Pensieri, come si dice, “spettinati”. Portano lontano. E ti trovi perfino a dire (sottovoce, beninteso; per il timore fondato di dire una bestialità): e se Donald Trump, per una volta, suo malgrado, a sua insaputa, avesse perfino ragione? Sì, è duro da ammettere che per una volta, forse, chissà, possa avere ragione. Si può provare a mitigare: non ha completamente torto.
L’accordo sul nucleare stipulato con l’Iran, al Presidente non piace. Lo ha detto durante la campagna elettorale, con tutto il fiato che aveva in gola: quel trattato fortissimamente voluto e realizzato dal suo predecessore Barack Obama lo considera un gravissimo errore, da correggere appena si può. A parte l’Israele di Benjamin Netanyahu, parrebbe che tutto il mondo storca la bocca, di fronte alle annunciate intenzioni di Trump di recedere dall’accordo. Chissà. Da parte di Trump forse si tratta solo di parole, come per tante altre cose che promette di fare e di fatto non realizza. Però la carne della questione è: ci si può davvero fidare di Teheran? Quegli accordi – che prevedono lo stop al programma nucleare iraniano – nel concreto come si può sapere se sono e saranno davvero rispettati? Sono gli stessi iraniani che verificano e certificano che il programma non si sviluppi ulteriormente. In sostanza di affida alla volpe la custodia del pollaio.

Abbiamo la certezza e la sicurezza di poter escludere che l’Iran non proceda, in laboratori segreti, il processo di arricchimento dell’uranio? Per quel che riguarda la Corea del Nord il mondo si è trovato una minestra già servita, senza poter controllare prima i suoi ingredienti e cottura. Il precedente, insomma, non è rassicurante. I sostenitori dell’accordo dicono che bisogna fidarsi di Teheran, che gli iraniani sono tutto sommato un paese moderno, e i loro abitanti non hanno alcuna voglia di andare prematuramente nel loro Paradiso latte, miele e vergini palpitanti. D’accordo. Ma il problema non sono gli iraniani come popolo, le loro aspirazioni, la concezione che coltivano della vita loro e altrui.
Il problema è chi governa oggi in Iran. Passi il definire l’attuale presidente Hassan Rouhani “moderato”, con tutte le virgolette del caso. Ma chi comanda, davvero, lui o l’ayatollah Alì Khamenei, la Guida Suprema? Khamenei lo si conosce bene per il suo astio anti-occidentale, per l’anti-americanismo, per aver auspicato più volte la distruzione di Israele. Khamenei dice che “i diritti umani sono l’arma nelle mani dei nostri nemici in lotta con l’Islam”. Solo retorica? Chi ce la mette la mano sul fuoco? Il quadro si complica se si tiene presente il duro scontro tra sunniti e sciiti; e si aggiunga che l’Iran ha già sviluppato la tecnologia che consente a missili di lungo raggio di portare testate nucleari.
Se si possa, e come si possa, revocare l’accordo (e con quali pratiche conseguenze e ricadute), non ci si azzarda a dirlo e pensarlo. Ma non si dica, per favore, che quell’accordo sia stato un passo rassicurante per la distensione e la pace in quella porzione di mondo che da sempre ribolle. Ecco perché a malincuore il pensiero spettinato di oggi è che Trump non ha mai ragione; ma qualche volta gli accade perfino di non avere torto.