Gli Stati Uniti hanno annunciato di stare valutando di ritirarsi dal Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite. A dare l’annuncio è stata, nei giorni scorsi, l’ambasciatrice americana alle NU Nikki Haley. La motivazione di questa scelta sarebbe il comportamento dell’organo delle NU nei confronti di Israele. Una posizione che gli Usa giudicano “sbilanciata” contro Israele e “dura da accettare”.
“Essere membro di questo consiglio è un privilegio e nessun Paese che viola i diritti umani dovrebbe essere ammesso a questo tavolo. E’ difficile accettare che questo consiglio non ha mai considerato una risoluzione contro il Venezuela, mentre ne ha adottate ben 5 in marzo contro un singolo Paese, Israele. E’ chiaro che c’è un pregiudizio cronico nei confronti di Israele che mette a rischio la credibilità di questo organismo”.
Il Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite è stato istituito nel 2006 con la risoluzione 60/251 dell’Assemblea generale in sostituzione della Commissione per i Diritti Umani delle Nazioni Unite (nata dal Consiglio economico e sociale nel 1946) ma con poteri ancora maggiori. Ne fanno parte 47 Stati, eletti a scrutinio segreto dall’Assemblea generale a maggioranza dei suoi membri e nel rispetto del principio dell’equa ripartizione geografica: almeno 13 Stati sono africani, 13 asiatici, 8 latino-americani, 6 est-europei, 7 europei occidentali. Gli Stati membri restano in carica tre anni e non sono rieleggibili. L’unica linea guida nella scelta dei membri indicata dalla risoluzione istitutiva è che i “membri eletti al consiglio devono affermare i più alti livelli nella promozione e protezione dei diritti umani”.
Proprio questo “criterio” ha sollevato più volte accesi dibattiti: nel 2015, ad esempio, a fare pare del Gruppo consultivo del Consiglio venne eletto l’ambasciatore saudita Faisal bin Hassan Trad. una decisione che sollevò le proteste di molte organizzazioni non governative che definirono la elezine “scandalosa” affermando che l’Arabia Saudita sia tra i paesi con il più alto numero di violazioni dei diritti umani accertate da organi internazionali indipendenti, tra cui l’Onu stesso.
Anche le proteste degli Usa (e di altri) in difesa di Israele non sono una novità: già nel 2008 gli Usa avevano definito questo comportamento “un’ossessione patologica con Israele”.
Più di recente, nel 2014, il Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite presentò un rapporto sui presunti crimini di guerra compiuti da Israele e da Hamas a Gaza. La pubblicazione del rapporto dell’Onu venne bloccata e rimandata dopo che una commissione d’inchiesta indipendente aveva pubblicato un altro rapporto. Alla fine il presidente della Commissione d’inchiesta delle Nazioni Unite incaricata di indagare sui possibili crimini di guerra commessi a Gaza nell’estate del 2014, il giurista canadese William Schabas, fu costretto a dimettersi a seguito delle proteste di Israele che lo accusò di “conflitto di interesse”, dovuto a una consulenza che Schabas aveva fornito all’Organizzazione per la liberazione della Palestina nel 2012. Una decisione che non cambiò i contenuti dell’accusa nei confronti di Israele: aver causato la morte di 2.256 palestinesi, tra cui 1.563 civili durante i bombardamenti e le incursioni via terra dell’esercito israeliano dell’estate del 2014.
Più di recente, nel 2016, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha approvato la risoluzione 2334/16 nella quale si parla flagrante violazione degli accordi internazionali di Israele nei territori occupati. Anche in quella occasione Usa (e altri) levarono i propri scudi a protezione di Israele, ma i fatti erano inconfutabili e la mozione venne approvata.
In molti sostengono che la difesa dell’ambasciatrice americana e del presidente Trump verso Israele sia dovuta più ai rapporti con Israele che ad una oggettiva volontà di giustizia ed equità: da sempre gli Usa sono alleati di Israele. “È difficile accettare che questo Consiglio non abbia mai considerato una risoluzione sul Venezuela, adottando invece cinque risoluzioni faziose, a marzo, contro un singolo Paese, Israele. È essenziale che questo Consiglio affronti il suo cronico pregiudizio contro Israele per avere credibilità”, ha detto la Haley nella sua relazione.
“Essere un membro di questo Consiglio è un privilegio e a nessun Paese che viola i diritti umani dovrebbe essere consentito di avere un posto a questo tavolo”. Forse è proprio questa osservazione che dimostra come l’annuncio degli Usa non è dovuta solo ad una sincera volontà di rispetto delle norme e dei diritti umani: la Haley non ha spiegato come mai come mai nessuno negli Usa ha avuto niente da obiettare circa la nomina dell’ambasciatore dell’Arabia Saudita. E così per altri paesi, anche questi membri del Consiglio, nei confronti dei quali, stranamente, gli Usa non hanno avuto niente da ridire: eppure si tratta di paesi dove i diritti umani sono un serio problema come il Brasile, il Pakistan, il Sud Africa e l’Ecuador.
Non è un caso se la Haley ha chiesto che al Consiglio di votare una risoluzione per le violazioni di diritti umani contro il Venezuela e il governo di Nicolas Maduro che secondo gli Usa dovrebbe lasciare il Consiglio per i diritti umani dell’Onu, dopo la repressione delle manifestazioni dei mesi scorsi che hanno causato la morte di 65 persone. Ma anche verso l’Iran: la Haley, nel suo primo discorso davanti al Consiglio, a Ginevra, aveva detto che non è stato fatto abbastanza per criticare l’Iran, “un Paese con una storia orrenda sui diritti umani”.
È quest’ultima richiesta a rendere forse più chiaro l’intervento della Haley: in un momento in cui è in atto un nuovo focolaio di scontro tra paesi mediorientali (come dimostra l’embargo di pochi giorni fa di Arabia Suadita, Emirati Arabi, Egitto e Barhein), la richiesta degli Usa potrebbe essere un motivo per sostenere tutti propri alleati contro l’Iran.
Ma non basta. Il mandato quinquennale del Consiglio dei diritti umani dell’ONU volge al termine (scadrà nel 2017) e in molti parlano di una “revisione” che dovrebbe consentire a quest’organismo di fare una differenza maggiore sul terreno, reagendo in maniera più rapida ed efficace contro gli abusi cronici e urgenti, secondo quanto affermato dal Presidente del Consiglio dinanzi all’Assemblea Generale.
Cambiamenti all’interno dei quali gli Usa certamente vorrebbero assicurarsi un ruolo di primo piano e, perché no, magari permanente e non temporaneo e senza possibilità di rinnovo immediato come prevedono le regole attuali in vigore. Un buon motivo quindi per alzare la voce e far sentire il proprio peso al Consiglio. “l’America non cerca di lasciare il Consiglio per i diritti umani” dell’Onu, “noi cerchiamo di ristabilire la legittimità del Consiglio” ha ribadito la stessa Haley, a Ginevra. Che, subito dopo aver difeso a spada tratta Israele (e gli interessi americani), ieri è volata a Gerusalemme per incontrare il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu.