Quando manca poco più di un mese alla Festa Internazionale della Donna dell’8 marzo, le Nazioni Unite hanno celebrato oggi la Giornata della Tolleranza Zero per le cosiddette FGM o Female Genital Mutilation (infibulazione) la procedura che consiste nella rimozione chirurgica parziale o totale del clitoride e di altre parti dell’apparato riproduttivo femminile.
Quello messo in evidenza dal Segretario Generale dell’ONU Ban Ki-moon nel suo discorso di presentazione su questo argomento, è che lo sforzo principale della comunità internazionale quest’anno deve essere il tentativo di dissuadere gli operatori sanitari di quei paesi nei quali questa procedura è ancora presente, dal perpetuare questa pratica che affonda le sue radici nella tradizione di ben 29 nazioni africane e mediorientali.
“Il cambiamento comincia ad emergere dall’interno delle stesse comunità – ha detto il Segretario Generale – Rompere il silenzio che circonda l’infibulazione e sfatarne i miti costituiscono i primi passi verso l’eliminazione completa di questa pratica. Con una mobilitazione generale di tutti: donne, uomini e giovani in tutti i 29 paesi per i quali sono disponibili dati su questo problema, è possibile, per questa generazione, metter la parola fine ad un problema che interessa circa 130 milioni di donne”.
Secondo le stime delle Nazioni Unite, la pratica della mutilazione genitale femminile non ha alcuna applicazione medica. Al contrario, arreca seri danni fisici e psicologici alle donne che ne sono vittime, spesso in tenera età come testimoniato dal crudo resoconto personale di Jaha Dukureh, una donna del Gambia che ha provato sulla propria pelle gli orrori legati a questa usanza.
“Alcuni gruppi hanno già preso posizione nei confronti di questa procedura. Il rifiuto da parte dell’Associazione delle Levatrici in Mauritania ad esempio, di continuare a praticare l’FGM, è motivo di ispirazione e speranza per il futuro – ha dichiarato ancora Ban Ki-moon – Ma occorre anche fare in modo che i genitori non aggirino le barriere poste dalla comunità medica e cerchino procedure alterrnative per le loro figlie”. Una conseguenza questa che finirebbe solo per esacerbare il problema.
La celebrazione di oggi al palazzo di Vetro è stata co-organizzata dall’UNICEF, dall’UN Population Fund (UNFPA) in collaborazione con la Confederazione Internazionale delle Levatrici e della Federazione Internazionale di Ginecologia ed Ostetrica.
Anche l’Italia ha svolto un ruolo di alto profilo nell’iniziativa come c’era da aspettarsi visto l’impegno sostenuto a suo tempo da Emma Bonino, già Commissario Europeo e poi Ministro degli Esteri che, nella sua veste di fondatrice della ong “Non c’è Pace Senza Giustizia”, spinse il governo italiano a portare fino in fondo questa battaglia per i diritti umani.
La Missione Italiana all’ONU è stata una dei promotori e dei maggiori sostenitori di questo progetto assieme alle rappresentanze di altri paesi come la Norvegia, l’Argentina, il Burkina Faso, la Liberia, il Benin e Djibouti.
Intervenuto all’evento al Palazzo di Vetro, l’ambasciatore italiano pesso le Nazioni Unite Sebastiano Cardi ha confermato che “La lotta contro l’infibulazione resta una priorità per l’Italia sia all’estero che sul suo territorio nazionale dove, di recente, alcuni casi sono stati individuati all’interno di alcune comunità straniere. L’evento di oggi che l’Italia ha contribuito a sponsorizzare, è parte del nostro continuo impegno nel corso degli anni. Un impegno ad affiancare i paesi africani e tutti coloro che condividono con noi l’obiettivo di eradicare questo problema”.
“Come già affermato dal Segretario Generale Ban Ki-moon – ha aggiunto l’ambasciatore Cardi – l’Italia è convinta che questa battaglia possa essere vinta solo con la partecipazione attiva della società civile”.
Gli organizzatori hanno rilasciato una dichiarazione congiunta che definisce il problema in termini di violazione di diritti umani.
“L’infibulazione viola i diritti umani di almeno 3 milioni di giovani donne ogni anno – si legge nel comunicato – ed è illegale in molti paesi dove tuttavia la pratica sopravvive al di fuori dei confini della legge. Questa procedura inoltre, costituisce una forma di discriminazione sessuale nei confronti delle donne”.
La più alta concentrazione di vittime dell’infibulazione è in Egitto che interessa circa il 90% delle donne ma anche altri paesi come la Somalia e la Guinea condividono questo triste primato.