La vittoria di Alexis Tsipras ha già offerto numerosi spunti di dibattito. I più importanti, ovviamente, riguardano la fattibilità delle sue promesse elettorali. Tuttavia, vorremmo qui partire da un aspetto ampiamente trascurato: l’imperioso bisogno di credere che afferra gli individui e le masse quando sembra che ogni speranza si sia dileguata.
Quando gli individui e le masse hanno la fondata speranza di poter essi stessi determinare il corso della loro vita, il bisogno di credere è, in generale, soppiantato dal bisogno di fare. Da qualche decennio a questa parte, però, quella speranza è venuta meno, e il bisogno di credere ha ripreso il sopravvento.
Il grande ritorno delle religioni nella sfera pubblica ne è una delle manifestazioni più importanti e, probabilmente, durature. L’incertezza, il disordine e il disorientamento sono diventati i tratti dominanti non solo delle relazioni internazionali, ma della vita degli individui. In assenza di soluzioni visibili, molti si affidano alle soluzioni invisibili.
Altri si affidano a soluzioni che sembrano visibili: la speranza di veder resuscitare le loro speranze li porta a credere in alcuni personaggi, elevandoli al rango di semi-dei, da cui ci si aspetta una miracolosa inversione della deprecata direzione imboccata dalla storia.
Non è una novità dei nostri giorni: sempre vi sono stati “uomini mandati dalla Provvidenza”, a cui masse di fedeli hanno affidato i propri destini, e le proprie vite, nella speranza di ottenere un piccolo angolo di paradiso in terra, o quantomeno, un inferno appena un po’ più clemente. La novità dei nostri giorni è semmai che questi uomini diventano essi stessi la Provvidenza. Almeno per il tempo, solitamente breve, in cui i loro fedeli conservano la fede.
Alexis Tsipras è solo l’ultimo della serie. Presto diventerà il penultimo, visti i successi annunciati di Pablo Iglesias in Spagna. Lo hanno preceduto Barack Obama, ma anche Giuseppe Grillo o Narendra Modi, senza ovviamente dimenticare Silvio Berlusconi ben prima di loro, o addirittura François Hollande. Oggi, in Francia, si allena per occupare quel ruolo, finalmente, una donna: Marine Le Pen. Ogni volta, le speranze sono le stesse: il semi-dio (o la semi-dea) risolverà i nostri problemi, sconfiggerà la corruzione, promuoverà gli onesti, farà trionfare il bene sul male. Fino a prova contraria: cioè fino a quando, inevitabilmente, sarà necessario trovarsi un altro semi-dio (o semi-dea) preposto agli stessi miracoli. Gli dèi mutano, insomma, ma la fede, quella, non muore mai.
Se qualcuno per caso volesse essere risparmiato dall’epidemia, la geopolitica può essere un efficace antidoto. Infatti, essa studia innanzitutto i vincoli dell’azione politica, cioè l’insieme delle condizioni date in cui si trova ad operare la volontà politica. La libertà d’azione non sta nell’ignoranza dei vincoli ma, al contrario, nella loro conoscenza: più si conoscono i limiti a cui si è sottoposti, e più si è liberi di agire. Si noti che questo vale in tutti i campi: la volontà di andare a fare un pic-nic nel parco può concretizzarsi solo se si ha conoscenza del vincolo meteorologico; se lo si ignora, non si sarà più liberi, ma solo, forse, più bagnati.
Alla luce dei vincoli in cui è costretta la Grecia, Tsipras ha promesso ciò che non può mantenere. Come aveva fatto François Hollande prima di lui: eleggetemi, aveva detto allora Hollande, e andrò a Berlino a ricacciare in gola l’austerità a chiunque osi prospettarla alla Francia. L’esito lo si conosce: non solo Hollande ha dovuto accettare il vincolo europeo con la coda tra le gambe, ma lo ha fatto di malagrazia, cercando di non scontentare né i suoi fedeli né Bruxelles, col risultato di trovarsi con una crescita azzerata, una disoccupazione in costante aumento, e un indice di popolarità in zona retrocessione.
La situazione greca è, lo si sa, incomparabilmente peggiore di quella francese. Oberato dai debiti, Tsipras ha di fronte a sé tre possibilità: onorarli, finendo così per riprendere là dove il suo predecessore si era interrotto; cercare una (assai più impraticabile) penosa via di mezzo à la Hollande; oppure affrontare il default e trascinare la Grecia nel baratro finanziario, col risultato di aggravare le condizioni dei suoi compatrioti anziché alleviarle.
Va da sé che questa terza ipotesi avrebbe ripercussioni ben oltre i confini della Grecia: a cominciare dagli europei, ma a seguire con tutti gli altri, americani e cinesi compresi, tutti sarebbero chiamati a pagare i cocci rotti. Per questo, essa appare di gran lunga la più improbabile. Il che viene a dire che Tsipras è condannato a deludere le masse attualmente osannanti dei suoi fedeli in uno degli altri due modi.
Per cercare di alimentare il più a lungo possibile la sua aura fra molto poco declinante, Tsipras ha bisogno, oggi, di mostrarsi arcigno sul fronte tradizionalmente più consono ai sentimenti dei suoi compatrioti: quello dell’indipendenza nazionale. Incaricati alla bisogna, il telegenico e sportivo ministro delle Finanze Yanis Varoufakis; e il meno telegenico, ma più genuinamente nazionalista, ministro della Difesa Panos Kammenos. Quest’ultimo, tanto per non sbagliarsi, oltre al nemico tedesco designato per comodità di propaganda, ne ha scelto un altro, comune a molti altri aspiranti semi-dei del mondo intero: gli immigrati.
Anche i più deboli hanno sempre qualcuno più debole di loro su cui rivalersi.