Hanno riempito Times Square i giovani manifestanti venezuelani. Stanno scendendo in piazza in tutto il mondo e in Venezuela contro un governo che ha ridotto sul lastrico un paese ricco di petrolio, in nome di una rivoluzione di tipo vetero-comunista. Gridano: “Non diventeremo come Cuba”, e sanno di avere dalla loro almeno metà del paese.
L’altra metà appoggia la rivoluzione, che è sempre stata generosa con i settori più emarginati della popolazione, e rappresenta lo zoccolo duro del suo elettorato. A questi vanno aggiunti “gli stipendiati”: intellettuali, pubblici impiegati, professionisti al soldo del potere politico il cui appoggio è non ideologico ma funzionale al proprio tornaconto.
Il governo controlla le risorse petrolifere, e con quelle si è garantito un vantaggio competitivo contro l’opposizione, le cui risorse economiche sono infinitamente minori, e che si appoggia quindi su una mobilitazione spontanea che è diventata virale grazie ai social media.
A favore o contro, la situazione è drammatica per tutti.
I dati non lasciano scampo: nel 2013 l’inflazione è stata di poco superiore al 56,2%, la peggiore al mondo, ma è la retorica rivoluzionaria ad aver spinto uno dei paesi fiori all’occhiello della democrazia a diventare lo Zimbawe dell’America Latina.
Da 15 anni vi è una costante criminalizzazione degli imprenditori, con conseguente mancanza di sicurezza per gli investimenti. A tutto questo va aggiunto un sistema giudiziario sottoposto al controllo esecutivo, le istituzioni sequestrate dal potere politico, e soprattutto una violenza senza controllo e disperata di cui è stata vittima pochi mesi fa l’attrice Monica Spear e suo marito, uccisi a sangue freddo dopo aver bucato una ruota in autostrada.
Problemi risaputi per i venezuelani che si erano abituati a convivere con questa eccezionalità. Ma fino a quando si può resistere? E’ difficile trovare alimenti e medicinali, impossibile fare impresa, il dollaro al mercato nero è schizzato alle stelle, perchè nel paese è vietato avere la moneta dell’Impero senza il permesso di Cadivi, ente che deve valutare attraverso una procedura burocratica kafkiana chi può avere dollari e chi no.
Nonostante sia il paese più corrotto dell’America Latina, chi vive all’ombra del governo può stare tranquillo. E infatti non si ricordano casi giudiziari che hanno colpito gli amici della rivoluzione, che formano una nuova borghesia milionaria che in nome dei più poveri si arricchisce.
Molte compagnie aeree hanno soppresso i propri voli da Caracas, perché non ottengono la valuta straniera. Diversi giornali hanno chiuso perchè non si riesce ad avere la carta. Le divisioni interne al governo non permettono nessuna riforma economica, il futuro è incerto.
Per il governo i problemi esistono, ma sono frutto della cospirazione dell’Impero contro le ragioni della rivoluzione, e si rifanno alla classica divisione tra i poveri mulatti che ora hanno il potere e la tradizionale elite bianca che ha sempre governato il paese, e non accetta che di aver perso il controllo. Ma è una divisione che non regge più: i ricchi adesso sono proprio i rivoluzionari, mentre molti degli strati sociali più poveri sono contro la rivoluzione. A Petare il barrio più grande del Venezuela, l’opposizione è maggioranza.
E’ emerso con grande forza un nuovo soggetto politico: gli studenti, che hanno vissuto sempre sotto questo governo, e chiedono un cambio legittimo. Erano emersi già nel 2007, ma adesso il paese è in una situazione peggiore.
Come uscirne fuori? E’ la piazza la soluzione?
In Venezuela ci sono elezioni presidenziali, che il presidente Nicolas Maduro ha vinto, anche se per pochi voti. La piazza sembra un vicolo cieco senza una via d’uscita politica, visto che il presidente non rinuncerà al potere. Tocca allora aspettare almeno due anni per indire il referendum revocatorio presidenziale, previsto della Costituzione, e sperare che emerga la nuova leadership carismatica dell’ex sindaco di Chacao, Leopoldo Lopez, incarcerato poche ore fa per cospirazione.
*Piero Armenti è un giornalista italiano che prima di arrivare a New York ha lavorato per anni in Venezuela