Più di 700 000 persone (sui 7 milioni che abitano Hong Kong) avrebbero partecipato finora ad un referendum ufficioso, lanciato venerdì scorso, sulle modalità di elezione del capo dell’esecutivo della città.
Il referendum propone di scegliere tra tre metodi differenti di elezione dei candidati, ma che prevedono, tutti, il voto diretto da parte dei cittadini senza nessuna selezione operata a monte da Pechino.
È questo infatti il pomo della discordia : il ruolo del governo centrale di Pechino nell’elezione del capo dell’esecutivo di Hong Kong, un territorio che, in quanto “regione amministrativa speciale”, fa parte della Repubblica Popolare Cinese ma gode di una particolare autonomia.
Ad oggi, il leader della città è eletto da un gruppo ristretto di circa 1200 persone, composto in gran parte da esponenti dell’elite hongkonghese legati a Pechino.
Per le prossime elezioni, nel 2017, il governo centrale ha concesso che il voto sia esteso a tutti i residenti di Hong Kong, ma la rosa di candidati tra cui gli elettori potranno scegliere sarà comunque selezionata a monte da Pechino tra quelli che “amano la Cina e amano Hong Kong”, come recita la formula ufficiale. Un dettaglio che annullerebbe alla radice il carattere democratico del voto.
È per chiedere un autentico suffragio universale che il movimento per i diritti civili “Occupy Central with Love and Peace” ha organizzato il referendum che ha luogo in questi giorni. Lanciato il 20 giugno tramite il sito popvote.hk e un’applicazione per smartphone, il referendum sarebbe dovuto durare solo tre giorni e svolgersi unicamente online. Tuttavia, a seguito dei numerosi attacchi informatici di cui il sito è stato vittima sin dai primissimi giorni, gli organizzatori hanno preferito estendere la sua durata fino al 29 giugno e installare anche 15 seggi elettorali in vari punti della città.
Oltre a definire il referendum “illegale e illegittimo”, Pechino ha affermato una volta di più la sua posizione tramite un rapporto ufficiale che sottolinea il controllo del governo centrale su Hong Kong.
Il rapporto espone “la corretta interpretazione”, dal punto di vista di Pechino, della formula “un paese, due sistemi”, che sintetizza i termini dell’autonomia di Hong Kong all’interno della Cina da quando la città è tornata a far parte della Repubblica Popolare nel 1997, dopo essere stata una colonia britannica.
Nel documento si sottolinea che il capo dell’esecutivo di Hong Kong deve rispondere al governo centrale, il quale detiene il potere decisionale sui metodi di selezione dei responsabili politici a Hong Kong.
Ma il controllo di Pechino comincia a pesare sempre di più per gli abitanti di questa città dinamica e multiculturale, così diversa, economicamente e socialmente, dalla Cina continentale.
Secondo un sondaggio di aprile scorso, 52% dei cittadini di Hong Kong intervistati si sono dichiarati insoddisfatti della gestione delle relazioni di Pechino con Hong Kong, una percentuale che sale all’82% se si considera la fascia d’età 21-29 anni.
Ottantaquattro per cento degli intervistati di questa fascia d’età hanno detto di sentirsi parte di una società internazionale e pluralistica, mentre solo 14% di loro hanno sottolineato i legami con la Cina continentale.
Tra i giovani il sostegno a Occupy Central arriva quasi al 70%, anche se sull’insieme dei partecipanti al sondaggio solo il 38% si è detto a favore del movimento.
Nel frattempo, come promesso nel suo stesso nome, “Occupy Central” si prepara a scendere in piazza e a occupare il distretto centrale della città se Pechino non darà il via libera per delle reali elezioni a suffragio universale senza interferire nella scelta dei candidati.
In preparazione delle possibili manifestazioni, la polizia locale ha già dato inizio alle esercitazioni anti-protesta mobilizzando circa 4 000 dei suoi effettivi. Le forze dell’ordine si preparano in particolare per martedì prossimo, primo luglio, anniversario del passaggio di Hong Kong dal Regno Unito alla Cina. La giornata viene celebrata ogni anno con un raduno a favore della democrazia e dei diritti civili. Quest’anno, ad ogni buon conto, saranno in molti a manifestare.