Il leader mondiali si sono radunati al Palazzo di Vetro di New York in occasione del dibattito per la settantunesima sessione dell’Assemblea Generale, apertasi lo scorso 13 settembre.
Il Palazzo di Vetro si è animato fin dalle prime ore della mattinata, con i soliti rafforzati controlli di sicurezza, situati in ogni punto dell’edificio. Gli ospiti e le circostanze, d’altra parte, erano degni: il Segretario Generale Ban Ki-moon e il presente degli Stati Uniti Barack Obama hanno entrambi tenuto oggi il loro ultimo discorso all’Assemblea Generale dell’ONU, dopo rispettivamente dieci e sette anni di partecipazione consecutivi.

Il dibattito di quest’anno è incentrato sul tema dei 17 Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile (SDGs). L’evento è stato aperto dalle parole dell’attuale presidente dell’Assemblea Generale Peter Thomson che ha definito gli Obiettivi “una spinta universale per trasformare il mondo in cui ci troviamo”. “L’Agenda per lo Sviluppo Sostenibile entro il 2030 è stata adottata 361 giorni fa — ha affermato Thomson — in seguito a due anni di intense negoziazioni multilaterali. Da subito, l’Agenda ha rappresentato un faro di speranza per tutta l’umanità”. Il presidente ha proseguito affermando che, perchè gli SDGs diventino effettivi, è necessario coinvolgere tutti i settori ed ha avanzato la proposta di istituire una riunione con cadenza annuale per discutere periodicamente dei progressi fatti a riguardo. “Con questa Lista i leader di oggi lavorano per il futuro, in modo da offrire il meglio alle popolazioni che verranno. La posta in gioco è molto alta” ha affermato Thomson, puntando l’accento in particolare sull’importanza dell’implementazione dell’Accordo di Parigi sul clima, leitmotiv di tutti i vari interventi ma al quale mancano ancora le firme di 26 paesi che rappresentino almeno il 15% delle emissioni globali. Andando a considerare la situazione attuale, Thomson ha affermato: “Siamo ancora molto lontani da dove vogliamo arrivare. Troppe persone soffrono le atrocità della guerra e ideali xenofobici si stanno diffondendo. C’è solo una cosa che possiamo fare: lavorare perchè gli Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile diventino al più presto una realtà quotidiana. Durante il mio mandato, mi impegnerò perchè questo accada. Sono pienamente cosciente delle mie responsabilità”.
In seguito, il microfono è passato a Ban Ki-moon che si è rivolto per la decima e ultima volta all’Assemblea Generale in qualità di Segretario delle Nazioni Unite. Egli ha iniziato il suo discorso ricordando ai leader mondiali che la loro posizione altro non è che il riflesso della fiducia che i rispettivi cittadini hanno in loro e che, quindi, questi ultimi non vanno considerati alla stregua di una proprietà personale. “Il mio messaggio è chiaro: servite i vostri cittadini. Non sovvertite la democrazia, non sprecate le risorse del vostro paese, non imprigionate o torturate i dissidenti” ha affermato Ban Ki-moon aggiungendo che “dopo dieci anni passati a servire questa Organizzazione, oggi sono più convinto che mai che, proprio ora, abbiamo a disposizione i mezzi necessari per terminare i conflitti, la povertà e le persecuzioni. Possiamo davvero colmare il divario tra ricchi e poveri e far valere i diritti di tutti”.

Il Segretario ha poi presentato il suo report annuale riguardo ai progressi e alle azioni intraprese dall’ONU focalizzandosi in particolari su alcuni sviluppi fondamentali. Prima fra tutti la Siria, a riguardo della quale ha affermato: “Proprio quando pensiamo che la situazione non potrebbe peggiorare, ecco che cadiamo ancora più nella rovina”, facendo riferimento al recente episodio del convoglio di aiuti umanitari fatto esplodere durante la presunta tregua nel paese. In seguito Ban Ki-moon ha toccate le tematiche riguardanti la minaccia nucleare rappresentata dalla DPRK, della crescita delle rivalità geopolitiche in Europa, del tradimento al quale è stato sottoposto il popolo del Sud Sudan e dell’infinito conflitto arabo-palestinese, affermando in particolare riguardo a quest’ultimo: “Dieci anni di espansione e cinquant’anni di occupazione illegale da parte di Israele sono una follia. I palestinesi non possono continuare a vivere in questo modo, sono privati della loro della libertà e il futuro”.
Poco dopo il discorso del Segretario, l’ambasciatore israeliano Danny Danon ha tenuto uno speciale stakeout per la stampa in cui ha criticato duramente le parole di Ban Ki-moon, dichiarando: “La vera pazzia è quella dell’ONU. Invece di concentrarsi sul terrore e la paura diffusi dai palestinesi, e invece di convincere Mahmoud Abbas a ritornare al tavolo delle negoziazioni, il Segretario Generale preferisce ancora una volta criticare Israele. Questo tipo di atteggiamento deve finire”.
Ancora inconsapevole della dura risposta di Danon, Ban Ki-moon ha continuato il suo discorso nella Sala dell’Assemblea Generale offrendo il suo pieno supporto alla Dichiarazione di New York riguardante i diritti e le responsabilità verso rifugiati e migranti e, poi, dedicando particolare attenzione al ruolo delle donne affermando: “Sono contento che UN Women sia nato durante il corso del mio mandato e sono fiero di definirmi femminista”.
Il Segretario si è poi concentrato sulla “politica interna” delle Nazioni Unite dichiarando che “a volte noi stessi siamo il nostro più duro nemico”: un chiaro riferimento alla tanto incerta quanto acclamata questione della riforma del Consiglio di Sicurezza. “Troppo spesso vedo proposte ampiamente sostenute venire bloccate da pochi paesi, a volte anche soltanto da uno. La nozione di consenso non deve essere confusa con unanimità, il pubblico globale oggi pretende giustamente che un’organizzazione in cui abbiamo investito tante speranze e aspirazioni funzioni correttamente” ha affermato Ban Ki-moon invitando poi il presidente dell’Assemblea Generale e il suo successore (al momento non ancora deciso) ad esplorare la possibilità di creare un gruppo mirato a trovare soluzioni pratiche che migliorino il processo di decision-making dell’ONU.
L’attenzione del Segretario si è poi spostata sui diritti umani, definiti “un pilastro della società” per la cui protezione è necessario, tra le altre cose, anche il pieno coinvolgimento della società civile e poi sulle infinite possibilità che al giorno d’oggi offrono gli smartphones. In conclusione, Ban Ki-moon ha salutato i partecipanti all’Assemblea con queste parole: “Dopo dieci anni, ora so che lavorando insieme, uniti, possiamo farcela. Faccio affidamento sulla vostra guida e sul vostro impegno”.
L’attesa per il discorso di Obama era ormai palpabile. Egli, però, si è fatto attendere. Dopo il tradizionale discorso del presidente del Brasile tenuto quest’anno da Michel Temer (dopo l’impeachment di Dilma Roussef del 31 agosto scorso), infatti, Thomson ha annunciato l’entrata di Obama ma le sue parole sono state seguite da momenti di silenzio. Il Presidente non era ancora arrivato, ma era “in viaggio”. Il suo posto è stato quindi preso dallo speaker successivo nella lista, il presidente del Ciad Idriss Deby Itno.
Quando Barack Obama è finalmente salito sul podio la sala si è zittita, come prevedibile, e tutti coloro che fino a pochi momenti prima erano presi nelle loro chiacchiere hanno rispettosamente voltato la testa verso l’inquilino della Casa Bianca.
Obama ha iniziato il suo lungo discorso (quasi 50 minuti) ricordando i progressi fatti negli otto anni in cui è stato Presidente: il superamento della crisi economica, rafforzamento del regime di non-proliferazione, il miglioramento delle relazioni con Cuba, il trattato di pace in Colombia, la lotta al cambiamento climatico… “Tutto ciò non sarebbe potuto succedere se non avessimo agito insieme” ha affermato Obama, ricordando però che la situazione è tutt’altro che perfetta e che c’è ancora molto da fare. “Questo è il paradosso che definisce il mondo di oggi. Venticinque anni dopo la fine della Guerra Fredda, il mondo è diventato per molti punti di vista meno violento e più prosperoso, ma le nostre società sono piene di incertezze, disagi e conflitti. Ci troviamo davanti a un bivio. Possiamo scegliere di andare avanti e costruire un modello migliore di cooperazione e integrazione, o possiamo ritornare ad una situazione di divisione che porterà a guerre sulla scia delle differenze di religione e di razza. Dobbiamo andare avanti” ha affermato Obama.
Dopo l’analisi iniziale il presidente è entrato nel vivo delle sue considerazioni concentrandosi sull’idea di democrazia, ricordando come il collasso del colonialismo e del comunismo abbia dato ad un enorme numero di persone il diritto di scegliere i propri leader e di pretendere maggiore apertura e rispetto a prescindere dalle differenze religiose, sessuali o razziali. “Per migliorare davvero, però, dobbiamo riconoscere che l’attuale stato di interazione globale ha bisogno di un correzioni. Troppo spesso infatti i benefici della globalizzazione hanno oscurato il crescere delle disuguaglianze tra le nazioni e l’importanza delle identità etniche e settarie: abbiamo sacrificato le istituzioni internazionali per vincere le sfide transnazionali. La dimenticanza di questi fattori ha portato a conseguenze importanti sia nei paesi ricchi che in quelli poveri: i fondamentalismi religiosi, i nazionalismi aggressivi, un crudo populismo sia di sinistra che, più spesso, di destra cercano di farci tornare a quello che, secondo queste ideologie, era un’epoca migliore, più semplice e priva di contaminazioni” ha dichiarato Obama, precisando che “oggi, una nazione circondata da mura finirebbe solo con l’imprigionare se stessa”: una non troppo velata critica alla proposta radicale del candidato repubblicano Donald Trump, che qualche mese fa ha proposto di ergere un muro sul confine tra Stati Uniti e Messico per bloccare l’immigrazione illegale.

In seguito a questo particolare quadro della situazione Obama ha proposto al pubblico dell’Assemblea Generale anche una soluzione: “Dobbiamo iniziare rendendo il funzionamento dell’economia globale positivo per tutti, non soltanto per coloro che si trovano già ai vertici”. In questa parte il discorso di Barack Obama sembrava ricalcare quelli dell’ex rivale democratico di Hillary Clinton, quel Bernie Sanders che per mesi si è battuto da sinistra contro quei pochi che godono di risorse a cui tutti dovrebbe avere accesso. “I mercati aperti hanno migliorato gli standard di vita a livello mondiale, ma la globalizzazione e lo sviluppo tecnologico hanno indebolito le posizioni dei lavoratori e la loro possibilità di accedere ad uno stipendio decoroso. Spesso, coloro che traggono i maggiori benefici dalla globalizzazione hanno usato il loro potere politico per svantaggiare i lavoratori” ha proseguito Obama sempre in perfetto stile Feel the Bern che ha raggiungo l’apice con l’affermazione: “Un mondo in cui l’1% dell’umanità è più ricco del restante 99% non potrà mai essere stabile”. Come possiamo risolvere allora questa impasse? “Non è possibile eliminare l’integrazione così come non si può rinchiudere tutta la tecnologia in una scatola, né sarebbe corretto ritornare ai modelli falliti nel passato” ha fatto notare Obama, lanciando poi la sua soluzione: riconoscere che “le economie funzionano meglio quando si riduce il divario tra ricchi e poveri e la cresciuta ha un’ampia base sociale. Questo significa investire nelle persone, e questa è la politica che ho seguito negli Stati Uniti d’America, con risultati chiaramente positivi”.
Obama si è poi dichiarato totalmente a favore di modelli di governo che coinvolgano e risultino affidabili per le persone. “Non credo che l’America potrebbe, o dovrebbe, imporre il proprio sistema di governo sugli altri paesi. Ma nel crescente contrasto tra liberalismo e autoritarismo, voglio precisare che non sono affatto neutrale. Credo in un ordine politico liberale, basato non soltanto sulle elezioni ma anche sul rispetto dei diritti umani e della società civile, e su un sistema giudiziario indipendente dal potere”.
Le critiche si sono poi spostate verso le proposte di coloro che sostengono la necessità di un “leader unico” che comandi e si imponga in maniera decisa (un altro riferimento a Trump?) e i toni duri utilizzati nei confronti dell’eterna rivale: la Russia. “In Europa, i progressi fatti dai paesi che appartenevano al blocco sovietico e che oggi hanno scelto la strada della democrazia sono molto più marcati rispetto a quelli che hanno preferito un percorso diverso” ha affermato Obama, per poi accusare direttamente il capo del Cremlino, Vladimir Putin: “In un mondo che si è lasciato alle spalle il periodo dei Grandi Imperi, la Russia cerca ancora di recuperare la gloria perduta attraverso l’uso della forza” e ancora: “Se la Russia continua ad interferire negli affari degli altri paesi potrà risultare popolare a livello nazionale, ma in questo modo fomenta fervori nazionalisti che a lungo andare renderanno meno sicuri i suoi confini”.
Per quanto riguarda la lotta al terrorismo e all’ISIL (Islamic State of Iraq and the Levant, o anche ISIS), definito “una minaccia dai metodi medievali”, Obama ha affermato: “gli orientamenti settari, estremisti e violenti non saranno eliminati velocemente, ma la comunità internazionale deve continuare a collaborare con coloro che vogliono costruire invece che distruggere. Questo significa restare uniti per sconfiggere le organizzazioni come l’ISIL, che non hanno alcun rispetto per la vita umana”. Strettamente collegato è il problema dei crescenti flussi migratori verso i quali il presidente si è posto adottando un approccio sentimentalistico e particolarmente empatico: “Dovremmo tutti immaginare che le sofferenze dei rifugiati capitino alla nostra famiglia, ai nostri bambini”.
In un discorso dominato da continui salti temporali tra la realtà attuale e l’ordine bipolare della Guerra Fredda, da Barack Obama alla sua ultima Assemblea Generale ha elogiato il capitalismo come metodo vincente, riconoscendo però allo stesso tempo le necessità di modifica e adattamento alle nuove sfide poste dalla situazione attuale. Non uno sterile elogio alla potenza dei potenti ma, al contrario, un appello ad un maggiore coinvolgimento della popolazione nelle decisioni, unico modo per vincere contro i nazionalismi e gli estremismi che vogliono riportarci nel passato. In alcuni passaggi un Obama agli sgoccioli del suo ultimo mandato sembra essere tornato al 2008, quando era in campagna elettorale per la Casa Bianca e sembrava guardare con lucidità ai difetti dell’America e del sistema capitalistico globale. In questo suo ultimo discorso all’ONU, sembra che il primo presidente afro-americano, abbia lanciato un messaggio forte e chiaro al mondo ma anche a quei cittadini che lo elessero due volte alla Casa Bianca e ora si apprestano a farlo di nuovo: ecco quello che io non sono riuscito a fare in otto anni di presidenza e che ancora bisogna aggiustare per migliorare la nostra società.