“Con la pena di morte, ogni sbaglio diventa irreversibile”, sono queste le parole con cui Mario Marazziti, attivista, giornalista e presidente del Comitato per i diritti umani della Camera dei Deputati, introduce il suo ultimo libro uscito negli Stati Uniti, 13 Ways of Looking at the Death Penalty (13 modi di vedere la pena di morte), in occasione della presentazione all'Istituto Italiano di Cultura, venerdì 10 aprile.
È fondamentale abolire la pena di morte, dice Marazziti, “per cancellare dalla mente, quell'idea che, in circostanze speciali, uccidere è accettabile. Specialmente se le condanne sono legittimate dal governo, allora uccidere diventa corretto. Ma questa è una contraddizione delle società democratiche che portano ad una cultura di morte”.

Mario Marazziti, giornalista e attivista, autore di 13 Ways of Looking at the Death Penalty
Fin da giovane, Marazziti si è battuto per i diritti umani e per l'abolizione della pena di morte negli Stati Uniti, e nel mondo. La prima volta che è entrato nel braccio della morte – spiega al pubblico – è stato per conoscere Dominique Green, lo statunitense condannato a morte da una giuria di soli giudici bianchi – in Texas – negli anni '90, e che visse più di 12 anni nel braccio della morte.
“Il caso di Dominique Green, è il tipico caso di molti condannati innocenti, in quanto non sono davvero colpevoli. Perché il sistema statunitense ha una falla, infatti non si basa su prove concrete, ma solo su testimonianze e confessioni […] E questa ingiustizia sociale, è inconcepibile”.
Negli Stati Uniti, spiega Marazziti, il 50 per cento delle sentenze si basa su confessioni. Un condannato su 7, è in genere innocente. Nel 2003-2004, si è scoperto che esistevano più di 12.000 “prove” tenute nei seminterrati della polizia, che non sono “mai saltate fuori, o mai state mostrate, nei tribunali”, aggiunge l'autore.
Negli ultimi anni, stati come New York, Connecticut, Maryland, New Mexico, New Jersey, Illinois hanno abolito la pena di morte, ma in più di 30 stati la pena è ancora vigente.
I 13 modi per vivere senza la pena di morte (che l'autore non ha voluto spiegare durante la presentazione del libro, spiegando che bisogna leggere il volume per capire perché siano 13 e di cosa si tratti), descrivono l'irrazionalità e la disumanità della pratica, la quale, se abolita, renderebbe la società più sicura e felice. L'autore spiega infatti che la pena di morte non ha nulla a che vedere con la sicurezza dei cittadini, né con la gravità della pena.

La copertina del libro 13 Ways of Looking at the Death Penalty appena uscito negli USA
“La pena di morte non è mai un deterrente. Non esiste infatti una correlazione tra il numero di esecuzioni, ed il numero di (crimini) – sottolinea Marazziti – la pena di morte è uno strumento discriminatorio, basato su pregiudizi razziali, che cambia da stato a stato, ed è mostrabile già dalla scelta della giuria, come nel caso di Green”.
Ma la pena di morte non è solo una questione americana. Dal 2007, sono sempre di più i paesi che aderiscono alla moratoria non vincolante emanata dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite sull'abolizione della pena di morte. Ogni anno, due o tre paesi decidono di abolire la pena capitale, spiega Marazziti. “Questo perché gli standard sociali sono cambiati. La pena di morte non è più vista come una pratica normale, e molti paesi hanno capito che è tempo di creare nuovi standard basati sulla vita, ed il rispetto dei diritti umani”.
Ma non tutti i paesi seguono questi standard. Il report annuale pubblicato da Amnesty International dice che globalmente, nel 2014, le sentenze di morte sono aumentate del 28 per cento rispetto al 2013, ma le esecuzioni sono calate del 22 per cento – con almeno 607 esecuzioni.
Secondo lo studio condotto da Amnesty Cina, Iran, Arabia Saudita, Iraq, Egitto e Nigeria sono i paesi con il più alto numero di condanne a morte, spesso giustificate in nome della lotta al terrorismo fondamentalista. “Ma anche in Cina, le esecuzioni stanno diminuendo ad una rapidità incredibile, con un calo del 30 per cento negli ultimi anni” commenta Marazziti.
Il mondo sta affrontando una sfida terribile, il terrorismo fondamentalista, dichiara Marazziti a La VOCE di New York a conclusione del suo intervento all'Istituto di Cultura. Recentemente, la Giordania, l'Indonesia ed il Pakistan hanno reintegrato la pena capitale. “Ricorrere alla pena di morte per debellare il terrorismo è una tentazione, una scorciatoia, ma non è lo strumento giusto”, sottolinea Marazziti.
Co-fondatore della Coalizione Mondiale contro la Pena di Morte nel 2002, e portavoce della Comunità di Sant'Egidio, ONG Italiana a difesa dei diritti umani e promotrice del dialogo inter-religioso tra le fedi, Marazziti aggiunge che il terrorismo non può mai essere una scusa per ricorrere alla pena capitale. Secondo l'autore, i governi che rispondono ai gruppi terroristici con condanne pubbliche, è come se buttassero benzina sul fuoco, innescando una guerra. La pena di morte non è la soluzione al terrorismo: “Infatti, non fa altro che seguire la stessa strategia e mentalità dei Daesh [ISIS, nda] quando mandano i loro video con le uccisioni: non si fa altro che ricreare una struttura di terrore”.