Per la prima volta, l’ONU apre le sue porte alla street art per sensibilizzare l’opinione pubblica su una delle ingiustizie più terribili dei nostri tempi: la schiavitù infantile. Dal 16 al 27 gennaio presso le Nazioni Unite, il movimento Street Art for Mankind presenta opere di celebri street artist, mostrando al pubblico la loro interpretazione dell’agghiacciante realtà del lavoro minorile e della schiavitù infantile. 15 artisti di diverse nazionalità hanno creato dipinti unici, basati sulle storie vere di alcuni bambini-operai, come portavoce dei circa 168 milioni di loro coetanei costretti a vivere nelle loro stesse condizioni. L’iniziativa è realizzata in collaborazione con le missioni permanenti di Francia, Argentina, Canada, Regno Unito, Stati Uniti e l’Ufficio Internazionale del Lavoro. All’evento di inaugurazione, introdotto dall’ambasciatore francese alle Nazioni Unite François Delattre martedì 17 gennaio al Palazzo di Vetro davanti a tanti altri ambasciatori e funzionari, era presente anche l’artista argentina Magda Love, la quale ha dichiarato: “L’anno scorso la mia vita è cambiata..sono stata invitata a dipingere per un’organizzazione chiamata Beautiful Freedom, lavorando con 60 ragazze salvate dal traffico sessuale. Le loro storie e la loro forza sono state per me fonte di grande ispirazione”. Anche Magda Love sostiene #AtThisAge, una campagna globale che mira ad aumentare la consapevolezza sui diritti di tutti i bambini all’infanzia e all’istruzione, invitando tutti noi a immaginare la vita che meriterebbero di vivere.

Tra le storie più toccanti presenti alla mostra, il francese Jo Di Bona ci racconta quella di James, bambino-pescatore del Ghana, venduto dal suo stesso padre in cerca di affari: “Essendo il più giovane – racconta James – ero l’unico ragazzino ancora disponibile. […] Solitamente, la mia giornata iniziava alle 3.00 del mattino e terminava alle 8.00 di sera. Era un lavoro molto faticoso. Mi nutrivano una sola volta al giorno e contraevo spesso gravi malattie, che non sono mai state curate in quanto impossibilitato ad accedere all’assistenza sanitaria. […] Spesso non mi era concesso di dormire poiché dovevo occuparmi di altre faccende, come rammendare le reti e pulire il pesce. Ogni tanto vedevo mia madre, che cercava continuamente di riavermi. […] Vedevo mio padre, invece, ogni volta che aveva la possibilità di fare soldi. Ma per quanto riguarda il mio benessere, non se n’è mai davvero preoccupato”.

Serkalem, 15 anni, lavora come ceramista in Etiopia fin dall’età di nove, ed è stata ritratta dal britannico Mr. Cenz. La lavorazione delle ceramiche, la tessitura e le faccende domestiche occupano le sue giornate dall’alba fino al calar del sole. La sua istruzione, la sua salute e il suo benessere psicologico hanno ricevuto negli ultimi anni un forte impatto sulla sua giovane vita a causa del lavoro estenuante. Figlia unica di un tessitore e di una ceramista da tempo malata, Serkalem si è fatta in quattro per poter garantire ai suoi genitori una vita dignitosa. “Oltre alle faccende di casa, era mio compito avvolgere il cotone intorno ai rotoli per mio padre e aiutare mia madre con le ceramiche”, racconta Serkalem, “non avevo tempo di giocare…non ho mai pensato di poterlo fare”. Le troppe ore di lavoro le hanno lasciato un dolore persistente e scarsa capacità di concentrazione. Del resto, a 15 anni, frequenta ancora la quinta elementare.

In un documentario trasmesso dalla BBC, alcuni registi hanno intervistato dei ragazzini ivoriani, i quali hanno confessato di essere stati picchiati e costretti a lavorare per ore e ore senza mai guadagnare un centesimo. Tra questi, un ragazzo che aveva lavorato per cinque anni in una piantagione di cacao, al quale fu chiesto cosa ne pensasse del consumo di cioccolato da parte di miliardi di persone sparse per il mondo. “Si godono quello per cui ho lavorato e sofferto al tempo stesso”, rispose. “Stanno divorando la mia carne”.
Raffigurato dal canadese Shalak Attack, il bambino-soldato Ishmael ha perso la propria famiglia a soli 12 anni, in seguito a un attacco al suo villaggio in Sierra Leone. Senza nessuno con cui riconciliarsi, il ragazzino perse ogni speranza, finché non incontrò sul suo cammino un villaggio gestito da un governo militare, dove trovò cibo, giochi e posti dove dormire. “Mi dissero che, se fossi rimasto lì, avrei dovuto combattere, altrimenti me ne sarei anche potuto andare. […] Stavo precipitando tra le fiamme dell’inferno e sparare è praticamente l’unica cosa che ho fatto per due anni”.

L’artista portoghese Dheo ci narra, invece, la storia di Dina, schiava sessuale in Cambogia. Venendo da una famiglia umile, Dina fu mandata dai genitori a studiare in una scuola a Phnom Penh. Lì viveva con un’altra famiglia e, non potendo contribuire alle spese, le diedero una mano a trovare lavoro come lavapiatti in un hotel lì nei dintorni. “Una sera – racconta – un uomo mi seguì mentre stavo per rientrare a casa e mi violentò. Avevo appena 17 anni. Nessuno può immaginare come io mi sia potuta sentire e che impatto abbia avuto su di me. Ma dopo quell’episodio, sono stata obbligata a diventare una professionista del sesso sotto false promesse”.
E infine la messicana KinMx ci racconta di Rani, 15 anni, schiava del grande circo indiano: “Eravamo sempre affamati poiché non ci davano da mangiare a sufficienza. Inoltre il cibo era pessimo – il tipo di mangime che si dà ai cavalli. Le verdure erano avariate e il riso pieno di sassolini. Nessuno di noi veniva pagato più di 20 rupie (17 centesimi) al mese”. […] Rina, 13 anni, ha confessato che le bambine venivano picchiate persino per aver sorriso “troppo” o non “abbastanza” durante la performance. Maya, 11 anni, salvata dal circo di Kerala, ha dichiarato: “Un giorno scoppiai a piangere mentre ripensavo alla mia famiglia e il proprietario mi ordinò di smettere. Ma non ci riuscii, così iniziò subito a bastonarmi finché non la finii”.

SAM (Street Art for Mankind) è un movimento artistico della durata di cinque anni, che vede la partecipazione di 35 dei più famosi artisti di strada dei nostri tempi, uniti in un’unica missione per dire basta al fenomeno della schiavitù infantile nel mondo. Dietro SAM vi è la storia di persone spinte da una grandissima passione, che credono fortemente nel potere dell’arte per il cambiamento sociale. I creatori sono tutti genitori dell’età di quarant’anni, provenienti dal settore delle imprese, che hanno deciso di trasformare il loro amore per l’arte in un’iniziativa che ha subito ricevuto l’appoggio di tantissimi volontari, senza l’aiuto dei quali niente sarebbe stato possibile.
La prima edizione di SAM si svolgerà a Miami, dal 10 al 20 febbraio 2017 e sarà caratterizzata da un’unica opera composta da 16 contentainer in uno spazio di oltre 1.000 metri quadrati riempiti da murales, come gigantesco tributo a tutti i bambini del mondo. Una mostra decisamente stimolante, in cui i visitatori avranno modo di vedere, ma anche di toccare, sentire e persino annusare, dando loro l’opportunità di creare un proprio capolavoro con le stesse tecniche usate dagli autori. Le prossime edizioni di SAM si terranno a Parigi, San Paolo, Dubai e Seoul.

SAM, inoltre, si pone come obiettivo quello di aiutare uno straordinario e instancabile attivista, Kailash Satyarthi, nella sua missione di lotta per i diritti e la libertà dei minori. Vincitore del premio Nobel per la pace, Satyarthi si è battuto per difendere i diritti dei bambini per oltre trent’anni. Ha organizzato marce in tutto il mondo, ha cambiato le leggi nazionali e internazionali, e liberato personalmente i bambini dalle condizioni di sfruttamento.
Al termine della manifestazione, il gigantesco capolavoro sarà scomposto e venduto all’asta. Tutti i proventi delle vendite saranno donati direttamente alla Kailash Satyarthi’s Children Foundation (KSCF) per salvare e riabilitare i bambini schiavi in tutto il mondo.