Dopo i sanguinosi eventi degli ultimi giorni che hanno ulteriormente infiammato le situazioni dei territori mediorentali, nei quali lo stato di massima allerta è diventato oramai una costante, nella mattinata di giovedì, presso l’aereoporto internazionale di Beirut, si sono svolte le esequie di Francisco Javier Soria Toledo, il caporale spagnolo dei caschi blu dell'UNIFIL tragicamente morto durante gli scontri a fuoco tra i militanti Hezbollah libanesi e le Forze di Difesa Israeliane. Le forze israeliano erano intervenute contro gli Hezbollah come reazione ad un precedente attacco delle milizie libanesi sciite che aveva ucciso due soldati israeliani. Il casco blu spagnolo si trovava in una posizione dell’Onu presso il villaggio di Ghajar, lungo il confine tra Libano ed Israele, una delle zone più problematiche dell’intera area. Ricordiamo che le forze dell'UNIFIL (United Nations Interim Force in Lebanon) sono sotto il comando del generale italiano Luciano Portolano. Lo schieramento UNIFIL in LIbano è di oltre diecimila soldati provenienti da 32 paesi. L'Italia, con 1119 soldati, ha il secondo contingente più grande (dopo l'Indonesia con 1289) e gli è stata affidata dal Consiglio di Sicurezza dell'ONU, per la seconda volta di seguito, il comando della missione, una circostanza inedita che dimostra la particolare efficacia dei comandi militari italiani nell'assicurare il successo della missione.

Il generale Luciano Portolano (a destra) con i rappresentanti del governo spagnolo (Foto UNIFIL)
Immediate e numerose si sono susseguite le reazioni a livello internazionale riguardo il tragico accaduto di mercoledì: il Primo Ministro della Spagna, Mariano Rajoy, ha espresso le sue condoglianze alla famiglia Soria Toledo tramite un messaggio su Twitter ed l'ambasciatore spagnolo alle Nazioni Unite Román Oyarzun Marchesi, dopo aver manifestato la sua preoccupazione per l’esponenziale aumento del livello di instabilità di quest’area, ha precisato in maniera inequivocabile che il suo connazionale è stato ucciso da colpi scagliati dalla parte israeliana. Il Ministro degli Affari Esteri italiano, Paolo Gentiloni, nel porgere le condoglianze al Ministro iberico, ha anche affermato che il nostro Paese “…auspica che si ponga fine ad atti di violenza e azioni militari nel sud del Libano e che si torni alla normalità secondo le regole stabilite dalla Risoluzione 1701 dell’ONU”.
La controparte israeliana, tuttavia, non ha tardato ad esporre la sua versione dei fatti mediante il suo Ministro degli Esteri Avigdor Liberman, il quale ha referito al suo collega spagnolo, Jose Manuel Garcia-Margallo, che le responsabilità del tragico episodio sono totalmente da attribuire ad Hezbollah; questa interpretazione, a quanto pare, non ha convinto appieno il governo spagnolo che ha ufficialmente interpellato le Nazioni Unite per chiarire l’accaduto ed accertare le responsabilità, dirette o meno, delle varie parti. L’Onu, dal canto suo, tramite il suo portavoce Stephane Dujarric, si è limitato solo ad affermare che “la causa precisa di morte è ancora indefinita e rimane oggetto di investigazione” mentre, sia con le frasi di Sigrid Kaag, Coordinatrice Speciale dell’organizzazione, sia attraverso i comunicati del Segretario Generale Ban Ki-moon, ha più volte manifestato la sua preoccupazione per il peggioramento delle condizioni generali nella parte meridionale del Libano e ha invitato tutti a ritrovare la moderazione per arginare l’escalation di violenza.
Almeno per il momento, dunque, Israele, secondo l’Onu, non è il colpevole della morte del caporale spagnolo appartenente all’UNIFIL, ma i dubbi provenienti dal governo di Madrid e le azioni compiute negli ultimi giorni, soprattutto in ambito politico, da Israele lasciano alcuni dubbi sulla sua reale posizione, ad esempio, nella lotta contro l’Isis; lo Stato Islamico di matrice estremista ha, senza dubbio, fra i suoi obiettivi la lotta contro "il Sionismo", eppure in comune con Israele ha la determinazione nel condurre una risoluta battaglia contro l’Iran ed i suoi alleati, ovvero i libanesi di Hezbollah.
Proprio la scorsa settimana, Israele in Siria ha attaccato una colonna Hezbollah uccidendo un generale iraniano, Mohammad Ali Allahdadi, che si trovava a supporto dello sforzo militare degli Hezbollah contro l'Isis e in difesa del regime di Assad. L'attacco Hezbollah dentro Israele di mercoledì scorso, che ha ucciso due soldati di Israele, è vista come la risposta degli sciiti libanesi supportati dall'Iran contro Israele dopo l'attacco israeliano in Siria della settimana precedente.
“Il nemico del mio nemico è mio amico”: questa, comincia sempre più ad apparire la tattica di Israele, il quale reputerebbe di gran lunga più pericolosa l’organizzazione sciita Hezbollah e l'Iran, piuttosto che l’Isis; tale linea venne confermata, ad inizio novembre, anche dall’ambasciatore israeliano in Italia, Naor Gilon, che, a margine di un convegno a Roma, disse: “La vera minaccia è il rafforzamento, grazie all’atomica, di Teheran. Non solo perché l’Iran è lo sponsor di nemici storici di Israele come Hezbollah o di Hamas, sebbene quest’ultimo movimento sia sunnita. Ma anche perché le capacità militari nucleari dell’Iran innescherebbero una corsa al riarmo in tutta l’area…Per tali motivi, l’Iran rimane per noi, da un punto di vista strategico, il pericolo numero uno.”
Lo stato israeliano, quindi, considera l’esistenza dello Stato Islamico quasi unicamente in chiave anti-iraniana e, di conseguenza, anti-Hezbollah. L’unica nazione che potrebbe perlomeno raffreddare gli incandescenti attriti tra Israele ed Iran, sono gli Stati Uniti: quest’ultimi, se da una parte non rinuncerebbero mai alla partenership con lo storico alleato dell’area mediorientale, Israele, dall’altra, con l’avvento del nuovo governo guidato da Hassan Rouhani, hanno lentamente iniziato un complicato percorso di normalizzazione delle relazioni con l’Iran, che vede l’attenuazione delle sanzioni inflitte a quest’ultimo in cambio della sua decisa riduzione delle attività nucleari. Israele è, però, tutt’altro che accondiscendente nei confronti dell’Iran e ripone scarsa fiducia anche nelle frasi rassicuranti di Obama poiché teme che la volontà degli americani di sconfiggere l’Isis, porti il governo statunitense a confidare troppo nei buoni propositi raggiunti con il presidente Rouhani.
La situazione attuale nel Medioriente è, dunque, sempre più intricata e ben lontana dal trovare una rassicurante stabilità, autentica chimera più che reale previsione anche soltanto osservando la storia degli ultimi decenni; quest’enorme polveriera, dove ognuno sembra nemico dell’altro, potrebbe, però, riservare delle sorprese e delle inaspettate collaborazioni, certamente adoperate solo per fini tattici e non per reali intenti di unione, che ci riportano ad un’altra epoca nella quale, pur di sconfiggere il nemico nazista, l’Unione Sovietica di Stalin e gli Stati Uniti di Roosevelt, con società e modi di pensare agli antipodi, si allearono solo per precise necessità di quel momento. Oggi, probabilmente, seppur in un diverso contesto e con dinamiche differenti, tale scenario potrebbe ripetersi.