L’Eurogruppo dà il via libera alla Grecia, che ora ha quattro mesi di tempo per mettere a punto nei dettagli le proposte di riforma presentate nelle linee generali. Per il momento il braccio di ferro che oppone Atene alla “troika” ha dunque una tregua. Ad aprile il governo Tsipras dovrà sottoporre a Unione Europea, Fondo Monetario e BCE in cosa consiste il vero piano di sviluppo per il paese; se avrà il via libera, i creditori daranno seguito all'esborso dell'ultima tranche di aiuti da sette miliardi; e a quel punto, per dirla con il presidente dell'Eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem, “sarà possibile sedersi al tavolo dei negoziati un'altra volta per discutere la sostenibilità del debito ellenico”. Debito che è arrivato a soglia 181 per cento del PIL, circa 324 miliardi. Un debito che, com’è evidente, non potrà mai essere rimborsato per intero, comunque senza una sua “ristrutturazione”. Insomma, il ragionamento, in termini grezzi è: meglio avere qualcosa tra un po’, che nulla subito.
Yannis Varoufakis, il ministro delle finanze greco, ha parlato di “ambiguità costruttiva”, e sia Bruxelles che Atene hanno in qualche modo cantato vittoria. Forse, più propriamente, meglio sarebbe stato cantar sconfitta. Non solo per gli impegni assunti, per la supervisione internazionale, per l’impegno a non rivedere nessuna delle misure imposte dalla trojka negli anni scorsi, comprese le privatizzazioni avviate; e ciò contraddicendo parte degli impegni elettorali assunti da Tsipras.
Unione Europea, Stati Uniti, hanno in mano un’arma potente: il portafoglio. Atene in cassa ha pochissima liquidità, i cui rubinetti sono letteralmente in mano dei creditori. La decina di miliardi custoditi fino alla scorsa settimana nei forzieri della banca centrale greca, sono stati trasferiti al Fondo salva-Stati di Bruxelles per evitare che Tsipras ne facesse usi diversi da quelli previsti dalle intese (la ricapitalizzazione degli istituti di credito). Qualcosa vuol dire. La Grecia non può emettere titoli di Stato (e comunque, chi li comprerebbe?); l'unico canale di finanziamento per tenere in piedi la macchina dello stato sono i fondi d'emergenza garantiti dalla Bce. Il governo di Syriza è ostaggio dei suoi partner, che in ogni momento sono in grado di staccargli la spina. E Tsipras? Ha fatto una grande scommessa sulla sua capacità riformatrice: se riuscirà a mandare in porto davvero la parte di programma più gradita alla Ue (lotta a corruzione, evasione fiscale, burocrazia, sprechi) libererà le risorse per mantenere le promesse fatte agli elettori. Potrà così rivendicare con qualche legittimità di aver trasformato questo lungo braccio di ferro in una vittoria, sia pure a metà.
Ma per uscire da questa visione angusta e miope. Quanto accade è l’ennesima conferma che quella che abbiamo sotto gli occhi è un’Unione Europea costituita da una sommatoria di “patrie”, e non di “popoli”. E’ altra l’Europa sognata, vagheggiata, indicata fin dagli in cui il totalitarismo nazista e fascista dilagava ovunque, e loro erano confinati nell’isola di Ventotene. L’Europa era in fiamme, resisteva solo il fiero Regno Unito da una parte, a Stalingrado si lottava con le unghie e i denti; gli Stati Uniti erano ancora lontani…e due “matti”, Ernesto Rossi e Altiero Spinelli concepivano ed elaboravano “Il Manifesto di Ventotene” che sarà prefato da Eugenio Colorni, e “disegnava gli Stati Uniti d’Europa. Una federazione, come aveva insegnato Luigi Einaudi, sul modello della Svizzera e degli Stati Uniti. Un qualcosa che in parallelo, e autonomamente, sognava anche il socialista cristiano Ignazio Silone, rifugiatosi a Zurigo, dove aveva dato vita alle “Nuove edizioni di Capolago”, vecchia testata del federalista Carlo Cattaneo. Tutti federalisti…
Un’Europa anni dopo sognata, vagheggiata dagli Alcide De Gasperi, Maurice Schumann, Konrad Adenauer, e perfino da Winston Churchill…
Hanno fatto invece, coloro che sono venuti dopo, questa roba qui. Non è l’Europa che sogniamo, che vogliamo, di cui c’è urgenza e necessità. Abbiamo l’euro, non abbiamo un valore, non abbiamo l’idea di una comunità, di un’appartenenza. Il Texas, il New Jersey, il Missouri, la California, l’Idaho…stati con le loro caratteristiche, le loro tradizioni e costumi…ma cementati dall’essere tutti americani. “God bless America”, si canta con orgoglio. “Dio benedica l’Europa” non ha lo stesso suono, valore. Noi siamo ancora italiani, francesi, spagnoli, tedeschi…Ci vorrà tempo, tanto tempo, prima che “Il Manifesto di Ventotene” diventi il nostro “manuale” come sono gli articoli del “Federalist Papers” di Alexander Hamilton, John Jay, James Madison. Solo allora, finalmente, si potrà dire che la Grecia e tutti noi abbiamo vinto.