In occasione dei ripetuti tragici sommovimenti tellurici nel centro Italia, gli esperti di terremoti e vulcani hanno correttamente ricordato che ciò che ci arriva dalle viscere della Terra è vitale per la continuità del pianeta, anche se genera all’istante morte e distruzione in superficie. Senza questi fenomeni, hanno ripetuto, il nostro pianeta sarebbe da sempre senza vita vegetale e animale, proprio come i colleghi ruotanti intorno al Sole.
Il fatto di prendere atto di quanto la scienza insegna, non proibisce di preferire che terremoti ed eruzioni vulcaniche stiano il più possibile alla larga. Soprattutto, non proibisce di concepire la riorganizzazione di talune manifestazioni delle nostre società: si pensi, per un esempio a dove e come viene realizzata l’edilizia pubblica e privata, e a come le scelte umane sbagliate o evitate influenzino l’entità delle morti e delle distruzioni derivanti dai fenomeni naturali catastrofici. Il fattore umano non è estraneo agli effetti sulla biosfera dei sommovimenti della natura. Terremoti della stessa intensità uccidono in talune parti del mondo e non in altre. Molta responsabilità sta nel fattore umano, non nella natura.
Lo stesso ragionamento, da tempo viene proposto rispetto al rapporto storico che intercorre tra le modalità che, nell’epoca dell’industrializzazione e post-industrializzazione, hanno assunto la produzione gli scambi e il consumo degli esseri umani, e il cambiamento climatico.
Si prendano i dati rilasciati tra settembre e ottobre dall’Agenzia meteo delle Nazioni Unite. Abbiamo appreso che nel 2015 l’anidride carbonica (CO2) emessa dalla Terra verso l’atmosfera si è manifestata globalmente e sull’intero anno in concentrazioni medie che hanno superato la soglia simbolica di 400 parti per milione (ppm). Per l’agenzia, ciò consente di affermare che è iniziata la nuova e diversa era climatica sul pianeta Terra. Nuova sta per più calda. Più calda sta per fenomeni meteo estremi come tifoni uragani nevicate e ghiacciate da impazzire, più alto numero di incendi e più lunghi periodi di siccità, meno acqua potabile, desertificazioni di interi territori e imputridimento di altri, salinità di acque e terreni ancora fecondi decenni addietro, inondazioni e bombe d’acqua in qualunque momento dell’anno, stravolgimenti delle coltivazioni agricole e dei pascoli, innalzamento degli oceani, sparizione e distruzione di terre basse vicino agli oceani. Nuova sta per guerre e conflitti generati dai bisogni e dagli interessi indotti dal cambiamento climatico, malattie ed epidemie causate dagli effetti sui viventi dall’innalzamento delle temperature e dai fenomeni che l’accompagnano. E così via elencando danni e rischi piuttosto certi e prevedibili.
Lo scenario è terrificante. Se non ci spaventiamo davanti all’elenco dei disastri compiuti e di quelli che ci attendono è per una delle seguenti ragioni: incoscienza, incredulità, fatalismo. O forse per una sinistra mistura delle tre. Per dire: martedì 8 avremo il nuovo presidente statunitense. E’ mancato poco che la campagna elettorale si focalizzasse sulle mutande e sui calzini dei candidati, anzi in parte l’ha fatto, ma all’epocale tragedia climatica in corso d’opera, che lasceremo in eredità alle generazioni future, praticamente non si è data alcuna attenzione. Quando Donald Trump ha dichiarato che il cambiamento climatico è un’invenzione per i gonzi che la bevono, promettendo che da presidente ritirerebbe gli Stati Uniti dagli impegni assunti da Obama nella lotta al riscaldamento globale, non si è alzato nessun lamento scandalizzato dalla grande platea americana, apparentemente più interessata a palpeggiamenti extra amorosi o e-mail galeotte, che al rischio di finire arrosto o sott’acqua per gli eventi atmosferici estremi che da qualche tempo flagellano il nord America (si pensi ai recenti immensi incendi canadesi).
Il peggio in materia, si dirà, lo esprime l’ineffabile Vladimir Putin. Già qualche anno fa, di fronte alle notizie su isole e coste sommerse, piccole popolazioni di stati del Pacifico in trasmigrazione verso luoghi meno attaccabili dall’oceano, ebbe a raccontare la personale allegrezza per la prospettata apertura invernale della rotta artica ai vascelli battenti la croce di sant’Andrea, una vera manna per i sommergibili ora intrappolati sotto i ghiacci per buona parte dell’anno.
Si ammetterà che se Putin è un danno inevitabile visto che è il presidente eletto della Russia, il rischio Trump sul cambiamento climatico e sui disastri ambientali può ancora essere evitato e va assolutamente evitato.. Si ammetterà anche che l’enorme positiva influenza in termini industriali e di innovazione tecnologica a favore del miglioramento climatico e ambientale che può venire al mondo dall’apporto della potenza statunitense, vada assolutamente salvaguardata.
Da lunedì 7 novembre al 18, a Marrakech in Marocco COP22 farà il punto della situazione climatica: immaginare l’irruzione in quel consesso del convitato di pietra neoeletto Trump, sarebbe un incubo, la peggiore tragedia planetaria immaginabile.
Teniamoci la speranza che gli americani non ci infliggeranno anche quest’errore dopo i tanti fatti in materia ambientale. D’altronde, in materia la speranza è un dovere, soprattutto alla luce delle decisioni assunta, con il contributo statunitense, dalla precedente Conferenza delle Parti, la 21 a Parigi. Va aggiunto che, grazie al fatto che in soli dieci mesi, al 4 novembre risultavano superate le due soglie tecniche previste per le ratifiche (55 paesi e almeno 55% di emissioni globali, grazie a quasi 100 stati ratificanti) COP21 è in vigore dal 4 dicembre. Si pensi che gli accordi di Kyoto del 1997 sul clima, i primi della serie, ebbero bisogno di sette anni per essere ratificati. Anche questo è un auspicio di resipiscenza da parte di stati e opinioni pubbliche, che va raccolto.
Se gli effetti catastrofici di fenomeni come terremoti, maremoti ed eruzioni vulcaniche possono essere drasticamente ridotti attraverso la scelta più accurata dei luoghi dove si costruisce e l’adozione delle opportune tecnologie di costruzione, con il cambiamento climatico, come con gli effetti dell’inquinamento, si tratta soprattutto di modificare stili di produzione e consumo. L’impegno individuale, insieme alla pressione su governi e imprese, in queste faccende, conta parecchio. Se i governi iniziano ad assumere provvedimenti anche drastici in materia, ad esempio attraverso misure che fomentano la conversione dall’economia lineare all’economia circolare, come sta facendo l’Unione Europea, ciò avviene grazie alla pressione delle opinioni pubbliche. Se le imprese, in particolare le grandi e le multinazionali, vanno convertendosi al mantra della sostenibilità e della responsabilità sociale, è perché i consumatori le hanno minacciate di smettere di acquistare i loro beni se non vengono prodotti in modo virtuoso e rispettoso dei doveri ambientali. Un fenomeno popolare come quello dell’imprenditore Elon Musk, sarebbe stato impensabile all’inizio di questo decennio.
Per fare un esempio, il recente rapporto della statunitense The Nature Conservancy spiega, sulla base dello studio effettuato in 245 metropoli, che il particolato prodotto da apparati di riscaldamento /raffreddamento e traffico, risulta, nel raggio di 10 metri da un albero, tra il 7 e il 24% inferiore alla media. Aggiunge che, se ciascuno di noi investisse 4 dollari per accrescere la piantumazione di verde cittadino, avremmo ogni anno 36mila vittime da inquinamento in meno. Nel commento che La Repubblica dedica al rapporto, si ricorda che il numero di decessi annui da particolato fine (composto da particelle con diametro inferiore a 2 micron e mezzo) si aggira intorno a 3 milioni 200mila.
Tornando all’effetto dei terremoti, i tecnici sostengono che tutti terremoti sinora avvenuti in Italia non avrebbero comportato alcun danno alle abitazioni e alle persone se si fossero adottate tecnologie correttive, per costi oscillanti, nei casi meno complessi, tra 100 e 400 euro a metro quadro. Il sismologo Tom Jordan, direttore del Centro per i terremoti di University of Southern California, uno che se la batte con l’atteso Big One della faglia di San Andrea, nel 2009 fu chiamato dal governo italiano a ragionare sulle misure preventive da assumere in Italia, alla luce del terremoto dell’Aquila. Le sue idee sono in qualche cassetto ministeriale, ma i cittadini italiani non ne hanno visto alcuna applicazione effettiva.
Si dirà: fatalismo mediterraneo. No, idiozia totale.
Si prenda il decreto del governo che stabilì aiuti a chi aveva patito offesa all’abitazione, in occasione dell’alluvione che colpì alcune zone del Lazio alla fine di gennaio del 2014, e l’applicazione che ne stanno dando in sede amministrativa, proprio in questi giorni,Comuni e la Protezione civile. Si lasci pure da parte il fatto che solo a distanza di quasi tre anni si inizia a costruire il percorso burocratico che porterà un infimo numero di danneggiati a percepire la somma massima di 150.000 euro di contributo pubblico, qualunque sia il danno patito. Ciò che più interessa è che quei soldi vanno a coprire esclusivamente i danni ad abitazioni e pertinenze dirette. Non viene dato un centesimo per i costi di cura del territorio. Per capirsi, se il danneggiato ritiene necessario che innanzitutto si investa in opere che garantiscano l’appropriata canalizzazione delle acque o il loro corretto deflusso, o nella messa in sicurezza di scarpate o rupi se le paghi.
Allo stato, nonostante i proclami quotidiani per gli investimenti su territorio e prevenzione, non interessa. Detto brutalmente: lo stato dà soldi al cittadino per ricostruire un’abitazione che nella successiva alluvione andrà di nuovo sotto massi acque miste a fango, terriccio, e così via alluvionando. Cosa farà poi la Protezione civile? Emetterà, ammesso che i malcapitati sopravvivano, il nuovo assegno per ricostruire la casa che la sua idiozia ha contribuito a rispedire all’inferno.
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Comprensibile che si intervenga sugli effetti delle catastrofi naturali, specie se si tratta di salvare o garantire vite umane, ma è solo la prevenzione e quindi l’intervento sulle cause, la misura dirimente, quella che apre la nuova era di safety e security per popolazioni e abitazioni in territorio italiano.
Mentre si celebra il mezzo secolo dall’alluvione di Firenze, città unica al mondo, lamentiamo la perdita di monumenti storici, anch’essi unici, distrutti per la secolare inadempienza dello stato in fatto di prevenzione. Il fatto è che una volta persi, la vita e le opere del genio umano sono persi per sempre. Ed è così con ciò che perdiamo, a causa dell’impatto della nuova era climatica sul pianeta.
Come ha ricordato il presidente Obama in occasione della firma degli accordi COP22, abbiamo tutti l’obbligo di cogliere ogni opportunità per “salvare l’unico pianeta che abbiamo”.