Lamberto Zannier è il Segretario Generale dell’OSCE, l’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa. La scorsa settimana si trovava al Palazzo di Vetro delle Nazioni Unite per partecipare ai lavori del Consiglio di Sicurezza dedicati alla pace e alla sicurezza in Europa. Zannier, dal 1978 diplomatico italiano con una brillante carriera alla Farnesina, poi a capo dal 2008 al 2011 della missione speciale dell’ONU per il Kosovo, da sei anni Segretario Generale dell’OSCE, ricopre un ruolo cruciale nell’organizzazione europea (di cui ricordiamo, fa parte anche la Russia) alla quale tocca monitorare il rispetto degli accordi di Minsk tra Kiev e Mosca. Il vasto territorio di crisi al confine occidentale tra i due paesi, negli ultimi mesi, ha visto continue violazioni al cessate il fuoco. A Zannier con l’OSCE tocca l’arduo compito di tenere sotto controllo la crisi più incandescente in Europa, quella che potrebbe portare a un vera e propria guerra aperta tra Ucraina e Russia con conseguenze inimmaginabili per la pace mondiale.
L’ambasciatore Lamberto Zannier, mercoledì 22 febbraio, ha concesso questa intervista in esclusiva a Radio Radicale e a La Voce di New York.
Segretario Generale Zannier, com’è andata questa riunione del Consiglio di Sicurezza? Tutto secondo le sue aspettative o qualcosa l’ha colpita?
“Per quanto riguarda la sostanza, la riunione si è svolta sulla falsa riga dei dibattiti che abbiamo a Vienna, quindi non mi pare che abbia introdotto ulteriori elementi se non alcuni aggiornamenti sulla situazione che purtroppo non sono tutti di segno positivo. L’elemento nuovo nel dibattito qui a New York è l’avvio di una riflessione sul migliore raccordo tra organizzazioni regionali e Nazioni Unite. Di questo si è parlato in Consiglio di Sicurezza, di questo abbiamo continuato a parlare con il Segretario Generale Antonio Guterres dopo la riunione e abbiamo già alcune idee, alcuni suggerimenti su come migliorare questo rapporto per attribuire agli organismi regionali maggiori responsabilità da parte delle Nazioni Unite e quindi attivarli di più sulla prevenzione delle crisi e la gestione dei conflitti, ovviamente con un forte raccordo con New York e il Consiglio di Sicurezza. Questo potrebbe consentire all’ONU anche di liberare alcune risorse e non doversi direttamente impegnare sul terreno ma di poterlo fare in via mediata utilizzando anche attori locali che hanno spesso una migliore conoscenza delle situazioni e possono anche facilitare un allineamento degli obiettivi politici degli attori locali per ottenere gli obiettivi delle operazioni. Quindi alle Nazioni Unite può convenire in effetti puntare di più su una maggiore ownership locale e un po’ appaltare alle organizzazioni regionali questa operazione. L’Ucraina è un po’ un esempio di questo perché l’OSCE è impegnata in prima linea, abbiamo più di 700 osservatori sul terreno. Però abbiamo anche un forte collegamento con le Nazioni Unite, stiamo stipulando in questi giorni accordi anche con il dipartimento del Peace Keeping per supporto logistico alle nostre operazioni. Le Nazioni Unite hanno esperienza ormai pluridecennale, noi in un certo senso siamo abbastanza nuovi e l’essere nuovi ci ha consentito di essere molto innovatori, soprattutto in termini di utilizzo della tecnologia nelle nostre operazioni. Direi che è una fase interessante, ma una fase molto difficile. Il Consiglio di Sicurezza ha confermato queste forti divisioni sul piano politico”.
Il Segretario Generale dell’ONU ha parlato di prevenzione fin dal momento del suo insediamento. Nel caso dell’Ucraina si tratta non di prevenzione, ma di riportare la pace su una crisi che è già ampiamente scoppiata. Cosa intende secondo lei esattamente Gutérres quando parla di prevenzione da parte dell’ONU e di altre organizzazioni internazionali che lavorano con l’ONU? Come si fa la prevenzione e cosa si sarebbe dovuto fare nel caso dell’Ucraina e in Russia per evitare quello che è poi successo?

“Sono molto d’accordo con Gutérres. Lo strumento principe dell’OSCE è quello della prevenzione. Il mio centro operativo si chiama Centro per la Prevenzione dei Conflitti, ed è un po’ il metodo di lavoro che si articola attraverso una presenza sul territorio in zone dove c’è rischio di crisi e di conflitto. Per questo la maggiore presenza sul territorio ora dell’OSCE è nei Balcani e in vari paesi (dalla Bosnia alla Serbia al Montenegro, Kosovo, Macedonia, Albania) abbiamo missioni con centinaia di persone. In Kosovo e in Bosnia ne abbiamo più di 500. La cosa importante da avere sul terreno è avere un forte raccordo con le comunità, non solo lavorare con i governi e con le municipalità ovviamente, ma operare anche con la gente. Per questo è importante avere numeri, avere persone da inserire sul terreno, mantenerle per avere una buona capacità di capire quali sono i problemi che possono manifestarsi nel tempo e potersi muovere in tempo per prevenire le crisi. Questo direi è un lavoro paziente, è un lavoro di basso profilo ed è anche per certi versi ingrato e non viene molto riconosciuto perché quando la prevenzione ai conflitti funziona, non succede nulla e quindi non c’è la notizia da dare ed è difficile trovare comprensione e sostegno. È molto più facile sventolare il successo della crisi quando si interviene in un conflitto. Infatti l’OSCE ha preso il profilo proprio con il conflitto in Ucraina quando abbiamo messo gli osservatori in una situazione di scontro armato e anche la stampa si è interessata. Questo ha dato profilo all’organizzazione, mentre molte altre attività che sono più importanti e che hanno avuto molto più successo rispetto a quello che facciamo in Ucraina, che è pure importante, sono in realtà molto meno conosciute e apprezzate”.
Dalle notizie che abbiamo letto e dalla conferenza stampa alla quale ha partecipato qui, abbiamo appreso che voi sul terreno avete la fiducia di entrambe le parti. Ci sono stati però alcuni esponenti dei separatisti che hanno manifestato dei sospetti nei confronti dell’OSCE, che avrebbe fornito informazioni all’esercito ucraino. Tra i suoi 700 osservatori ad esempio ci sono anche dei russi. Come si risolvono questi problemi relativi alla fiducia?
“Il problema della mancanza di fiducia parte dal fatto che manca tra le parti stesse. Uno dei grossi problemi che abbiamo in questo conflitto è la totale mancanza di dialogo tra le due parti. Anche nei negoziati che gestiamo a Minsk nel gruppo di contatto trilaterale, dove il progresso è estremamente lento. I negoziati procedono tra mille difficoltà di comunicazione in un clima sempre teso. Spesso facciamo anche un po’ i messaggeri tra gli uni e egli altri proponendo noi stessi delle soluzioni. Il problema della mancanza di fiducia si sposta spesso su di noi, non soltanto da parte dei separatisti, ma anche da parte degli ucraini. Se si lamentano entrambi, è un segno che se non altro siamo equilibrati nelle nostre attività. Tali manifestazioni sono normali e le tolleriamo”.
Anche se non indossate la divisa, potreste essere chiamati “caschi blu” dell’Europa?
“Le Nazioni Unite stanno guardando con interesse a questo tipo di operazione perché sta funzionando abbastanza. Se avessimo personale armato, non avremmo maggiore accesso rispetto a quello che già abbiamo. La libertà di movimento degli osservatori purtroppo è soggetta a continue limitazioni. Siamo stati fermati in maniera robusta dai separatisti che, se non ci vogliono far passare dai loro punti di controllo, non solo sfoderano i kalashnikov o le mitragliatrici, ma in un paio di occasioni hanno tirato fuori anche un carro armato. Tutto sommato l’avere dei monitor non armati è meno minacciosa come presenza e quindi riusciamo in alcune situazioni a negoziare con pazienza senza essere percepiti come aggressivi. In fondo è un metodo che in contesti come questo funziona relativamente bene”.

È stata solo un’impressione ma nella conferenza stampa non è sembrato ottimista. Adesso la situazione è migliorata rispetto a un mese fa, ma cosa ci dobbiamo aspettare ancora? Dove può scoppiare la più grande crisi, la più pericolosa non solo per l’Europa, ma per il mondo?
“Dietro a questa crisi, quello che preoccupa sono le radici di questi problemi. Allontanandoci dall’Ucraina, troviamo problemi simili anche in altre regioni dell’area ex sovietica. Guardiamo a paesi che hanno aspirazioni di integrazione in assetti istituzionali europeo ed euroatlantico come la Georgia o la Moldova, ma con regioni separatiste che invece sono filorusse e quindi fanno riferimento a Mosca. E questo in fondo è quello che vediamo anche in Ucraina, c’è uno scontro Est-Ovest in varie regioni. Ci sono anche forti posizionamenti su questi temi anche in Asia nei paesi successori dell’Unione Sovietica, di cui alcuni hanno ancora un accordo stretto con Mosca, mentre altri si stanno sganciando per prendere un’altra direzione. La geopolitica riemerge in tutto questo e bisogna chiedersi cosa fare a livello strategico per trovare un accordo più favorevole tra la Russia e l’Occidente. In questo momento siamo in rotta di collisione”.
A questo proposito, nell’intervento russo al Consiglio di Sicurezza, ci è sembrato che Mosca abbia ribadito che, se si fosse andati avanti dal 2010 con l’accordo russo-tedesco su certe questioni, questa crisi non si sarebbe verificata. L’Europa invece, secondo il Cremlino, ha preferito affondarlo per favorire l’allargamento della NATO. I russi individuano nella NATO la colpa di tutto. Lei come ha giudicato l’intervento della Russia? Ha trovato qualche novità o la posizione di Mosca rimane praticamente invariata?
“Nell’atteggiamento della Russia non c’è stata un’evoluzione particolare ma in riferimento a questo conflitto c’è in effetti un elemento relativamente nuovo e cioè che Mosca nei giorni scorsi ha riconosciuto i documenti che vengono emessi in Ucraina dalle autorità autoproclamate. Questo riconoscimento cambia anche lo status di queste zone e renderà più difficile svolgere elezioni ucraine quando queste autorità riterranno di aver acquisito uno spazio di autonomia e un riconoscimento internazionale. Sarà quindi difficile tornare indietro e mettersi di nuovo al livello di una delle tante regioni dell’Ucraina. Questo complica gli accordi di Minsk, ma in Russia hanno detto che si tratta di una misura temporanea, sperando di poter ritornare ad avere un dialogo su come organizzare le elezioni in queste zone. Lei mi chiedeva un’opinione sul futuro del conflitto, purtroppo questa non è una fase molto positiva. All’inizio del mese abbiamo avuto un periodo di combattimenti molto intensi. Ora, anche grazie alla riunione del formato della normativa del ministro degli esteri a Monaco siamo riusciti a far calmare un po’ la situazione, però il cessante fuoco che era stato concordato non è stato rispettato in maniera significativa, ci sono infatti ancora numerose violazioni. Stiamo cercando di facilitare e di monitorare il ritiro delle armi pesanti, ma vediamo che è un ritiro parziale, il che comporta il rischio di una ripresa dei combattimenti. I toni anche però stanno cambiando e la mia impressione, essendo stato anche a Monaco dove c’era la conferenza sulla sicurezza europea dove c’era anche il vicepresidente americano Mike Pence, che ha ribadito una linea di continuità con l’amministrazione Obama sulla crisi ucraina, additando le responsabilità della Russia e confermando la linea di fermezza, la linea di sanzioni. Dunque in queste ultime settimane la posizione degli Stati Uniti si è chiarita. La reazione russa a questa conferma è stata dura. Dopo le aspettative che le dichiarazioni del presidente Trump in campagna elettorale avevano creato in termini di un nuovo rapporto più collaborativo sui temi che sono di maggiore interesse per la Russia, ciò non si sta materializzando”.
Da questi ultimi giorni dell’amministrazione Trump, che nelle questioni di sicurezza sembra abbia praticamente fotocopiato le posizioni dell’amministrazione Obama, qual è la sua reazione o comunque quella dell’Europa in generale?
“A mio avviso un elemento non positivo è stata una certa ambiguità a seguito di tutte queste dichiarazioni perché si era creata un’aspettativa di un nuovo dialogo che potesse produrre risultati nel settore del disarmo e che questo potesse contribuire a creare un clima che consentisse di fare progressi sull’assoluzione della questione ucraina. Io non credo che un nuovo tipo di rapporto tra USA e Russia avrebbe creato un’atmosfera favorevole a un certo tipo di progressi. Il tema della NATO è un tema molto sensibile. Per la Russia rimane un tema centrale e si lamenta da tempo dell’OSCE per iniziative NATO, con il rischio che ciò incida sull’ottica di Mosca sull’equilibrio strategico a livello nucleare tra Est e Ovest. Stiamo vedendo segni di una corsa al riarmo, di cui si parla in Europa occidentale. Questo era uno dei temi della conferenza di Monaco: rafforzare la NATO, integrazione e una più forte politica di difesa all’interno dell’Unione Europea. Di fronte a questo la Russia si va irrigidendo e mostra una certa chiusura verso l’attuazione degli accordi di Minsk e la crisi ucraina”.
Ricordiamo che la data della riunione scelta dalla presidenza di turno ucraina del Consiglio di Sicurezza è combaciata con l’anniversario della rivoluzione che ha spodestato il presidente filorusso Janukovyč, e quindi la scelta è stata vista come una provocazione. Siamo in presenza di una nuova Guerra Fredda oppure gli Trump è talmente imprevedibile da scombinare le carte?

“C’è sicuramente un elemento di imprevedibilità e dobbiamo essere pronti a svolte improvvise. La situazione ci ricorda quella della Guerra Fredda ma il contesto è molto diverso e quindi occorre guardare a un piano più ampio, però se mettiamo a fuoco la realtà europea, i dati che abbiamo sono preoccupanti. Il rapporto con la Russia si è degradato in maniera molto seria”.
L’ambasciatore italiano Sebastiano Cardi nel suo intervento sulla sicurezza in Europa al Consiglio di Sicurezza, parlando di crisi europea, ha ricordato che quest’anno festeggeremo i 60 anni del Trattatto di Roma e dell’inizio dell’Unione Europea. Però l’Unione Europea resta in crisi e presto ci saranno elezioni cruciali in Olanda, Francia, Germania… Ora, un tema centrale è stato quello delle interferenze russe, per cui qui negli Stati Uniti si continua a indagare dopo la notizia di interferenze di Mosca nelle elezioni. Ed ci sono forti sospetti anche che hacker russi si siano addentrati nella Sua organizzazione, l’OSCE. Questa cyber war può mettere in pericolo la pace?
“Questa è la nuova frontiera della sicurezza e va presa molto seriamente. Sono stati rilevati molti episodi di attacchi cibernetici e non si sa bene se questi hacker operano autonomamente e se sono guidati da organizzazioni con obiettivi politici precisi. Il problema è più ampio ed è costituito anche dalle fake news negli Stati Uniti e dalle campagne stampa. In Ucraina abbiamo visto all’inizio del conflitto i separatisti hanno preso il controllo delle stazioni televisive ecc. E sono iniziate a circolare notizie aggressive e distorte, il che ha creato due mondi diversi di informazione capaci di creare conflitto. È probabile che ciò possa succeda anche in Europa, come la notizia della ragazzina lituana violentata dalle truppe tedesche, notizia che poi è stata immediatamente verificata dalla polizia e trovata falsa, eppure circolava ampiamente. Il problema è capire come difenderci essendo noi stessi, in quanto comunità internazionale, campioni della libertà di stampa, cercando di evitare ogni tipo di limitazione e senza sacrificare questi principi che per noi sono sacrosanti. Nell’OSCE stiamo lavorando da due-tre anni per risolvere questo problema. Tra l’altro è interessante perché al gruppo di lavoro Americano presieduto dall’ambasciatore americano, hanno partecipato anche i russi che hanno mostrato un grande entusiasmo. L’idea è di sviluppare delle misure di fiducia per avviare un dialogo nel settore della cyber security. L’idea è che se ci dovesse essere un attacco cibernetico verso le istituzioni di un paese da parte di un atro paese ci possa essere un chiarimento dichiarandolo al consiglio dell’OSCE. abbiamo anche un network di comunicazione protetto che mette in comunicazione tutte le capitali e poi ci sono altri meccanismi come consulenze con esperti”.
Ha parlato dell’entusiasmo dei russi, ma non crede che questo episodio possa servire loro per discolparsi in caso di un attacco cibernetico? Perché questo entusiasmo se loro sono i sospettati n.1? Come si fa a far partecipare in queste modalità di controlli di sicurezza chi è maggiormente sospettato?
“Questo va verificato nei fatti e capire quali siano le intenzioni dei partecipanti, ovvero tutti i paesi membri dell’OSCE. Sarebbe opportuno come meglio utilizzare tali strumenti in modo più tecnico anziché politicizzarli. Un altro aspetto da valutare è l’assistenza tecnica per avere discussioni più dettagliate sugli aspetti tecnici di questi attacchi per creare motivo di dissuasione verso iniziative future, se non pilotate, perché in caso contrario costituisce una tribuna per potersi discolpare”.
La sua organizzazione è legata alla stabilità dell’Unione Europea. A distanza di sessant’anni dall’inizio del percorso dell’UE, crede che questa crisi possa portare ad accelerare i tempi per un’Europa più unita? Lei, non solo da segretario generale dell’OSCE, ma da diplomatico italiano, da ex funzionario dell’ONU, cosa spera?
“Ovviamente spero che usciremo da questa fase senza troppi danni. L’allargamento dell’UE ha funzionato bene in condizioni di bel tempo. Con l’arrivo della crisi, una serie di paesi si rifiutano di menzionare la nozione di solidarietà, che dev’essere invece uno dei valori fondanti dell’Unione Europea. Questo è il momento di ritrovare le matrici comuni, una visione comune, ci vuole più leadership, ci vogliono più paesi che portino avanti gli elementi chiave della cooperazione in modo da poterla rivitalizzare. Sono anche un fautore della Brexit non troppo forte, credo che vada gestito con attenzione il rapporto con la Gran Bretagna che consenta agli inglese di ritrovare l’Europa come il loro partner naturale non allontanarli. La leadership sarà determinante in questo, inclusa quella dell’Italia”.