A dare la notizia, durante una riunione del Consiglio di Sicurezza sulla situazione in Libia, è stata il procuratore della Corte Penale Internazionale (ICC), Fatou Bensouda, che ha comunicato che il suo ufficio sta valutando se avviare un’inchiesta per presunti crimini legati ai migranti in Libia, tra cui il traffico di esseri umani. “Il mio ufficio continua a raccogliere e analizzare informazioni relative a crimini gravi e diffusi, presumibilmente commessi contro i migranti che tentano di transitare attraverso la Libia”, ha detto. “Dobbiamo agire per frenare queste tendenze preoccupanti”, ha detto la Bensouda che non ha negato di essere preoccupata per il rischio di un ritorno alla guerra. Qui trovate anche il testo in inglese dell’intervento sulla Libia dell’Ambasciatore italiano Sebastiano Cardi al Consiglio di Sicurezza. Nel video sotto, la riunione del Consiglio di Sicurezza dedicata alla Libia.
La notizia è stata diffusa praticamente in contemporanea con un’altra anche questa riguardante la Libia e il problema migranti. Solo che questa vede coinvolta in primo piano anche l’Italia. Un barcone con a bordo 300 migranti, salpato dalle coste della Libia e intercettato dalla sorveglianza aerea mentre era ancora in acque libiche (secondo altre fonti invece avrebbe inviato una richiesta di soccorso alla centrale operativa di Roma della Guardia Costiera italiana), è stato segnalato dalle autorità italiane alla Guardia Costiera libica (alla quale l’Italia ha donato anche alcune unità navali). Le autorità libiche hanno raggiunto l’imbarcazione dei migranti mentre si trovava già in acque internazionali e ne ha preso il comando riportandola nel porto di Tripoli.
Secondo le autorità si tratterebbe di una conseguenza dell’accordo in materia di migranti sottoscritto tra Italia e Libia il 2 febbraio scorso. Un accordo quello firmato dal capo del governo italiano Paolo Gentiloni e da Fayez al Sarraj, presidente del “governo riconosciuto dalla comunità internazionale” che per molti dovrebbe essere considerato “nullo” per diversi motivi. Innanzitutto perché non sarebbe stato sottoscritto anche dal generale Haftar, che è alla guida dell’altro parlamento attualmente in Libia.
Ma non sarebbe questo l’unico problema dell’accordo. Il 14 febbraio, un gruppo di giuristi, ex politici e intellettuali libici aveva già presentato un ricorso alla corte d’appello di Tripoli sostenendo che il memorandum firmato tra i due paesi era “incostituzionale” perché, prima di essere firmato dal primo ministro Fayez al Sarraj, avrebbe dovuto essere approvato dal Parlamento libico e dal governo. Cosa che non è avvenuta. Inoltre l’accordo implicherebbe impegni onerosi da parte di Tripoli, che non sono contenuti nel Trattato di amicizia tra Italia e Libia stipulato nel 2008, a cui il memorandum s’ispira, nonostante l’accordo dei mesi scorsi prevedesse un sostegno finanziario dell’Italia alla Libia. Finanziamenti da parte dell’Italia che non sono stati quantificati, così come vago appare l’impegno anche da parte della Libia.
A sollevare dubbi sull’accordo sottoscritto dal nuovo premier erano stati anche alcuni giuristi italiani, come Paolo Bonetti, professore di diritto costituzionale, che aveva riferito che il memorandum non rispetterebbe l’articolo 80 della Costituzione italiana, che prescrive la ratifica da parte del Parlamento dei trattati internazionali che sono di natura politica e che implicano oneri finanziari da parte dello stato. Anche sotto il profilo umanitario, secondo Bonetti l’accordo farebbe acqua più di una delle carrette del mare usate dai migranti: violerebbe infatti la Convenzione europea sui diritti dell’uomo, per gli stati membri dell’Unione Europea è inderogabile.
Ombre che, per l’ennesima volta (dopo i numerosi accordi e strette di mano tra membri di tutti gli ultimi governi italiani che si sono succeduti e i leader libici, a cominciare dallo stesso Gheddafi), hanno riaperto la questione migranti.
Una questione ormai annosa (e costosa per le tasche degli italiani), che pone diversi quesiti ai quali nessuno ha finora mai voluto rispondere. A cominciare da come debba essere considerata la maggior parte delle persone che arriva dalla Libia sui barconi. Posto che non sono rifugiati politici né profughi (moltissimi non cercano neanche di presentare la domanda), secondo molti a loro dovrebbero essere applicate le regole del diritto nautico internazionale: ma in base a questi accordi (sottoscritti da quasi tutti i paesi del Mediterraneo, Italia inclusa) si tratterebbe di “naufraghi” (dato che hanno lanciato un allarme mentre si trovavano in mare aperto!). Con tutte le conseguenze che ciò comporta. Prima fra tutte l’obbligo, per chi li preleva a bordo, di condurli non in Italia ma nel primo porto sicuro, ovvero la Tunisia o Malta.
La decisione di comunicare la posizione dei trecento migranti in mare e di chiedere l’intervento della marina libica, quindi potrebbe essere una gatta difficile da pelare sotto il profilo del diritto internazionale. E di certo non servirà a risolvere la situazione delle decine di migliaia di persone che ogni anno cercano di attraversare il mar Mediterraneo per raggiungere l’Europa. Per molti di loro si tratterà di un sogno irrealizzabile: secondo i dati dell’Oim, sarebbero almeno 20mila i migranti trattenuti in Libia da bande criminali e milizie armate stipati in decine di centri irregolari dove vengono picchiati, abusati e costretti a lavoro forzato e prostituzione.
Veri e propri schiavi moderni come ha detto il capo della missione Oim in Libia, Othman Belbeisi, persone per i quali spesso i familiari sono costretti a pagare tra i 200 e i 500 dollari in veri e propri mercati. Alle spalle di tutto questo c’è una vera e propria tratta degli schiavi, persone che vengono prelevate in Nigeria, Senegal o Gambia. E tutto questo alla luce del sole.
Ma si tratta di qualcosa che Europa e Italia sembrano non vedere. La prima troppo impegnata nel cercare di evitare il tracollo, specie dopo la Brexit (che è stata seguita dalla Dkexit e dalla Czexit) e a prendersi cura dei rifugiati e i profughi provenienti dalla Turchia (dove i casi di sfruttamento minorile sono ormai un problema atavico). La seconda troppo affaccendata a sbrogliare la matassa ONG emersa dopo la decisione del procuratore generale Ambrogio Cartosio di indagare sui traffici di migranti attraverso il Mediterraneo (ad oggi, però, ad essere indagate sarebbero solo alcune persone e non le ONG con cui collaborano).
La Voce di New York, durante lo stake-out con i giornalisti fuori dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU di lunedì, ha chiesto a Bensouda cosa pensasse degli accordi europei e dell’Italia con il governo di Tripoli per non far partire i migranti: questi rispettano i diritti umani? La risposta è stata che al suo incarico non compete commentare questi accordi, il tribunale internazionale si occupa di indagare i crimini contro i migranti e non gli accordi internazionali tra stati che sarebbero al di fuori del suo mandato. (Vedi video sotto dal minuto 8:20).
Tutte questioni che dimostrano come per la soluzione del problema dei migranti tutti i soggetti coinvolti sono ancora in alto mare. Ma nessuno di questi soggetti sembra essere in grado di soccorrere l’altro.