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September 25, 2017
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Acqua e pace: quando la guerra si combatte anche con le risorse idriche

Quindici esperti indipendenti, guidati dall'ex Presidente sloveno Danilo Turk, hanno redatto le cento pagine della "diplomazia dell'acqua"

Gianna PontecorbolibyGianna Pontecorboli
Acqua e pace: quando la guerra si combatte anche con le risorse idriche
Time: 5 mins read

“Una questione di sopravvivenza”. Così è stato intitolato il rapporto presentato nei giorni scorsi al Palazzo di Vetro dal Global High Level Panel on Water and Peace. In un’Assemblea Generale dell’Onu dominata da temi più drammatici e urgenti come la Corea del Nord e l’Iran, le cento pagine del rapporto sulla “diplomazia dell’acqua”, compilato da un gruppo di quindici esperti indipendenti, guidati dall’ex presidente sloveno Danilo Turk, non hanno probabilmente avuto l’eco che avrebbero meritato.

L’ex Presidente sloveno, Danilo Turk, alla guida dei quindici esperti indipendenti che hanno redatto le cento pagine della “diplomazia dell’acqua” (Foto Geneva Water Hub)

Il lavoro dei quindici esperti, invece, ha offerto molti spunti innovativi per risolvere un dramma, quello della distribuzione pacifica delle risorse idriche, che non è certo nuovo ed è sicuramente uno dei più seri che la comunità internazionale si trova ad affrontare.

“Tutte le persone hanno il diritto di accedere all’acqua potabile e sicura. Questo è un diritto umano fondamentale e una questione centrale per il mondo di oggi. L’acqua è un bene comune al centro dello sviluppo economico e sociale e la cui scarsità può destabilizzare intere regioni”, ha dichiarato l’Osservatore Permanente della Santa Sede a Ginevra, Ivan Jurkovic, quando il rapporto è stato presentato in anteprima nella città svizzera il 14 settembre.

Purtroppo, si sa, quello che è stato spesso definito “un simbolo di vita” è un bene distribuito molto male.

La distribuzione pacifica delle risorse idriche è stata al centro del Global High Panel on Water and Peace

Nove soli paesi, tra cui il Brasile, il Canada, la Cina, la Colombia, la Russia e gli Stati Uniti , si dividono, per esempio, circa il 60 per cento delle risorse mondiali di acqua dolce. L’intera Asia, che ha il 61 per cento della popolazione mondiale, può contare soltanto sul 36 per cento delle risorse, mentre l’Europa, con il 12 per cento della popolazione, ha l’8 per cento delle risorse idriche. Il Sud America, che ha solo il 6 per cento della popolazione, può godere del 26 per cento dell’acqua a disposizione. La scarsità d’acqua , in molte regioni, è esacerbata dalla povertà, dalle scarse risorse igieniche e dalla fragilità economica, oltre che, ovviamente, dalle conseguenze dei cambiamenti climatici.

Laghi e grandi fiumi, per di più, non rispettano i confini stabiliti dai politici. Questo ha creato negli anni innumerevoli conflitti, in Africa come in Medio Oriente, e ha troppo spesso trasformato quella che dovrebbe essere una risorsa per tutti in un’arma per mettere in ginocchio le popolazioni civili.

Una mappa mostra i Paesi confinanti con il Lago Ciad

Di fronte a una situazione che rischia di peggiorare nei prossimi anni, un gruppo di quindici paesi, guidato soprattutto dalla Svizzera, ha creato, a Ginevra a novembre del 2015, il Global High Level Panel on Water and Peace, con l’obiettivo di cercare le strade per favorire un’equa distribuzione delle risorse idriche e trasformare l’acqua da fonte di conflitti a “strumento di pace”.

La cosiddetta “idro-diplomazia”, in realtà, non e’ un’idea nuova. Già nel 1969, per esempio, il Brasile ha firmato il Trattato del Rio della Plata, con tre paesi confinanti, per promuovere dei progetti comuni. In Africa, è stato il Senegal a dare l’esempio quando l’allora presidente, Leopold Senghor,  ha convinto i capi di stato della Guinea, del Mali e della Mauritania a fondare un’organizzazione, il Senegal River Basin, per amministrare e valorizzare il corso d’acqua comune.

Le iniziative del Brasile e del Senegal, che tuttora funzionano bene, hanno trovato molti imitatori. A partire dalla fine della Seconda Guerra mondiale, infatti,  sono stati firmati ben 263 accordi bilaterali e multilaterali riguardanti 145 Paesi diversi per la condivisione e la gestione delle acque comuni. Purtroppo, però, le belle parole dei trattati sono rimaste troppo spesso lettera morta e soltanto 84 di loro si sono trasformati in un meccanismo efficiente per risolvere insieme tutti i problemi. Negli ultimi anni, poi, la situazione è peggiorata. In Africa, l’abbassamento del 90 per cento del livello del lago Ciad ha prodotto sanguinosi conflitti e sofferenze per l’intera popolazione della zona senza che nessuno riuscisse a porvi  rimedio. Nel cuore dell’Europa, l’acqua è entrata nel conflitto tra la Russia e l’Ucraina, quando il Cremlino ha accusato l’Ucraina di sottrarre risorse idriche alla Crimea. In Medio Oriente, le parti in guerra in Siria si sono accusate reciprocamente per la distruzione delle infrastrutture e l’avvelenamento dei pozzi, mentre l’acqua resta al centro delle rivendicazioni dei palestinesi nei confronti di Israele. Perfino l’Indus Water Treaty tra l’India e il Pakistan, che pure ha sopravvissuto due guerre e molti scoppi di tensione, è ora in crisi, tant’è vero che lo scorso anno la World Bank, che è uno dei firmatari dell’accordo, ha chiesto una mediazione per risolvere i problemi sollevati dalla costruzione di due dighe.

Adesso, dopo quattro riunioni che si sono svolte in Svizzera, in Senegal, in Costa Rica e in Giordania, gli esperti che hanno preparato il rapporto del Global High Level Panel on Water and Peace hanno alzato il tiro. La diplomazia dell’acqua, hanno in sostanza affermato, dovrà passare attraverso una serie di tante piccole iniziative fattibili e concrete, che tengano conto delle situazioni locali e dei problemi tecnici anche più minuti.  A finanziarle dovranno essere sempre di più non soltanto le grandi istituzioni finanziarie internazionali, ma anche i donatori privati, le banche private o regionali e le organizzazioni internazionali più piccole, come l’Ifad (International Fund for Agricoltural Development), che ha sede a Roma.  Gli incentivi dovranno andare non solo ai grandi progetti infrastrutturali, come le dighe, ma anche alle piccole iniziative destinate a favorire i progetti comuni di navigazione e ecoturismo. Per coordinare il tutto, poi,  dovrebbe essere creato un Osservatorio Permanente per l’Acqua e la Pace, una minuscola organizzazione molto elastica e in grado di lavorare senza coinvolgere più del necessario la diplomazia ufficiale dei singoli Paesi coinvolti.

“I membri del gruppo hanno voluto enfatizzare la dimensione culturale della definizione dell’acqua come strumento di pace”, ha spiegato Danilo Turk presentando il progetto.

“L’Osservatorio dovrà focalizzarsi specificatamente nel compito di facilitare la cooperazione in situazioni di potenziale tensione in modo da prevenire un aggravamento della stessa, attraverso una visione comune dello sviluppo e la creazione di misure per favorire la fiducia reciproca”, ha specificato il rapporto.

Già da ora, la Svizzera ha offerto la sua ospitalità al futuro Osservatorio e ha promesso di fare della “diplomazia dell’acqua” una priorità della sua politica estera. “L’idea merita di essere portata avanti”, ha confermato il consigliere federale Didier Burkhalter.

Che l’idea sia destinata a andare avanti, d’altra parte, lo dimostrerà anche il primo forum Internazionale sull’acqua denominato “Rules of Water”, che si terrà a Milano il 27 e il 28 settembre prossimi. Il forum  riconoscerà, con un premio, il ruolo delle donne nella risoluzione dei conflitti legati all’acqua e tra le candidate vi è anche, non certo per caso, Mara Tignino, la ricercatrice dell’Università di Ginevra e coordinatrice del Ginevra Water Hub, che ha finora funzionato come segretariato proprio per il Global High Level Panel on Water and Peace .

 

 

 

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Gianna Pontecorboli

Gianna Pontecorboli

Genovese,laureata in storia economica, Gianna Pontecorboli ha una lunga carriera di corrispondente dagli Stati Uniti. Attualmente lavora per Il Corriere del Ticino e Lettera 22

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