Sarebbe bello oggi, 8 marzo, svegliarsi in un mondo che del 8 marzo non ha più bisogno. Nel 2014 non dovrebbe essere necessaria una giornata speciale perché sia riconosciuto il contributo delle donne alla società e allo sviluppo dell'umanità. Eppure nel 2014 viviamo ancora in un mondo in cui le donne, pur essendo in molti paesi numericamente una maggioranza, sono ancora trattate in quasi tutti i paesi come una minoranza, soggetta a esclusioni, discriminazioni, soprusi e violenze.
Nell'attesa che la giornata internazionale della donna venga abolita per anacronismo, è ancora necessario ribadire, anche e soprattutto in sede ONU, che la donna ha avuto, ha e avrà un ruolo fondamentale per la crescita dell'umanità (e, davvero, dato anche solo il dato biologico, sembra ridicolo starlo a sottolineare).
In questi giorni, il Palazzo di Vetro brulica di donne ed è tutto un parlare di parità, di diritti, di mettere fine alle tante – troppe – violenze, da quelle macroscopiche alle quelle più piccole e quotidiane. E alla vigilia della Giornata internazionale delle donne, le Nazioni Unite hanno voluto ricordare che in questo processo di normalizzazione dell'altra metà del cielo (non è buffa anche quell'implicita alterità?), è l'uomo ad avere un importante e indispensabile compito. Con la campagna He for She l'ONU vuole esortare gli uomini a battersi per i diritti delle loro madri, sorelle e figlie. La campagna è stata lanciata con un evento, venerdì 7 febbraio, che ha visto la partecipazione di alti funzionari delle Nazioni Unite e dell'ex segretario di stato americano (e probabile prossima candidata alla Casa Bianca), Hillary Rodham Clinton. “Proprio come i diritti delle donne non sono altro che i diritti umani, il progresso delle donne è il progresso dell'umanità” ha detto Clinton all'incontro all'ONU riproponendo una sua stessa affermazione usata in occasione della World Conference on Women di Beijing dalla quale, nel 1995, venne fuori una piattaforma d'azione in favore dei diritti delle donne, adottata da 189 paesi e considerata un documento chiave per le politiche sull'uguaglianza di genere. Eppure la stessa Hillary Clinton ha dovuto ammettere che l'obiettivo parità è ancora lontano: “Questo rimane il grande lavoro incompiuto del Ventunesimo secolo, poiché ancora nessun Paese al mondo, incluso il mio, ha raggiunto la piena partecipazione femminile”.
Anche il segretario generale Ban Ki-moon ha sottolineato che c'è ancora molto da fare: "In tutto il mondo, la discriminazione contro donne e ragazze è dilagante, e in alcuni casi sta peggiorando. Ma sappiamo anche che la parità per le donne rappresenta un progresso per tutti". Il segretario ha poi fatto appello agli uomini: “Unitevi a noi. Lì dove uomini e donne hanno pari diritti, la società può prosperare”.
L'incontro del 7 marzo è stato anche occasione per ricordare che il 2015 è l'anno fissato come scadenza per il raggiungimento degli obiettivi anti povertà noti come Millennium Development Goals che contengono indicazioni specifiche per la parità di genere. E i paesi interessati stanno già lavorando per sviluppare obiettivi per il post 2015. A questo proposito John Ashe, presidente dell'Assemblea Generale, ha detto: “Mentre ci apprestiamo a costruire la nuova agenda per lo sviluppo per il post 2015, possiamo celebrare il riconoscimento a livello mondiale che la parità di genere e la legittimazione delle donne devono essere al centro dello sviluppo sostenibile”. Ashe ha poi sottolineato che le donne non devono essere parte degli obiettivi di sviluppo soltanto perché sono cruciali per lo sviluppo stesso ma perché “la parità è un loro diritto”.
Concetti che non ci si può stancare di ripetere perché, come ha detto il direttore esecutivo di UN Women, Phumzile Mlambo Ngcuka, raggiungere un'effettiva parità rappresenterebbe un "beneficio incommensurabile" per l'umanità. E forse un passo sul cammino verso quei benefici incommensurabili potrebbe venire proprio dall'ONU che si pone come garante dei diritti umani. Un segretario generale donna sarebbe un bel segnale. Quando abbiamo chiesto, proprio a Phumzile Mlambo Ngcuka, se questa è uno scenario che prossimamente potrebbe diventare realtà, ci siamo sentiti rispondere, dopo vari tentativi di eludere la domanda, che “sarebbe la decisione più progressista possibile da parte delle Nazioni Unite”. Ma se anche all'ONU una domanda del genere crea disagio (che sia per motivi diplomatici, o meno), significa davvero che del 8 marzo c'è ancora bisogno.
Forse se avessimo avuto l'opportunità di chiedere a Hillary Clinton se il prossimo presidente degli Stati Uniti sarà donna ci saremmo sentiti rispondere con più convinzione. Intanto, in attesa di vedere se arriverà prima una presidentessa americana o una segretaria generale dell'ONU, buona festa della donna a tutte.