Quando mercoledì a Parigi si era da poco consumato uno dei più gravi attacchi contro la libertà di stampa e di espressione, al Palazzo di Vetro delle Nazioni Unite molti giornalisti stavano ricevendo gli auguri per il nuovo anno dal Segretario Generale Ban Ki-moon il quale, nel suo breve intervento al club dell'UNCA (l'associazione dei corrispondenti dell'ONU) che doveva essere appunto un brindisi al 2015, ha colto l'occasione per esprimere parole di costernazione e condanna per quanto avvenuto in Francia.
Prima ancora che le agenzie e le TV diramassero i nomi dei sospettati dell'attacco terroristico, noi de La VOCE abbiamo cominciato un giro degli uffici del terzo e quarto piano del Palazzo di Vetro, cercando la reazione dei corrispondenti ONU a questo attacco alla libertà di stampa e di espressione. Nel rispondere, alcuni hanno accettato di farsi filmare, altri hanno risposto ma rifiutando di essere ripresi mentre altri ancora si sono tirati indietro del tutto affermando di non avere l'autorizzazione da parte delle loro testate a rilasciare dichiarazioni.
Questo é un resoconto della reazione a caldo (nel nome di alcuni giornalisti trovate anche il link con il video delle loro dichiarazioni integrali in inglese), che alcuni giornalisti internazionali al Palazzo di Vetro hanno avuto sulla strage che ha ucciso a Parigi dieci giornalisti del magazine satirico Charlie Hebdo e due poliziotti che avevano cercato di difenderli.
La giornalista francese Marie Bourreau, recentemente in Afghanistan per diverse pubblicazioni e appena giunta all'ONU, fa notare che "Charlie Hebdo era una rivista posta sotto la protezione della polizia già da tempo per la pubblicazione, nel 2011, di vignette considerate 'offensive' nei confronti del Profeta Maometto e rappresentava un bersaglio prevedibile.. Ovviamente non mi aspettavo qualcosa di così grave, ma per un attacco in Francia, sicuramente Charlie Hebdo era il bersaglio prevedibile".
Per Marie, "Ban Ki-moon ha reagito un po' in ritardo, ma ha condannato con forza l'attacco. Ma in fondo che poteva fare?" Malgrado la violenza dell'attentato non si sente "cambiata" nel modo di essere e fare giornalismo: "Quando si è giornalisti lo si è ogni minuto, questo non cambia nulla. Ma in questo momento mi sento come se avessi perso qualcuno nella mia famiglia. Quando si attacca un giornalista o un giornale, è come se si attaccassero tutti i giornalisti e tutti i giornali".
Joseph Klein, del Canada Free Press, all'uscita del briefing giornaliero con il portavoce del segretario generale del"ONU, ci dice: "Da quello che abbiamo letto sembra un attacco terroristico di Jihadisti, che per me è un termine 'ombrello' che può comprendere organizzazioni come ISIS o Al Qaeda, ma anche Hamas… Sicuramente gli attentatori erano ben addestrati, e da come hanno condotto l'operazione avevano ben studiato l'attacco". Joseph ha chiesto al portavoce di Ban Ki-moon, perché il segretario generale nella sua prima dichiarazione non abbia usato la parola terrorismo. Soddisfatto della risposta? "Gli do il beneficio del dubbio, forse é stata solo una dimenticanza…"
Nel commentare le risposta dell'ONU e del Segretario Ban Ki-moon, Benny Avni, corrispondente della radio israeliana Kol Israel e che dall'ONU scrive anche per il New York Post ha detto che "il segretario generale ha perfettamente ragione nel dire che questo attentato mina le fondamenta della libertà ma sbaglia nell'affermare che non dobbiamo lasciarci dividere dalla violenza di questo atto barbarico. Io voglio essere separato e diviso da coloro che credono che il Kalashnikov sia più forte della penna. Essere divisi e combatterli".
Per Cia Pak, giornalista foto reporter di Scannews, l'attentato é fondamentalmente "un atto codardo perché ha preso di mira persone inermi ma, a prescindere da chi ne é veramente responsabile, é un'azione il cui scopo é chiaramente quello di seminare il panico". Cia non si sente cambiato da quello che é accaduto, nel modo i cui esercita il mestiere di giornalista: "Siamo un po' come dei soldati e le nostre armi sono le penne e le macchine fotografiche. Questo é il nostro mestiere e se non prendiamo atto dei pericoli ad esso legati tanto vale andare a fare i tassisti".
Matthew Lee, il giornalista-blogger che con il suo InnerCityPress copre 24 ore X 7 giorni i lavori al Palazzo di Vetro, mette in rilievo che "gli attacchi contro la stampa avvengono con frequenza in ogni parte del mondo ma un'azione da commando militare come quella avvenuta contro Charlie Hebdo, sembra costituire un 'salto di qualitá' rispetto a quanto normalmente accade contro i giornalisti".
Matthew rivolge anche una critica ai modi e ai tempi con i quali il Segretario Generale dell'ONU ha condannato l'attacco secondo lui in modo troppo "tardivo e che non ha ricevuto la copertura che si sarebbe meritata sul canale televisivo delle Nazioni Unite UN News".
Sul modo in cui la tragedia tende a cambiare in qualche modo l'attività dei giornalisti Lee ha affermato che "esistono sempre pressioni sul lavoro dei giornalisti persino all'interno delle Nazioni Unite. Ricordiamoci inoltre che la libertà di espressione é anche quella dei siti integralisti che stanno celebrando l'attentato di Parigi". Per Matthew un altro effetto negativo dell'attacco consiste nel fatto che "il senso di autocensura possa essere in qualche modo percepito solo dalle organizzazioni giornalistiche più piccole perché i grandi nomi come il New York Times o Reuters hanno le risorse necessarie a proteggere i propri giornalisti e questo potrebbe tradursi, in qualche modo, in un monopolio implicito sulle notizie".
Anche Evelyn Leopold, che con l'Huffington Post copre le Nazioni Unite, considera l'attentato di Parigi come un'attacco contro la libertà di stampa e mette in risalto il fatto che, a quanto pare, "gli attentatori non avevano un accento particolare. Sembrano essere cittadini francesi. Ma quello che non capisco è come abbiano potuto procurarsi quelle armi, la Francia non è come gli Stati Uniti, in Europa ci sono regole molto severe sulla vendita e possesso di armi".
Per quanto riguarda l'effetto personale sul suo ruolo di giornalista, Evelyn ha affermato: "Non so ancora se e come questo attentato possa aver cambiato il mio lavoro. Quello che posso dirti é che oggi mi sta tenendo incollata alla tv per tutto il giorno".
Per Maurizio Guerrero, dell'agenzia messicana Notimex "quello contro Charlie Hebdo é certamente un attacco contro la libertà di espressione e di stampa seppure contro un giornale estremamente controverso per la 'sfrontatezza' con la quale prendeva in giro sia musulmani che cristiani". Per quanto riguarda i responsabili Guerrero ha dichiarato che "non sappiamo ancora con sicurezza chi sia dietro questo attacco. Dalle ultime notizie si parlava di estremisti provenienti dallo Yemen ma, quello che sappiamo per certo é che si tratta di fondamentalisti intolleranti e bigotti che sono sul piede di guerra contro i valori delle democrazie occidentali che temono il potere delle idee."
Anche per Maurizio la reazione di Ban Ki-moon "é stata un po' tardiva, e strana per il fatto che si é rifiutato di rispondere alle domande dei giornalisti. Se si parla di libertà di stampa ci si aspetterebbe il che il Segretario Generale risponda alle domande della stampa". Poi Maurizio ci fa notare che lui, come tutti i giornalisti messicani, sente molto forte a livello emotivo gli attacchi contro la libertà di stampa proprio per la situazione in Messico, dove i giornalisti ogni giorno sono sotto attacco.
Il giornalista Khosro Shayesteh dell'Agenzia iraniana Irna, ci dice che un attentato del genere non se l'aspettava. Khosro preferisce non andare in video, ma risponde lo stesso alle nostre domande. "Si, si tratta sicuramente di un attacco alla libertà di stampa. L'Isis sembra essere il sospettato principale, ma bisogna aspettare per essere certi e capire megliio".
Khosro é pianamente soddisfatto dalla reazione di Ban Ki-moon e dell'ONU: "Il segretario generale, il Consiglio di Sicurezza, l'Unesco e anche le altre agenzie umanitarie hanno reagito adeguatamente".
Alla domanda se i fatti di Parigi hanno cambiato la percezione del suo ruolo di giornalista, Khosro ha risposto: "Direttamente e indirettamente ha certamente un effetto sul tuo senso di sicurezza. Ma per quanto mi riguarda, no. Mi comporterò allo stesso modo di come ho fatto finora".
Per la collega francese Célhia de Lavarene, corrispondente dall'ONU per News Africa and Le Journal De L'Afrique, "questo è stato chiaramente un attacco contro la libertà di stampa". Célhia ha considerato la risposta delle Nazioni Unite e del Segretario Generale prevedibile, ministeriale "in linea con quello che sono tenuti a dire ogni volta che si verifica un'episodio di questo genere". Mentre in relazione all'effetto deterrente che la violenza svolge sul lavoro dei giornalisti Célhia ha messo in risalto che esistono differenze tra giornalisti e giornalisti: "Noi siamo in una situazione privilegiata. Noi siamo a New York alla sede dell'ONU. Non siamo sul campo dove il lavoro del giornalista é effettivamente pericoloso. Ma, in genere, a mio avviso, per un motivo o per un altro il concetto di libertà di stampa come dovrebbe essere veramente, non esiste più".
Nabil Abi Saab, di Alhurra Tv (Libano), accetta di rispondere alle domande, ma non vuole apparire in video. "Penso che questo attacco potesse essere previsto, dato che questa rivista già in passato aveva avuto delle minacce perché si occupa spesso di argomenti religiosi… Penso che le autorità' francesi si aspettassero qualcosa, ma probabilmente non di così brutale. Dopo l'esperienza delle vignette sul giornale danese una cosa come questa era ampiamente prevedibile…"
Riguardo alla reazione di Ban Ki-moon Nabil dichiara: "Veramente questi leader dicono sempre le stesse cose, usano sempre le stesse parole, ma poi dalle loro dichiarazioni non scaturisce mai una azione a lungo termine da parte delle istituzioni. Secondo me il Consiglio di Sicurezza dovrebbe intervenire rafforzando l'ombrello che protegge i giornalisti, perché i giornalisti sono sempre sotto attacco, sia se lavorano in città come Parigi o New York, sia se si trovino nelle zone di conflitto in Africa o Medio Oriente".
Nabil, sei un giornalista diverso oggi? "No, non penso di essere diverso oggi da ieri. Questo purtroppo non é stato il primo attacco e non sarà l'ultimo contro i giornalisti. Penso che molti si aspettassero una cosa del genere, soprattutto quando superano certe 'linee rosse' su alcune questioni. Quindi dico che io rimarrò lo stesso giornalista".
Cem Ozdel, fotografo per l'agenzia turca Anadolu che non vuole apparire in video, ci dice, a poche ore dall'evento di Parigi: "Terribile. Ma non possono essere stati dei musulmani a fare una cosa del genere, non ci credo. Chi ha commesso questo atto non può essere un musulmano". Sulla libertà di stampa in generale, Cem ha voluto aggiungere una sua prospettiva sull'America: "Sono stato recentemente a Ferguson in Missouri, per fare delle foto durante i disordini legati all'uccisione di Michael Brown. Un poliziotto è venuto da me e mi ha minacciato dicendo che se avessi continuato mi avrebbe sbattuto in galera per giorni. Questa non è libertà di stampa".
Anche per Roger Hamilton-Martin corrispondente dell'agenzia internazionale IPS, l'attentato era facile da prevedere: "Charlie Hebdo é stato già nel mirino del terrorismo nel 2011 per il tipo di satira molto irritante che non risparmia nessuno. Questo è al 100% un attacco alla libertà di stampa".
Al lavoro accanto a Roger, c'è Alexandra Zevallos-Ortiz, cittadina austriaca e studentessa di giornalismo in Francia, ora a New York per uno stage alle Nazioni Unite. Alexandra considera l'attentato, più che un attacco alla libertà di stampa, "un attacco al mondo occidentale perpetrato non tanto da musulmani, ma da estremisti che utilizzano la religione come pretesto per attaccare. Appunto dei terroristi".
Per quanto riguarda l'ONU, Alexandra pensa che la reazione da parte del Segretario Generale sia stata appropriata: "Le parole di Ban Ki-moon rispecchiano i valori delle Nazioni Unite in materia di libertà di espressione e di libertà di stampa e questi valori devono essere tutelati anche se possono risultare offensivi per alcuni".
Per Roger la risposta delle Nazioni Unite é quella di condanna che ci si aspettava e anche a lui é sembrato strano che Ban Ki-moon non abbia usato la parola "terrorismo" nel condannare l'accaduto in mattinata. "All'inizio é sembrata una strana scelta di parole ma, dopo che il suo portavoce ha chiarito l'equivoco pare tutto sia rientrato."
La strage ha lasciato un segno profondo nel mondo della stampa. Per Roger "quello che é accaduto mi ha commosso moltissimo e mi ha cambiato, come persona e come giornalista in questo modo. Ciò non significa necessariamente che da domani inizierò a fare il mio mestiere diversamente, anzi, la sola risposta adeguata é quella di continuare a far sentire la propria voce senza farsi intimidire da nessuno".
Alexandra ricorda infine "che sta studiando giornalismo in Francia. E quindi so bene che al mio ritorno sentirò una atmosfera diversa da quella che ho lasciato nella mia scuola. Penso di capire cosa stiano sentendo in questo momento i miei colleghi".
Dopo Alexandra tornerà da noi per precisare il suo pensiero riguardo ai perché dell'attacco: "Spero che i cittadini in Francia non isoleranno i milioni di musulmani che hanno immediatamente condannato l'attacco fatto in nome della loro religione. Ci sono problemi fondamentali nella società francese che devono essere risolti in modo da prevenire che la giovane e spesso perduta generazione di cittadini musulmani si perda ancora, lasciando le loro menti in balia di una ideologia assassina".
Una voce fuori dal coro invece é quella di Nizar Abboud, corrispondente della rete televisiva libanese Almayadeen e del quotidiano Al-Akhbar il quale intravede nell'attentato interessi strategici piú complessi che avrebbero "manovrato" l'azione dei terroristi. Ma si tratta di un attacco alla libertà di stampa?
"Sono scioccato naturalmente. Anch'io sono stato una vittima di molti attacchi. Sono stato rapito sei volte nella mia vita. Mi hanno sparato ed é un miracolo che sia riuscito a salvarmi Io credo che, malgrado possa essere interpretato in questo modo, ciò che é accaduto é peggio di un attacco alla libertà di stampa. E' un delitto efferato che non rientra nel modello dell'attacco terroristico. Per questo non mi sento di dire chi ha siano i responsabili fino alla loro cattura effettiva. Di solito, quelli perpetrati da organizzazioni come ISIS, Al-Nusra o Al-Qaeda sono, per lo più attentati suicidi. I contenuti editoriali di Charlie Hebdo considerati "offensivi" sono stati pubblicati anni fa, quindi, mi viene da pensare che se questa fosse effettivamente una vendetta per quelle vignette, i responsabili avrebbero agito molto prima. Per questo credo che le circostanze di questo attacco lascino molte domande senza risposta".
Nizar non crede che questo sia solo un classico attacco di Jihadisti contro un periodico che ha offeso la religione musulmana… "Considera il fatto che la redazione della rivista é un obiettivo civile facile da colpire e che i terroristi sembrano essere professionisti che hanno cercato di celare la loro identità. Parlavano francese e si sono premurati di gridare "Allah Akhbar" (Dio é grande!). Questa frase é l'unico indizio che li legherebbe al terrorismo islamico ma, se ci pensi, tutti possono gridare Allah Akhbar. Un'altra cosa strana é che dopo una strage di queste proporzioni organizzata in maniera così meticolosa da far pensare ad alti livelli di professionismo, questi attentatori siano riusciti a fuggire. Tutto questo mi fa pensare alla possibilità che questa azione sia stata pianificata ed eseguita dai servizi di sicurezza di qualche stato".
E la reazione dell'ONU? "Io vedo la reazione dell'ONU nel contesto dell'attuale situazione politica europea e, in particolare, in relazione all'ascesa di molte correnti di estrema destra in alcuni paesi. Considera inoltre che di recente la Francia ha dato un ingente sostegno alla causa palestinese votando nel Consiglio di Sicurezza a favore dell'ingresso della Palestina nella Corte Internazionale per i Crimini di Guerra tanto che il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha dichiarato di temere più questo sostegno europeo alla causa palestinese che lo stesso Mahmoud Abbas. Ci sono molte forze che non vedono di buon occhio l'avvicinamento tra il mondo islamico e l'Europa malgrado il fatto che sia vero che all'interno del mondo musulmano esista un problema fondamentalista che deve essere affrontato perché rappresenta una minaccia allo stesso mondo islamico, non solo per l'Europa e per il resto del mondo".
Concludiamo la nostra carrellata, con Giampaolo Pioli, corrispondente di Quotidiano Nazionale da New York e presidente dell'UNCA, l'associazione che raggruppa la maggioranza dei giornalisti corrispondenti dall'ONU. "Il commando ha dimostrato di essere super addestrato, sembra parte di un piano, non c'era improvvisazione. Di sicuro è un attacco alla libertà di espressione. E di sicuro è anche un attacco ad una nazione, a quello che rappresenta. La ferocia dell'esecuzione del poliziotto, selvaggia e barbara, ne è un esempio". Per Giampaolo "l'Onu è molto efficace con le parole meno con i fatti. Ban Ki-moon ha deplorato e ha fatto quello che andava fatto. Lo stesso il Consiglio di Sicurezza anche bravo nelle dichiarazioni presidenziali, ma poi quando si dovrebbe far seguire con delle azioni concrete, ecco che vengono bloccate da veti incrociati, anche quando si tratta di terrorismo… Credo che la sofisticazione con cui i terroristi hanno agito si presti alle interpretazioni anche le più ciniche e più raffinate, nel campo della criminalità organizzata ma anche nel campo della politica che si lega alla criminalità organizzata per compiere operazione di alto impatto mondiale…"
Giampaolo non si sente diverso come giornalista dopo il massacro di Parigi e ha dei consigli, soprattutto per i giovani: "No, secondo me il fatalismo deve rimanere in questa professione e l'esempio di oggi di queste vittime della rivista Charlie Hebdo, non sono diverse di quelle che avevano avuto la gola tagliata in Siria. Per fare questo mestiere credo che ci voglia il coraggio di mantenere fede alle proprie idee e di credere nella libertà di espressione e non cedere alle pressioni, che possono essere di violenza pura, o pressioni id violenza psicologica, o pressioni politiche, questo credo sia quello che conta. Il compito di chi riporta le notizie, di chi analizza e fa commenti è quello di essere il più onesto possibile. Credo che l'onestà ancora prima del coraggio e comunque la schiena dritta, siano le condizioni migliori per ogni giovane giornalista o vecchio giornalista che sia".
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