Grazie all’inaspettata e irrituale anticipazione del vaticanista Sandro Magister del gruppo Espresso, immediatamente sospeso a tempo indeterminato dalla sala stampa della Santa Sede, l’enciclica di papa Francesco Laudato si’ fa il giro del mondo, incassando consensi nei piani alti della politica internazionale, quegli stessi che, con i loro comportamenti, hanno generato molti dei “gemiti” di dolore dell’umanità che il Santo Padre fa suoi nel testo oggi diffuso (“Queste situazioni provocano i gemiti di sorella terra, che si uniscono ai gemiti degli abbandonati del mondo, con un lamento che reclama da noi un’altra rotta”.)
Il testo, quasi 200 pagine, è in perfetta consonanza con l’apostolato sin qui esercitato dal papa argentino. Vi si ritrova l’ispirazione francescana già nel titolo, evocativo del Cantico delle creature del poverello d’Assisi (“Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra matre terra”), la scelta di stare nel solco dell’Evangelo di Cristo e quindi dalla parte dei poveri e degli ultimi, lo sconfinato amore misericordioso per il genere umano e la preoccupazione per il destino della sua “casa comune” come viene chiamata la Terra nel titolo dell’enciclica papale.
Dai primi commenti disponibili, si tende a mettere l’accento sugli aspetti “ecologici” del documento: i movimenti di partito e di opinione tinti di verde gridano al successo e arruolano il papa nelle loro fila. E’ successo con tutti i papi, da Pio IX in poi, il tentativo di incasellare i pontefici nella categoria dei “filo-qualcosa” o “pro-qualcosa”, dimenticando che un papa è innanzitutto erede di Pietro e capo della chiesa di Gesù, un capo religioso che parla di Dio al suo popolo e a chi lo vuole ascoltare, anche se, come Gesù, non può e non deve chiudere gli occhi di fronte ai bisogni dell’uomo. Gesù guariva e risuscitava, dava cibo e vino alla gente e scacciava i mercanti dal tempio, dichiarava beati i “poveri in spirito” e spiegava ai ricchi che per essi entrare “nel regno dei cieli” sarebbe stato complicato quanto far passare un cammello nella “cruna di un ago”. Lo stesso fa il papa quando si occupa di sociale, di economico, di politico, ma il suo resta, comunque e sempre, il punto di vista del capo religioso. E, difatti, dopo il primo capitolo nel quale Francesco fotografa il mondo così come gli si presenta denunciando il deterioramento della qualità della vita umana e la degradazione sociale, la perdità di biodiversità e l’inequità planetaria, Bergoglio dedica il secondo capitolo al “Vangelo della creazione” con quasi trenta pagine di pura teologia. E a contenuto teologico sono anche il quarto capitolo sulla “Ecologia integrale” con i richiami al principio del bene comune e alla giustizia, e il sesto con i richiami alla dinamica della Trinità, a Maria madre, ai segni sacramentali. Non casualmente l’enciclica è suggellata dalle due orazioni finali: “Preghiera per la nostra terra”, “Preghiera cristiana con il creato”.
Per questa ragione, registrati gli immediati complimenti dell’ex segretario generale Onu Kofi Annan e dell’attuale Ban Ki-moon, che giocano la carta della scelta pontificia sul riscaldamento globale, è utile raccogliere un commento a contenuto etico e teologico, approfittando dell’estrema cortesia del collega Simone Morandini, esperto di etica ambientale, docente di Teologia della Creazione presso la Facoltà Teologica del Triveneto: “Si tratta di un’enciclica importante da molti punti vista: vi troviamo un forte richiamo alla tutela di un pianeta minacciato da una forma di sviluppo insostenibile, assieme alla dura critica dell’inequità di un’economia asimmetrica ed escludente. Di più, tali istanze si radicano in una densa ispirazione teologica, radicata nell’esperienza di Francesco d’Assisi (non casuale il titolo), ma soprattutto in un’approfondita rilettura delle Scritture. Un testo, insomma, che recupera e rinnova la grande tradizione etico-sociale cattolica, ad intrecciare radicalità socio-ambientale e forte intensità spirituale".
Con Morandini ritengo che, “intrecciando” gli aspetti del sociale con quelli strettamente teologici, riusciamo a percepire l’autenticità del messaggio che Francesco lancia al mondo. Innanzitutto il papa parla della “casa comune” come un “creato” (da Dio) e un dono affidato alla nostra “cura”. E’ visione eminentemente religiosa del pianeta che cozza con quella dello sfruttamento esasperato delle risorse, e con il principio di esclusività proprietaria che lo genera. Nella visione cristiana (e non solo, si guardi al buddismo) gli umani sono di passaggio e possono solo “usare” le risorse, possederle per qualche tempo per svilupparle e consegnarle a chi verrà dopo per il loro uso temporaneo. La “casa comune” (oikos, da dove deriva il termine ecologia) può certamente essere un concetto laico e scientifico (molti sono i richiami di Bergoglio alla forza delle prove scientifiche del suo ragionare), ma è qui concetto eminentemente religioso, in quanto segno del legame tra creatore, e creato, e tra le creature tutte, animali inclusi.
E’ in tale contesto che questioni irrinunciabili come l’inquinamento, il riscaldamento globale, l’eccesso di consumo del pianeta vengono a porsi. Il cosiddetto Ecological Footprint richiama da tempo che consumiamo entro il 18 agosto (overshoot day), le risorse che dovrebbero bastare per l’intero anno, accumulando di conseguenza deficit che non siamo in grado di ripagare. I comportamenti della contemporaneità stanno dilapidando ciò che gli ecosistemi hanno accumulato e messo a disposizione in 3 miliardi di anni. E’ dall’inizio degli anni settanta che consumiamo più della capacità di riproduzione rinnovabile del pianeta. Noi italiani facciamo fuori 4 volte le risorse annuali disponibili sul nostro territorio. Il Giappone fa peggio: 7 volte. Tutti insieme come Terrestri consumiamo ogni anno il 50% in più di quanto il pianeta possa poi riprodurre. E infatti il papa dice: “Mai abbiamo maltrattato e offeso la nostra casa comune come negli ultimi due secoli”, riferendosi all’industrializzazione e chiedendo nuove leadership per un “sistema normativo che includa limiti inviolabili e assicuri la protezione degli ecosistemi”.
E’ inevitabile che ciò accada? E cosa succederà quando i grandi asiatici e gli africani, come tutti auspichiamo, raggiungeranno un livello di vita comparabile al nostro? Se i 7 miliardi di abitanti del pianeta godessero del livello di vita medio degli statunitensi, avremmo guerre, conflitti, rivoluzioni, ulteriori distruzioni: il pianeta, con l’attuale sistema economico in forza, semplicemente non può permetterselo.
E allora? E allora il sistema capitalistico così come lo conosciamo e la società del consumo e del Pil crescenti, non è in grado di gestire il mondo così come si afferma in questo secondo decennio del XXI secolo. E qui soccorre la parte economica dell’enciclica di Francesco, con gli strali lanciati contro le degenerazioni dell’economia di mercato e la bulimia della finanza. Il primo papa che arriva a Roma da un paese in sviluppo sa bene cosa sia lo sfruttamento delle risorse del sud del mondo e lo denuncia, sa bene cosa sia essere strangolati dal debito concepito da classi dirigenti nazionalistiche corrotte e spietate e sostenuto dalle banche internazionali, e lo denuncia. Chiede alla politica e all’economia internazionale la riconsiderazione umanistica e antropocentrata dell’attuale situazione, per decisioni sensate che partano dalla consapevolezza del disastro in cui ci siamo cacciati e generino comportamenti favorevoli al bene comune planetario. L’economia del consumo è sul fondo dell’imbuto e deve uscirne, retrocedendo a stili di vita sensati: peraltro, non può esserci società dei consumi se si distruggono i beni che si presume dover consumare!
Se si ascolta il messaggio pontificio con un occhio a quanto sta accadendo in questi giorni nella piccola casa europea, dove il nazionalismo torna a battere i suoi piedi di ferro e si rilanciano antiche barriere tra i popoli, ci si chiede come possa l’utopia religiosa del papa auspicare uno scenario di questo tipo a livello universale, con governi disposti a cedere pezzi di sovranità in nome di un progetto di salvezza planetario. La risposta è che non c’è alternativa alla speranza (che per il papa, si accompagna alla fede).
E però, schierarsi in economia ufficialmente contro i poteri forti, in particolare della finanza, comporterà diversi dispiaceri al papa. Il primo gli arriva già oggi da Krishore Jayabalan, direttore di Istituto Acton, think tank cattolico molto influente negli Stati Uniti, che da sempre punta a conciliare dottrina sociale della Chiesa e capitalismo, Vangelo e ricco epulone. Scrive che Bergoglio ha effettuato una “analisi parziale”, che “trascura ciò che i mercati e la finanza hanno storicamente fatto per fornire aria pulita, acqua e una maggiore certezza di accesso al cibo…”. Senza peli sulla lingua lamenta: “devo ammettere che resto deluso quando il papa attribuisce la maggiore responsabilità del danno ambientale e sociale all’economia di mercato. Sembra che la colpa di tutti i nostri problemi ….. sia dei mercati, dei consumi eccessivi e soprattutto della finanza, piuttosto che della tendenza umana al peccato”. Ci è andata bene che non sia stato evocato il demonio in prima persona, oltre al peccato.
Joseph Stiglitz, premio Nobel dell’Economia, docente a Columbia, qualche giorno fa a Trento ha ripetuto con chiarezza che la disuguaglianza è una scelta politica, specificando che è in particolare vero negli Stati Uniti. La “grande frattura” (titolo del suo ultimo libro) tra troppo ricchi e troppo poveri non appartiene evidentemente al solo messaggio pontificio. Stiglitz ha ricordato che l’1% della popolazione mondiale ha in mano ¼ del reddito planetario, e che negli ultimi trent’anni la forbisce è cresciuta di 4 volte. Le opportunità di salire nella scala sociale, la salute, il diritto alla giustizia sono resi impossibili in questa situazione, perché tutto ha un costo eccessivo per chi non ha soldi. La società statunitense è stata resa ingiusta più di sempre, da Reagan in poi: al 90% della popolazione nella parte bassa della scala sociale è stata tolta ogni possibilità per far crescere il reddito. E se gli Usa sono stati i maestri di ingiustizia, in tanti sono stati i follower, Italia inclusa.
Il papa chiama alla consapevolezza delle “responsabilità diversificate” e si rivolge innanzitutto ai più potenti, agli Stati Uniti, richiamando la parola dei vescovi americani quando hanno sostenuto che è “opportuno puntare ‘specialmente sulle necessità dei poveri, deboli e vulnerabili, in un dibattito spesso dominato dagli interessi più potenti’”. Al tempo stesso il Santo Padre denuncia la “sottomissione della politica alla tecnologia e alla finanza”.
La soluzione proposta è tutta religiosa: tornare a mettere al centro della storia il Dio dei padri, “Dio onnipotente e creatore”. In alternativa si adorano altri dei, come fecero gli ebrei in fuga dall’Egitto, mentre Mosè era sul Sinai, con il vitello d’oro. “Il modo migliore per collocare l’essere umano al suo posto e mettere fine alla sua pretesa di essere un dominatore assoluto della terra, è ritornare a proporre la figura di un Padre creatore e unico padrone del mondo”. I non credenti nel “Padre creatore”, potranno comunque condividere l’antropocentrismo di Francesco: che ciascuno stia al suo posto e si smetta di fare danni irreparabili all’oikos comune.