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April 16, 2014
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Libertà di stampa: morti silenziose e omicidi impuniti

Stefano De CupisbyStefano De Cupis
Global Impunity Map - By Elisabeth Witchel/CPJ Impunity Campaign Consultant

Global Impunity Map - By Elisabeth Witchel/CPJ Impunity Campaign Consultant

Time: 4 mins read

Gli omicidi mirati di giornalisti in Siria, paese devastato dalla guerra, porta quest’ultima ad apparire per la prima volta nell’Indice d’impunità, pubblicato oggi dalla nota Commissione per proteggere i giornalisti (CPJ). La Siria finisce in quinta posizione, scavalcando l’Afghanistan e si unisce ai top 5 ovvero Iraq (1°), Somalia (2°) , Filippine (3°) e Ski Lanka (4°), dove i giornalisti continuano ad essere uccisi e i loro assassini restano impuniti e in libertà. Ovviamente molto importante e soprattutto da segnalare è che la posizione in classifica dei primi quattro paesi è rimasta immutata rispetto all’anno scorso e ciò dovrebbe farci riflettere su questa impunità radicata.

Per l'edizione di quest'anno dell’Impunity Index, che calcola il numero di omicidi di giornalisti irrisolti come percentuale della popolazione di un paese, il CPJ ha esaminato gli omicidi di giornalisti in ogni nazione del mondo partendo dal 2004 fino al 2013. I casi vengono considerati irrisolti quando nessuna condanna viene ottenuta. Solo le nazioni con cinque o più casi irrisolti sono state incluse nell'indice. Quest'anno, sono ben 13 i paesi che rientravano nei criteri sanciti dall’indice, rispetto ai 12 dello scorso anno.

Tuttavia c'è almeno qualche buona notizia. Quattro paesi presenti sull'indice – Filippine (3°), Pakistan (9°), Russia (10°) e Brasile (11°) – hanno raggiunto almeno una condanna per un caso di omicidio di un giornalista, mentre le Nazioni Unite hanno riconosciuto con una risoluzione dello scorso novembre, la necessità di lottare contro questi omicidi impuniti.

“In troppi paesi, il clima di impunità genera ulteriore violenza e priva i cittadini – globali e locali, del loro diritto fondamentale all'informazione”, ha dichiarato Joel Simon, direttore esecutivo di CPJ. “La crescente consapevolezza della minaccia rappresentata dalla mancanza di risolvere gli omicidi riguardanti giornalisti o reporter deve essere tradotta in azioni concrete. I governi assieme alla comunità internazionale devono lavorare congiuntamente per porre fine a questo circolo vizioso”, ha poi aggiunto il Direttore.

Una serie di omicidi mirati ha aggiunto una nuova minaccia in Siria, il luogo più pericoloso al mondo per svolgere il lavoro di giornalista, con decine di rapimenti, morti dovute a fuoco incrociato, e le morti che si verificano svolgendo dei compiti pericolosi. Almeno sette giornalisti sono stati deliberatamente uccisi in Siria dal 2012, tutti in totale impunità. Gli autori provengono da ogni sorta di gruppo: islamici militanti non siriani, ribelli che attaccano i media filo-governativi e le forze del presidente Bashar al-Assad.

Ad ogni modo, l’Iraq rimane anche quest’anno il paese peggiore dell'Indice. Un centinaio di giornalisti sono stati assassinati proprio in Iraq negli ultimi dieci anni e tutto è restato impunito. Dopo una tregua nel 2012, gli omicidi sono ripresi e ben nove hanno avuto luogo lo scorso anno.

Altro caso negativo, riguarda la valutazione della Somalia, la cui situazione è peggiorata per il sesto anno consecutivo. Anche se la violenza contro i media è leggermente diminuita rispetto al suo massimo storico nel 2012, i giornalisti continuano a venir uccisi senza troppi problemi e quattro nuovi omicidi sono stati registrati nel 2013. Su 27 casi di giornalisti assassinati in Somalia dal 2005, uno solo è terminato con una condanna.

Inoltre tra i dati raccolti da CPJ, forse quello che balza subito ai nostri occhi è che il 96 per cento delle vittime sono giornalisti locali e la maggior parte coprivano argomenti quali: politica, corruzione e conflitti. Come ha sottolineato il Direttore di CPJ, un clima di impunità genera violenza ed infatti otto paesi che appaiono anno dopo anno sull’indice, hanno registrato nuovi casi di omicidio nel 2013. Altro dato da non sottovalutare è che le minacce spesso precedono le uccisioni. In almeno quattro su 10 omicidi di giornalisti, le vittime hanno riferito di aver ricevuto minacce prima che venissero in seguito uccise. Sarebbe davvero il caso che le autorità non trascurino questi dettagli in futuro.

Degli sviluppi incoraggianti sono stati constatati in Pakistan, dove sono sti condannati sei indagati per l'omicidio avvenuto nel 2011 di Wali Khan Babar, e in Russia, dove un uomo d'affari è stato condannato per l'omicidio verificatosi nel 2000 di Igor Domnikov. Ciò nonostante, secondo la ricerca CPJ, le menti di entrambi i crimini rimangono ancora a piede libero. Quanto al Messico che quest’anno si trova in settima posizione, una nota positiva è stata registrata grazia alla legge approvata nell’aprile del 2013, la quale permette alle autorità federali competenti di perseguire i crimini contro i giornalisti.

Questo grado d’impunità a livello globale, divenuto quasi uno standard, ha finalmente suscitato una risposta internazionale. Nel novembre del 2013, l'ONU ha adottato una risoluzione che invita gli Stati a porre fine al ciclo d’ingiustizia, riconoscendo il 2 novembre come la Giornata internazionale per porre fine all'impunità e invitando il Segretario Generale delle Nazioni Unite a riferire alla prossima Assemblea Generale, sui progressi compiuti in linea con il Piano d'azione 2012 delle Nazioni Unite sulla sicurezza dei giornalisti e la questione dell'impunità.

Sebbene le uccisioni di giornalisti, hanno lo scopo di inviare un messaggio agghiacciante all'intero mondo dei media, quasi un terzo dei giornalisti uccisi sono stati fatti prigionieri e torturati prima della loro morte. Infine sono proprio i gruppi politici, incluse le loro fazioni armate, i presunti responsabili di oltre il 40 per cento dei casi di omicidio. I funzionari governativi e militari sono considerati i maggiori sospetti nel 26 per cento dei casi e in meno del cinque per cento dei casi sono anche i mandanti mai perseguiti e arrestati.

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Stefano De Cupis

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