“Conoscere per deliberare” scriveva Luigi Einaudi in Prediche inutili. Non tanto inutile come predica se ancora oggi costituisce la base del giornalismo ed è utile ricordarlo nella prima giornata internazionale per la fine dell'impunità dei crimini sui giornalisti celebrata due giorni fa.
La giornata è stata istituita per la prima volta il 2 novembre per richiamare l'attenzione della comunità internazionale sull'impunità che di cui godono coloro che commettono omicidi, intimidazioni, rapimenti e scomparse di giornalisti in tutto il mondo.
La decisione è stata presa con una risoluzione sulla sicurezza dei giornalisti adottata l'anno scorso dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite insieme all'UNESCO (l'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'Educazione, la Scienza e la Cultura) e ricorda l'omicidio di due giornalisti francesi in Mali il 2 novembre del 2013.
Il 3 e il 4 novembre diversi incontri all'ONU ricordano le morti bianche del giornalismo, organizzati dalle missioni alle Nazioni Unite di Argentina, Austria, Costa Rica, Francia, Grecia e Tunisia. All'incontro di ieri tenutosi presso l'ECOSOC all'ONU Ending impunity: Upholding the Rule of Law è stato fatto il bilancio delle vittime e dei crimini lasciati impuniti.
Nell'ultimo decennio 700 giornalisti sono stati uccisi per aver svolto il loro lavoro, spesso perchè avevano rivelato storie di crimine e corruzione che qualcuno voleva rimanessero nascoste. In questo numero della morte non sono inclusi i numerosi giornalisti che ogni giorno subiscono torture, intimidazioni, scomparse, detenzioni arbitrarie e molestie.
Secondo il Rapporto sulla Sicurezza dei Giornalisti, che verrà presentato il prossimo 21 novembre a Parigi, meno del 6% dei 593 casi di omicidio nei confronti dei giornalisti dal 2006 al 2013 è stato denunciato o risolto.
Più del 90% dei crimini contro i giornalisti non sono mai stati risolti e quindi mai puniti. “In media viene ammazzato un giornalista a settimana – ha spiegato la Direttrice dell'UNESCO Irina Bokova – e il fenomeno non riguarda solo i corrispondenti all'estero, la maggior parte delle vittime sono giornalisti locali”. I paesi più pericolosi sono: Pakistan, Filippine, Brasile, Russia e Colombia.
Oltre al fatto che scrivere e alzare la polvere dal tappeto della realtà oggi costituisca ancora un pericolo per i giornalisti, forse ancora più rischioso per la loro vita è la rete di impunità che cresce dietro ai crimini. Se non c'è giustizia per il delitto commesso, allora la vittima muore due volte e chi ha colpito la prima volta può farlo anche la seconda. Il messaggio che passa è che riportare le verità scomode o le opinioni non condivise ti può mettere in pericolo.
Nella recente risoluzione sulla sicurezza dei giornalisti è scritto che garantire la responsabilità di chi ha commesso crimini contro i giornalisti è fondamentale per prevenire attacchi futuri.
Reporters Without Borders ha scelto dieci casi di giornalisti uccisi per dare nomi e facce alle tragiche statistiche e mostrare sotto quante forme si mascheri l'impunità. “Ogni giornalista ucciso è un giorno senza notizie” ha detto il Vice Direttore Generale dell'UNESCO Getachew Engida.
In linea con la sua Costituzione che promuove la libertà di idee, parole e immagini, l'UNESCO ha chiesto agli stati membro delle Nazioni Unite di punire i responsabili dei crimini contro i giornalisti e di adottare il Piano di Azione dell'ONU sulla Sicurezza dei Giornalisti e l'Impunità.
Sulla situazione del Medio Oriente fa un quandro Nadia Bilbassy-Charters, corrispodente per Al Arabiya: “Credo che la libertà d'espressione sia vitale soprattutto in Medio Oriente. Ora ci troviamo in una fase di transizione. Prima la maggiorparte dei gionalisti era controllata dai governi, poi con le Primavere arabe c'è stata una speranza ma ora la situazione è peggiorata e io governi sono spaventati dai giornalisti liberi”.
Le cose sono cambiate e peggiorate anche nel mondo occidentale. La precarità continua in cui i giornalisti lavorano quotidianamente non aiuta l'informazione libera. Lavorare per poco significa essere ricattabili, vivere sotto pressione e fare della precarietà la propria bandiera anche quando ci si trova in condizioni di pericolo. Non sono solo i terroristi a ammazzare, ma anche la schiavitù del ventunesimo secolo.