Mentre in Gran Bretagna il Primo Ministro David Cameron è riuscito ad ottenere un’ampia maggioranza dei voti parlamentari ( 397 contro 223) in favore dell’intervento militare nei cieli della Siria (che sta avvenendo in queste ore), in Italia la parola guerra desta apprensione e il premier Matteo Renzi la respinge in toto.
Fa da eco alla posizione renziana la Presidente della Camera Laura Boldrini che rinforza il no alla guerra definendolo "uno scontro di civiltà" e prosegue sostenendo che "errore nefasto sarebbe la chiusura delle frontiere".
Si discosta leggermente la posizione del ministro della difesa Roberta Pinotti che in una intervista rilasciata all’Espresso, pur evocando l’importanza di una strategia politica/diplomatica sostiene che "i bombardamenti non dovrebbero essere considerati una parola tabù".
In questo clima di profonde incertezze, La Voce di New York ha raccolto le idee e riflessioni sugli eventi di Parigi del Professore Giovanni Capoccia dell’ Università di Oxford. Il Professore Capoccia in Inghilterra insegna relazioni internazionali. L’analisi delle istituzioni, il processo di democratizzazione e il confronto delle diverse politiche europee sono l'oggetto delle sue ricerche. Il Professor Capoccia è stato premiato con il ‘Best Book in European Politics Award’ dalla American Political Science Association, per il suo testo Defending Democracy: Responses to Extremism in Interwar Europe e il suo attuale progetto di ricerca verte sul ‘Reshaping Democracy after Authoritarianism’.

Giovanni Capoccia
Professore cosa può aver spinto questi ragazzi francesi e belgi a sparare sui loro coetanei ?
"Non credo che si possa parlare di una sola causa. E' chiaro che in molti casi l'emarginazione e l’alienazione hanno giocato un ruolo nel rendere 'reclutabili' per manifestazioni di estremismo religioso e persino di violenza terroristica alcuni di questi soggetti. In questi casi, la prospettiva di una visione della vita differente, con uno scopo preciso dettato da una visione fondamentalista, può essere stata percepita come una prospettiva di riscatto da una vita di marginalità e insoddisfazione. E' indubbiamente importante favorire l'integrazione, specialmente nel mercato del lavoro, delle minoranze etniche e religiose. Non credo però che questo sia l'unico problema da risolvere, per quanto importante. Non tutti i terroristi che hanno agito in nome di una interpretazione fondamentalista dell' Islam erano alienati sociali. Il lavoro sull'integrazione va accompagnato da una maggiore sorveglianza sulla propaganda fondamentalista e i potenziali canali di indottrinamento e radicalizzazione".
Può dare una spiegazione al fatto che circa 4000 europei e 250 americani si sono uniti all’ISIS, fenomeno che non si era verificato con Al Qaeda?
"Ha avuto importanza certamente la caduta di alcuni regimi autoritari nel mondo arabo seguita alle 'primavere' del 2011, che, dopo alcune illusioni iniziali di democratizzazione, ha di fatto fornito nuove possibilità ai movimenti fondamentalisti, offrendo loro nuove prospettive e dunque rendendo più attraente unirsi all' ISIS di quanto non fosse entrare in Al Qaeda. Il presentarsi dell' ISIS come uno stato è un altro fattore che probabilmente ha un ruolo, per i motivi che ho menzionato".
Potrebbe tracciare una differenza e/o similarità fra ISIS e Al Qaeda?
"Al di là di rivalità varie, la differenza più rilevante mi pare essere che l' IS pone una pretesa di statualità. Questo significa, almeno in principio, presentarsi come in controllo di un territorio, di una burocrazia, di risorse. Ciò può essere percepito dalle potenziali reclute come una prospettiva di integrazione in un sistema diverso da quello in cui vivono e in cui la loro visione fondamentalista è compiutamente realizzata nella società".
Lei intravede delle responsabilità della situazione attuale nella modalità sia dell’invasione dell’Iraq sia della successiva uscita dall’Iraq?
"Riguardo l'Iraq, mi pare che un problema importante sia stato soprattutto il non gestire la transizione post-Saddam Hussein in maniera ordinata. Lo smantellamento di fatto di molte strutture del regime ha probabilmente creato ed esacerbato molti dei problemi che hanno poi portato ad una escalation di violenze in alcune regioni dell'Iraq".
Si è molto parlato in questi giorni della vendita di armi ai paesi Arabi e l’Italia è paese venditore di armi soprattutto all’Arabia Saudita. In base alla legge 185 (comma 6, articolo 1) il governo italiano potrebbe bloccare la vendita di armi in paesi in guerra (l'Arabia Saudita attualmente intervine nella guerra civile in Yemen con dei bombardamenti). Può darci la sua idea sulle alleanze che l’Italia ha con i Paesi Arabi?
"Decisioni unilaterali da parte del governo italiano avrebbero probabilmente effetti limitati. Il governo può certo prendere una decisione di principio, ma la cosa più efficace sarebbe quella di fare pressione sugli stati che hanno una posizione ambigua rispetto all'ISIS affinché questi modifichino tale posizione".
Quindi, secondo lei, di quali misure dovrebbe darsi l’Europa per fronteggiare il problema terrorismo?
"Gli stati Europei più grandi, come la Francia, l'Italia e la Germania, hanno avuto esperienze di terrorismo interno in anni relativamente recenti. Dunque hanno le capacità per fronteggiare attacchi terroristici. Il terrorismo di matrice islamico-fondamentalista però presenta almeno due importanti differenze con le forme di terrorismo domestico degli anni '70 che non vanno sottovalutate nel delineare una strategia di risposta efficace. La prima è la natura suicida almeno di parte di questo terrorismo. Le strategie volte a prevenire le azioni di terroristi che non vogliono essere catturati ed uccisi sono necessariamente diverse da quelle necessarie per combattere terroristi che non esitano a sacrificare la propria vita per portare a termine i loro piani. La seconda differenza è che questo terrorismo è connesso, a torto o ragione, alle minoranze religiose presenti nei paesi europei. Questo rende estremamente delicata l' operazione di controllare i processi ed i canali di propaganda e reclutamento di potenziali terroristi. Eventuali misure restrittive, per quanto queste colpirebbero solo una piccola parte delle minoranze islamiche, potrebbero essere percepite come illegittime restrizioni della libertà di culto, il che potrebbe creare problemi ai governi sia in termini di opinione pubblica che in termini di rispetto di convenzioni internazionali".
Come vede la posizione di tutti coloro che non sono d’accordo con l’intervento militare?
"L'intervento militare è probabilmente necessario, ma è certo che non sarà sufficiente se non accompagnato da una visione strategica su come gestire la ricostruzione di quelle regioni. Alla base di tale visione deve esserci una coalizione internazionale ampia. Ciò che mi pare decisivo in questa fase, senza sottovalutare i costi dell' intervento militare, è il lavoro diplomatico necessario a formare tale coalizione".
Per finire, dopo i recenti tragici eventi sarà forse necessario un maggiore controllo alle frontiere e forse altre misure di limitazione delle libertà individuali. Secondo lei il processo democratico e di unione dei paesi europei potrebbe essere rallentato o addirittura messo in pericolo con l’escalation dei movimenti populistici estremi?
"Alcune misure di questo genere sono già state messe in atto da diversi governi europei. Credo che saranno prese ulteriori misure di questo tipo, almeno nel breve termine. Di per se', alcune (limitate) restrizioni delle libertà democratiche non sono incompatibili con la democrazia come essa si è sviluppata in Europa. E' importante che nelle circostanze attuali tali misure siano limitate a quanto strettamente necessario a combattere e prevenire il terrorismo, con le necessarie garanzie di controllo giudiziario e, dove ciò è appropriato, limitazione nel tempo. In questo senso, credo che tali misure siano un male necessario, perché' aiuteranno i governi in carica non solo a combattere in maniera adeguata al terrorismo, ma anche a rispondere alla propaganda dei movimenti populisti e xenofobi".