L’Organizzazione Non Governativa Freedom House ha pubblicato un dettagliato rapporto sulle condizioni della Penisola di Crimea dall’occupazione russa ad oggi. Il rapporto analizza lo stato di deterioramento dei diritti umani in Crimea con l’avvio dell’occupazione e dell’annessione della regione, già autonoma, alla Federazione Russa. La situazione di elevata criticità inizia nel Febbraio 2014 e continua ad intensificarsi a causa della legislazione russa che impone una serie di misure oppressive per la popolazione della regione. Provvedimenti legislativi che non sono conosciuti all’estero e che l’informazione occidentale “dimentica” di pubblicare.
Tra le nuove disposizioni vi è la prescrizione della cittadinanza russa, restrizioni alla libertà di parola e di associazione, acquisizione di beni privati e dello stato ucraino da parte delle autorità russe, misure repressive sui media indipendenti, persecuzione verso i critici dell’annessione, minacce e persecuzioni nei confronti di minoranze religiose e gruppi etnici percepiti come sleali e non graditi al nuovo ordine istituzionale. Tali violazioni sono in contrasto con le norme sui diritti umani fondamentali e in alcuni casi in antitesi con il diritto internazionale. Per tutto il periodo che ha caratterizzato le manifestazioni di “EuroMaiden”, dal Novembre 2013 al Febbraio 2014, la situazione non ha avuto nessun significativo mutamento. L’occupazione e l’annessione della Crimea nei primi mesi del 2014 ha dato avvio ad una serie di violazioni gravi. La penisola ha visto annullarsi tutte le manifestazioni politiche pro-ucraina.
Per analizzare al meglio quello che sta accadendo è importante riconoscere che l’annessione della regione alla Russia non è il risultato naturale di un processo sociale e politico della popolazione della Crimea. Secondo un sondaggio del 2011, condotto dal Centro Razumkov, il 70% degli intervistati, nella regione di Crimea, ha dichiarato di considerare l’Ucraina la propria patria. Le cifre aumentano tra i tatari della Crimea, intorno all’ 80%. Tra gli abitati della Crimea intervistati solo il 18.6% ha dichiarato di non guardare all’Ucraina come propria patria. Durante i mesi di preparazione all’annessione della penisola, lo stato russo ha lanciato una campagna mediatica e di repressione nei confronti dell’Ucraina definendo “fascisti” coloro che nella regione non sostenevano le ragioni dei separatisti. Questa è la retorica utilizzata nei confronti del movimento “EuroMaiden”.
La disinformazione è viaggiata parallelamente all’annessione. Durante i giorni dell’occupazione vi sono stati una serie di eventi significativi che hanno prodotto una degenerazione dei costumi e delle abitudini nella penisola: l’arrivo dei combattenti Cosacchi dalla regione di Krasnodar della Russia, truppe armate con attrezzature e unità aviotrasportate e il sequestro di molti edifici pubblici, porti e aeroporti della regione. I quadri politici delle amministrazioni comunali e di Sebastopoli sono stati sostituiti, aprendo la strada all’occupazione sancita dal referendum del 16 Marzo, referendum non riconosciuto dalla comunità internazionale. Durante le votazioni le truppe “separatiste”, compresi i Cosacchi, hanno isolato i valichi di frontiera, i porti e gli aeroporti, controllando i seggi elettorali e le funzioni degli Uffici addetti al voto referendario. Tali condizioni continuano a persistere in Crimea per mantenere un clima di disinformazione, intimidendo chi mette in discussione la legalità dell’annessione russa. Antonio Stango, segretario generale del Comitato Helsinki Italia per i diritti umani, dai microfoni di Radio Radicale, ha ribadito che l’informazione pubblica sbaglia nel definire “guerra civile” quella in corso in Ucraina, invece, si dovrebbe parlare di una vera e propria aggressione della Federazione Russa nei confronti dell’Ucraina.