sono già affermazioni importanti nella Dichiarazione di New York, ma il punto adesso è di fissare obiettivi concreti in questa direzione”.
Lei oggi è Special Rapporteur ONU, ma in passato ha anche lavorato con funzioni tecniche e di consulenza per il Governo italiano. Il ministro degli Esteri Angelino Alfano, qualche giorno fa all’ONU, ha risposto alle dure parole dell’Alto Commissario sui Diritti Umani Zeid al Hussein sull’accordo UE-Libia spronando a dare “meno lezioni” e fare “più buone azioni”, e ribadendo che l’Italia, per ciò che le compete, ha già fatto tutto il possibile. Ora noi poniamo a lei una domanda che abbiamo sottoposto anche al Ministro, ma alla quale non abbiamo ricevuto risposta: con il senno di poi, non sarebbe stato meglio stringere l’accordo con la Libia solo dopo aver ripristinato condizioni di sicurezza e stabilità tali da poter garantire il rispetto dei diritti umani dei migranti?
“Comincio col dire che è vero che l’Italia è stata una dei pochi Paesi a sviluppare una politica migratoria umana. Voglio ricordare che la Guardia Costiera italiana ha fatto, e continua a fare, importantissime operazioni di salvataggio in mare. Ed è vero che troppo spesso l’Italia è stata lasciata sola. Anche oggi, nel mio intervento, ho sottolineato che la mancanza di cooperazione internazionale è di per sé causa di ulteriori violazioni di diritti umani, perché evidentemente è stata chiara a tutti l’insufficienza delle azioni dell’Unione europea nelle operazioni di ricerca e di salvataggio e nella ricollocazione dei rifugiati in altri paesi europei. Lo dico con grande semplicità: io credo che l’accordo con la Libia sia anche il frutto avvelenato di questa mancanza di cooperazione internazionale, perché in qualche maniera si è tentato di trovare una strada per rendere la situazione più gestibile. Talvolta, tuttavia, i rimedi sono peggiori dei mali. L’Alto Commissario per i Diritti Umani, di fronte ai rapporti degli osservatori, ha dovuto lanciare un allarme, perché i centri di detenzione in Libia potrebbero essere accostati a gironi infernali. E stiamo parlando solo dei centri di detenzione “ufficiali”, che sono 29, ma ce ne sono poi molti altri, controllati da milizie o altri gruppi, dove si pensa la situazione sia ancora peggiore. Abbiamo visto nel campo libico dove la procura di Palermo è riuscita ad acquisire una documentazione fotografica, con 500 persone ammassate che dispongono di un solo servizio igienico, gente torturata e barbaramente ammazzata, come hanno riferito alcuni migranti che sono riusciti ad uscirne vivi. Di fronte a tutto ciò, l’unica cosa che si può dire onestamente è che i centri di detenzione in Libia devono essere chiusi. Non si può parlare di miglioramento delle condizioni di detenzione. Il punto è che la comunità internazionale tutta – ribadisco, non solo l’Italia – deve chiedere alle autorità libiche delle precise garanzie che i centri di detenzione saranno chiusi”.
Filippo Grandi ha però puntualizzato, proprio da New York, che l’UNHCR è pronta a intervenire, ma deve attendere il raggiungimento di una certa stabilità.
“Infatti serve che la comunità internazionale, l’Unione europea in primo luogo, chieda la garanzia che le agenzie ONU – ACNUR e OIM – possano entrare nei centri di detenzione finché non saranno effettivamente chiusi, e operare in piena libertà in tutto il territorio per individuare coloro che hanno diritto alla protezione internazionale e coloro che sono vulnerabili e devono essere protetti da violenza e sfruttamento, allo scopo di mettere in atto corridoi umanitari. Se queste garanzie non ci sono, io penso che gli accordi con la Libia debbano essere denunciati e sospesi”.

In base alla sua esperienza, quale contesto di crisi relativo al traffico di esseri umani le pare più grave, oltre alla Libia?
“Ce ne sono moltissimi. Basta pensare al Sud-Est asiatico e ai flussi migratori che sono interni alla regione, per non parlare dei Rohingya, che subiscono una persecuzione, ma sono anche trafficati e schiavizzati. Il confine tra Messico e Stati Uniti è un’altra situazione nella quale i criminali organizzano il traffico di persone, e spesso schiavizzano i minori per trasformarli a loro volta in “guide” per far passare i migranti”.
Secondo lei la risoluzione appena approvata è efficace per affrontare questa problematica?
“La considero un passo avanti, perché è più concreta e dettagliata rispetto alla risoluzione adottata nel 2016. Questo dimostra che esiste una consapevolezza sul fatto che bisogna essere più efficaci. Certo, è una risoluzione che è stata adottata nel contesto dell’agenda del Consiglio di Sicurezza, incentrata per l’appunto sulla sicurezza mondiale. Ancora trovo insufficiente la parte che riguarda i diritti umani: evidentemente non c’è ancora sufficiente consapevolezza del fatto che le violazioni di diritti umani in se stesse possono essere causa di conflitti, quando raggiungono dimensioni così importanti, perché i gruppi criminali e armati diventano più potenti, più pericolosi e assumono più controllo del territorio. C’è giustamente molta enfasi sul fatto di contrastare il finanziamento dei gruppi terroristici e criminali attraverso il trafficking, ma non c’è ancora abbastanza consapevolezza sul fatto che un’agenda sulla sicurezza e la pace deve essere allo stesso tempo un’agenda sulla protezione dei diritti umani. Per contro, devo dire che molti paragrafi che riguardano la protezione delle vittime sono più concreti e specifici rispetto alla risoluzione precedente. Quindi, da questo punto di vista, c’è sicuramente un passo avanti, tra cui anche la possibilità di rendere operativi degli approcci innovativi, come identificare, proteggere e aiutare non solo le vittime di tratta che sono tali sulla base di operazioni di polizia o di un processo penale ma anche coloro che sono vulnerabili alla tratta. Infatti nei luoghi di primo arrivo è impossibile trovare prove certe del fatto che i migranti o le migranti siano stati vittime di tratta durante il viaggio. E’ però possibile, grazie ad esempio alle pratiche dell’OIM in cooperazione con Squadre mobile e Procure – soprattutto mirate all’identificazione delle ragazze nigeriane potenziali vittime di tratta – realizzare interviste, capire qual è la situazione della persona, e metterla al sicuro anche se ancora non sappiamo al 100% se si tratti effettivamente di una vittima di trafficking. Su questo la risoluzione evidenzia un’apertura, e sono convinta che ciò ci permetterà di fare dei passi avanti”.