Le Nazioni Unite informano che il numero degli emigrati internazionali è a quota 232 milioni, il 3,2% della popolazione mondiale. Era 154 milioni nel 1990 e 175 ad inizio millennio. Nonostante l’apparente forte espansione, il fenomeno è in realtà in decelerazione. Se il numero dei migranti oltrefrontiera è cresciuto in media dell’1,2% annuo nei ’90, e di quasi il doppio nel decennio successivo, è rallentato al +1,6% annuo tra il 2010 e il 2013, come risultato di tre fattori.
Si vanno esaurendo gli effetti della fine del bipolarismo e dell’avvio della globalizzazione esplosi nel primo decennio del millennio. Crescita economica e diffusione di benessere in paesi di migrazione, indotti da investimenti esteri e rimesse, tendono a recidere le radici socio-economiche che avevano prima generato picchi anomali. Nel corrente decennio, recessione e stagnazione in economie avanzate disincentivano le partenze, spingendo anzi emigrati al rientro.
L’orientamento dei flussi delle migrazioni internazionali si conferma di preferenza come movimento da sud a nord: 136 milioni di migranti vivono nel nord sviluppato e 96 nel sud in sviluppo. Nel sud gli immigrati sono l’1,6% della popolazione, nel nord il 10,8%. I 2/3 dei flussi in arrivo, nei 25 anni considerati, hanno scelto EurAsia: 72 milioni l’Europa, 71 l’Asia. In Nord America sono andati 53 milioni, in Africa 19, in America latina e Caraibi 9, in Oceania 8. Se si guarda solo agli anni 2000-2013, è l’Asia a recitare la parte più rilevante, con 20 milioni di nuovi immigrati, 1,6 l’anno. Segue l’Europa con 16 milioni, 1,2 l’anno. Il nord America scende al terzo posto con 13 milioni, 1 milione l’anno. Asiatici e latinoamericani formano le più rilevanti diaspore globali: 19 milioni di asiatici vivono in Europa, 16 in nord America, 3 in Oceania. 26 milioni di latinoamericani e caraibici vivono in nord America. Il più grande ceppo migratorio viene dal sud-est asiatico: 36 milioni, 13,5 dei quali stabiliti nei paesi produttori di petrolio dell’Asia occidentale.
Lo spostamento percentuale di immigrati, sul totale della popolazione, appare maggiormente significativo in Europa e Nord America. Rispetto al 1990, in Nord America si passa dal 10 al 15%, in Europa dal 7 al 10%. La metà degli immigrati risulta in dieci paesi: Usa, Russia, Rft, Arabia Saudita, Unione emirati arabi, Regno Unito, Francia, Canada, Australia, Spagna. In valori assoluti, nel periodo 1990-2013, al primo posto per accoglienza si trovano gli Stati Uniti con 23 milioni; seguono gli Emirati Arabi con 7, la Spagna con 6. La Russia è l’unico paese in elenco che regredisca nei numeri assoluti di accoglienza, la Germania quello che più rallenta i flussi in ingresso. Nel complesso, i dieci comprimono, dal 2010, il tasso di crescita degli ingressi. Regrediscono anche le migrazioni per ragioni politiche, etiche o religiose: i rifugiati sono appena 15,7 milioni, 7% circa degli emigrati totali.
Con questi numeri, il fenomeno migratorio appare governabile ma non è certo governato, in particolare dall’Europa. I sommovimenti nelle regioni di prossimità investite dalle crisi post-bipolare hanno prodotto quantità relativamente contenute di emigrati che hanno però pagato costi elevati in termini di vittime e sofferenze. Non conosceremo mai in quanti sono finiti in fondo al Mediterraneo, ma abbiamo visto come vengono trattati gli emigrati (meno di 30.000 nei primi nove mesi del 2013 quelli che hanno toccato terra in Italia) quando arrivano dal mare in Ue. Un solo dato per richiamare le responsabilità Ue verso il sud generatore di migrazioni: nel 2012 l’Ue ha speso in politiche di aiuto allo sviluppo lo 0,43% del suo reddito interno lordo, contro lo 0,7% promesso.
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