"Una delle caratteristiche più sgradevoli con cui si deve confrontare un americano che arriva in Russia, è la segretezza con la quale tutto viene fatto…. Si accorge che i suoi stessi movimenti sono osservati da vicino, da occhi che non vede mai. La mente russa sembra naturalmente predisposta al sospetto, e questo specialmente con gli ufficiali del governo… Niente colpisce di più un americano al momento del suo arrivo in Russia, che il rigore della polizia… e il potere della censura. Durante l'ultimo anno è stato evidente che la politica della Russia nei confronti degli stranieri… deriva dalla paura che lo straniero possa influenzare la mente della popolazione russa… Non c'e' una nazione che ha più bisogno degli stranieri e non c'e' nazione che nutra più risentimento nei loro confronti… La segretezza e il mistero caratterizzano tutto… Una strana superstizione prevale tra i russi, che loro sono destinati a conquistare il mondo!"
Questo rapporto fu inviato al Dipartimento di Stato nel 1936 dall'Ambasciatore americano William Bullitt alla fine della sua missione di inviato di FDR nell'Unione Sovietica. Assistito dall'allora giovane diplomatico George F. Kennan (il futuro teorico della dottrina del Containment che fece vincere agli USA la Guerra Fredda) Bullitt per descrivere la situazione nella Russia di Stalin, aveva ricopiato di sana pianta i dispacci che nel 1851 un altro ambasciatore, Neil S. Brown, aveva inviato da San Pietroburgo a Washington. A distanza di un secolo Bullitt ricopiando quel documento riaffermava che in Russia non fosse cambiato nulla perché certe caratteristiche nazionali erano, anche secondo lui, insite nell'"animo russo".
Questa nuova crisi tra Stati Uniti e Russia per l'Ucraina sembra riemergere dalle viscere della storia. Gli americani, o sarebbe forse meglio dire gli occidentali, devono tenere i nervi saldi e non continuare a commettere in Ucraina gli errori degli ultimi mesi. Infatti nel decidere le prossime mosse, si dovrebbe aver più consapevolezza di questa storica e persistente diffidenza russa nei confronti dell'Occidente. Una diffidenza, del resto, altamente ricambiata.
Alla fine della Guerra Fredda, gli Stati Uniti furono determinanti nel rimettere in piedi l'orso russo. Con certi alleati, come l'Arabia Saudita, pronti a mantenere il prezzo del petrolio alto, in pochi anni è stato l'Occidente a consentire alla Russia di Putin di rialzare la testa.
Di quanto l'orso fosse uscito dal letargo si era già visto in Siria, dove i piani di certi paesi arabi (sempre con i sauditi in testa) di sbarazzarsi del clan degli Assad alleati dell'Iran, sono stati ostacolati efficacemente da Mosca che non aveva nessun intenzione di farsi estromettere dallo scacchiere mediorientale. Ma ora la questione dell'Ucraina diventa molto più pericolosa, perché qui in gioco entra il pericolosissimo nazionalismo russo alimentato dalla cosiddetta "sindrome da accerchiamento": la Russia non ora ma da secoli, per tenere a bada chi vorrebbe "conquistare la mente del suo popolo" si sente obbligata ad espandere e mantenere la sua influenza ben oltre i suoi confini. Poi Kiev, nella mitologia del nazionalismo russo, è dove la Russia nasce. Quindi l'Ucraina in realtà viene vista come "cosa russa", e se anche gli si concede una bandiera e un seggio all'ONU, non può essere accettata l'idea che questo stato di quasi 50 milioni di abitanti possa "cadere" sotto l'influenza occidentale, come invece era inevitabile che accadesse con la "nemica" Polonia alla fine della Guerra Fredda.
L'Unione Europea di Angela Merkel ha fatto i conti senza l'oste del Cremlino nell'appoggiare la rivoluzione della parte dell'Ucraina che vorrebbe entrare nella sfera non solo economica ma soprattutto culturale occidentale per liberarsi della "russofonia", come se in geopolitica fosse possibile liberarsi dal peso di secoli di storia. Per la Russia nazionalista che Putin rappresenta, vedere sventolare nei mesi scorsi le bandiere blu con le stelle gialle dell'Unione Europea a Kiev, deve essere stato come l'agitare un drappo rosso davanti ad un toro.
Sabato al Palazzo di Vetro dell'ONU, ho chiesto a dei miei colleghi russi cosa ne pensassero della crisi in Crimea. La risposta è stata immediata e convinta: "L'Europa aveva messo la Russia nell'angolo, dovevate aspettarvi che vi sferrasse un pugno".

Il Presidente Barack Obama parla al telefono con il presidente russo Vladimir Putin
Sia il President Barack Obama che la cancelliera Angela Merkel, hanno avuto questo week end delle lunghe conversazioni telefoniche con il presidente Vladimir Putin, l'ex colonnello del KGB insediatosi al Cremlino. Poi il presidente americano e la cancelliera tedesca si sono sentiti per scambiarsi le loro impressioni sui colloqui avuti con colui che si sente lo zar della "Grande Madre Russia". Secondo il New York Times, Merkel avrebbe detto a Obama che Putin gli sembrava "fuori dalla realtà, in un altro mondo". Ma Putin è rimasto sempre nel suo mondo, sono Merkel e Obama che ne sono fuori e non possono comprenderlo. Stiamo parlando appunto del mondo mitologico della "Grande Madre Russia", quello che persino il georgiano Stalin invocò per far resistere i russi all'operazione "Barba Rossa" scatenata da Hitler. Secondo il testo reso noto dalla Casa Bianca sull'acceso colloquio telefonico avuto da Obama con Putin, il presidente Usa ha “espresso profonda preoccupazione per la evidente violazione della sovranità e integrità territoriale dell’Ucraina da parte della Russia”. Obama avrebbe fatto la voce grossa, accusando Putin di “violare le leggi internazionali, incluse le obbligazioni che la Russia ha sottoscritto in base alla Carta dell'ONU e il trattato di Budapest del 1994 (in cui Kiev rinunciava alle armi atomiche in suo possesso in cambio di garanzie sulla sua integrità territoriale)". Obama ha chiesto a Putin il ritiro delle truppe russe dalla Crimea e la fine di ogni altra interferenza. Il presidente USA ha quindi avvertito il presidente russo che se queste violazioni dovessero continuare, “la Russia ne pagherebbe le conseguenze nel suo status all’interno della comunità internazionale”.
Gli USA infatti hanno già rilasciato un comunicato, con gli altri membri del G7 compresa quindi l'Italia di Matteo Renzi, in cui affermano di aver “sospeso la propria partecipazione agli incontri preparatori del G8″. Il Segretario di Stato John Kerry, che ha annunciato che martedì si recherà a Kiev, durante le interviste domenicali in tv si è spinto fino a minacciare l'espulsione della Russia dal G8.

Il presidente russo Vladimir Putin
Dal canto suo Putin con Obama e con Merkel avrebbe continuato a giustificare la mossa militare in Crimea col fatto che la popolazione di lingua russa sarebbe stata in pericolo dopo la presa del potere a Kiev degli "estremisti nazionalisti". In effetti una preoccupazione che potrebbe risultare sicuramente valida per quanto riguarda altre regioni dell'Ucraina, ma non certo per la Crimea dove la stragrande maggioranza della popolazione è di lingua russa e dove il governo regionale era già filo russo. Quindi la decisione di assicurarsi il totale controllo militare della Crimea è stato studiato dal Cremlino come un avvertimento nei confronti del governo provvisorio di Kiev a non insistere nella strategia di andare avanti senza tener conto delle volontà e interessi di Mosca, perché altrimenti Putin potrebbe allargare l'intervento armato per "proteggere" i russi del resto dell'Ucraina.
Siamo ormai al ritorno senza futuro della Guerra Fredda? O addirittura lo scenario potrebbe essere persino peggiore? Dopotutto durante la Guerra Fredda, eccezione la crisi dei missili di Cuba, le due potenze non arrivarono mai vicinissime al diretto scontro militare dalle conseguenze inimmaginabili. Potrebbero invece oggi gli Stati Uniti sentirsi investiti del dovere di proteggere l'integrità territoriale dell'Ucraina da una invasione della Russia? Potrebbero, in sostanza, gli USA di colpo ritrovarsi nell'infernale scenario vissuto da Gran Bretagna e Francia nel 1939, quando Hitler invase la Polonia?
Questa ipotesi apocalittica, noi della VOCE di NY l'abbiamo presentata sabato scorso all'uscita del Consiglio di Sicurezza dell'ONU, all'Ambasciatore britannico Mark Lyall Grant, che aveva richiesto una riunione straordinaria del CdS sulla crisi in Ucraina. E l'ambasciatore inglese, alla nostra domanda se la crisi in corso potesse far ricordare gli spettri del '39, invece di rispondere che il paragone fosse esagerato, come speravamo, ci ha invece replicato, nello stupore generale degli altri giornalisti: "Di questa analogia ne abbiamo appena discusso al Consiglio di Sicurezza".
Quando altri giornalisti hanno insistito sul punto (Putin potrebbe essere equiparato a Hitler e l'Ucraina alla Polonia?) l'ambasciatore britannico per un momento è sembrato tornare nei suoi passi, ma poi ha ribadito: "Vorrei precisare che i paralleli storici di cui ho sentito parlare non erano del '39. Ma degli anni 13-14". Difatti uno scenario simile a quello che ci portò dritti al conflitto Mondiale!

La riunione di emergenza sabato del Consiglio di Sicurezza dell’Onu sull’Ucraina
Sabato il Consiglio di Sicurezza durante la riunione di emergenza, si è aperto per pochi minuti ai giornalisti e abbiamo visto il vice segretario dell'ONU Jan Eliasson dire al tavolo dei Quindici che era giunto il momento in cui tutti i protagonisti della crisi avrebbero dovuto "raffreddare le teste". Ma non sembrava che fosse ascoltato, almeno a sentire le dichiarazioni dell'ambasciatore ucraino Yuriy Sergeyev e di quello russo Vitaly Churkin. Quest'ultimo ha anche accusato e più volte l'Europa di aver provocato le recenti manifestazioni a Kiev che avevano poi causato l'allontanamento "illegale" del presidente ucraino Yanukovych.
Quindi siamo al déjà vu nell'Europa dell'Est? Data la profonda diffidenza russa nei confronti dell'Occidente – diffidenza ricambiata – questa crisi se fosse mal gestita e interpretata, potrebbe prendere una strada imprevedibile, senza ritorno. Bisognerebbe quindi obbedire all'esortazione ascoltata all'ONU sabato: per evitare di cadere in una imprevedibile escalation di reazioni e controreazioni, raffreddare subito le teste, please! E che sia chiaro: quelle calde, anzi bollenti, non stanno solo a Mosca.
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