Barack Obama potrebbe passare alla storia come il Presidente che ha fatto precipitare la libertà di stampa negli Stati Uniti a livelli mai segnalati prima nelle classifiche mondiali delle organizzazioni internazionali che la monitorizzano. Infatti oggi, sia nel rapporto del Committee to Protect Journalists (CPJ) che in quello di Reporters Without Borders, entrambe autorevoli organizzazioni internazionali che monitorizzano la libertà di stampa nel mondo, gli Stati Uniti ne escono a pezzi. Nel rapporto di duecento pagine del CPJ chiamato "Attacks on the Press", presentato oggi al Palazzo di Vetro delll'ONU, le prime pagine che di solito sono dedicate a paesi come la Nord Corea o la Cina, o l'Iran, ecco che invece si aprono con un titolo emblematico: "Under Surveillance" (Sotto sorveglianza). E subito due capitoli: il primo scritto da Joel Simon e intitolato "How United States' Spying Strengthens China's Hand", in cui il programma si sorveglianza digitale della National Security Agency viene messo sotto accusa perchè fa crescere seri dubbi sull'impegno americano alla protezione della libertà di espressione online. L'altro firmato da Geoffrey King e intitolato: "The NSA Puts Journalists Under a Cloud of Suspicion", in cui si mette in rilievo il programma di sorveglianza della NSA, di cui il mondo ha saputo dopo le informazioni divulgate dal super ricercato Edward Snowden, e di come questo colpisce anche i giornalisti mettendone in pericolo il lavoro nell'era digitale.
Quando al Palazzo di Vetro, durante il press briefing giornaliero, abbiamo chiesto al portavoce del Segretario Generale dell'ONU cosa Ban Ki-moon pensasse del fatto che gli Stati Uniti fossero stati messi sotto accusa per il loro programma di spionaggio nei confronti anche dei giornalisti, il portavoce Martin Nesirky ha detto: "A questa specifica domanda non darò una risposta".
Anche quest’anno il Committee to Protect Journalists (Comitato per la Protezione dei Giornalisti) ha diffuso il suo rapporto sullo stato della libertà di stampa nel mondo in una conferenza stampa organizzata all’ONU sponsorizzata dall’UNESCO. Tra i principali speaker, Joel Simon, Executive Director; Nina Ognianova, Europe and Central Asia Program Coordinator; Mohamed Keita, Africa Advocacy Coordinator e Sherif Mansour, Middle East and North Africa Program Coordinator.
L'edizione 2014 di “Attacchi alla Stampa” , oltre a contenere l'analisi dettagliata della minaccia transnazionale alla libertà di stampa rappresentata da sorveglianza di massa e censura, analizza anche i delitti impuniti compiuti ai danni di giornalisti e il ruolo svolto da parte di media forti e indipendenti nello sviluppo globale.
Significativo è anche il “World Press Freedom Index 2014” (indice della Libertà di Stampa Mondiale), pubblicato proprio lo stesso giorno di “Attacchi alla Stampa”, da Reporters Without Borders (Reporter Senza Frontiere), un’altra organizzazione leader nella difesa della stampa, che ha messo sotto i riflettori l'impatto negativo dei conflitti sulla libertà di informazione e dei suoi protagonisti.
La classifica di alcuni paesi è stata colpita da una tendenza a interpretare le esigenze di sicurezza nazionale in un modo eccessivamente ampio e abusivo a scapito del diritto di informare e di essere informati. E come abbiamo detto, imputato numero uno, come del resto nel rapporto del CPJ, di nuovo gli USA e la spinosa vicenda del National Security Agency (NSA) che spiava anche i giornalisti. Anche per il RWB questa tendenza costituisce una crescente minaccia a livello mondiale e mette anche in pericolo la libertà d’informazione nei paesi considerati ormai democrazie consolidate. Secondo il rapporto RWB migliora la situazione della libertà di stampa in Italia, che secondo la classifica 2014 passa dall’avere "problemi notevoli" ad una situazione "piuttosto buona". Il nostro Paese recupera 9 punti rispetto al 2013, attestandosi al 49esimo posto sui 180 della classifica mondiale.
Nella classfica di RWB La Finlandia non molla la poltrona del 1° posto per il quarto anno consecutivo, seguita da Olanda e Norvegia, esattamente come l'anno scorso. All'altra estremità dell'indice, le ultime tre posizioni sono ancora detenute da Turkmenistan , Corea del Nord ed Eritrea, tre paesi dove la libertà di informazione è del tutto inesistente. Nonostante le turbolenze occasionali nel corso dell'anno passato, questi paesi continuano a avere buchi neri su notizie e informazione, oltre a rappresentare degli inferni per i giornalisti che vi abitano e vi lavorano. L’indice di quest'anno comprende 180 paesi su 193, uno in più dell’anno passato. Alla new entry, il Belize, è stato assegnato una posizione invidiabile da molti altri paesi (29° posto). I casi di violenza contro i giornalisti infatti, sono rari in Belize, sebbene vi siano stati alcuni problemi quali: cause per diffamazione che hanno implicato richieste di grandi somme per danni ricevuti, restrizioni per via della sicurezza nazionale in base all’attuazione del Freedom of Information Act e la gestione talvolta sleale delle frequenze radiotelevisive.
L'indice 2014 sottolinea inoltre la correlazione negativa tra libertà di informazione e conflitti, sia i conflitti aperti che quelli non dichiarati. Proprio in un ambiente instabile, i media diventano obiettivi strategici per i gruppi o gli individui i cui tentativi di controllare le notizie e le informazioni violano le garanzie sancite dal diritto internazionale. Un esempio estremo di quanto appena affermato, è rappresentato per l’appunto dalla Siria (177° posto, invariato rispetto allo scorso rapporto), uno dei Paesi dove oggi, la libertà di informazione e dei suoi attori è più in pericolo nel mondo e che sta portando delle ripercussioni anche ai paesi vicini – che hanno perso due punti nel rapporto – quali Libano (106, -2) e Iraq (153, -2).
Questa correlazione negativa si riscontra benissimo anche nelle gradi “cadute” registrate dal Mali (122, -22) e dalla Repubblica Centrafricana (109, -34). La guerra aperta o fratricida sta destabilizzando la Repubblica Democratica del Congo (151, -8) e le attività dei guerriglieri e dei gruppi terroristici in Somalia (176, invariato) e Nigeria (112 °) ha impedito qualsiasi miglioramento significativo nella loro classifica.
Un altro pessimo esempio, ne è scaturito dai paesi che si vantano di essere democrazie e di rispettare lo Stato di diritto. Questo è stato il caso come abbiamo detto in precedenza, degli Stati Uniti (46° posto), che sono scesi di ben 13 posizioni, uno dei cali più significativi, a fronte dei crescenti sforzi per rintracciare le varie gole profonde dei Leaks. Il processo e la condanna di Bradley Manning e l’inseguimento dell’analista dell'NSA Edward Snowden erano degli avvertimenti a tutti coloro che pensano di divulgare informazioni sensibili per l’interesse pubblico.
Altro esempio lampante proviene dalla libertà di stampa in Hong Kong e in Taiwan, che sono da tempo noti per i loro mezzi di informazione chiassosi, e sempre più spesso costretti a subire pressioni da parte della Cina. Licenziamenti e censura sono ormai all’ordine del giorno in questi paesi, dove la paura sta anche aumentando. La Cina ancora una volta ha quasi toccato il fondo del World Press Freedom Index, occupando la posizione 175 su 180 posti elencati. Hong Kong è sceso da 58 nel 2013 alla posizione 61 di quest'anno, e Taiwan è sceso dalla 47 alla 50. “Il crescente peso economico della Cina sta permettendo così di estendere la propria influenza sui media di Hong Kong, Macao e Taiwan, che erano stati in gran parte risparmiati dalla censura politica fino a poco tempo fa”, evidenzia il rapporto.
Forte preoccupazione destano i gruppi non statali che costituiscono la principale fonte di pericolo fisico per i giornalisti in diversi paesi. Le milizie e gruppi armati legati ad Al-Qaeda sono esempi importanti di questa privatizzazione della violenza. Al-Shabaab in Somalia (176, invariato) e il movimento M23 nella Repubblica Democratica del Congo (151, -8), dove in entrambi i paesi i giornalisti vengono considerati nemici. Gruppi jihadisti come Jabhat Al-Nosra e Stato Islamico in Iraq e il Levant (ISIS) usano la violenza contro i fornitori di notizie come parte della loro campagna per controllare le regioni che “liberano”.
Non va infine trascurata la criminalità organizzata che rappresenta un predatore temibile per i giornalisti in molte parti del mondo, specialmente Honduras (129 °, -1), Guatemala (125, -29), Brasile (111, -2) e Paraguay (105, -13), ma anche Pakistan, Cina, Kirghizistan e nei Balcani.
Infine concludiamo con qualche nota positiva, infatti la violenza contro i giornalisti, la censura diretta e l’abuso di procedimenti giudiziari sono in declino in vari paesi tra cui: Panama (87, +25), Repubblica Dominicana (68, +13), Bolivia (94, +16) ed Ecuador (94, +25). Sviluppi legislativi lodevoli si sono registrati in alcuni paesi come il Sud Africa (42, +11), dove il Presidente ha rifiutato di firmare una legge che avrebbe messo in pericolo il giornalismo investigativo.