Durante la seconda Conferenza Internazionale per l’Impegno Umanitario in Siria tenutasi oggi in Kuwait, il Segretario Generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon ha voluto prima di tutto ringraziare l'emiro del Kuwait, Sua Altezza lo sceicco Sabah Al – Ahmed Al – Jaber Al – Sabah, per aver generosamente ospitato questa Conferenza a Kuwait City per la seconda volta e per il suo straordinario sostegno per questa causa con un impegno di 500 milioni dollari. Una “leadership esemplare” l’ha definita il Segretario Generale.
“Abbiamo un grande debito di gratitudine verso il governo, le persone e le organizzazioni non governative del Kuwait per il loro enorme contributo per aiutare la Siria e i suoi vicini a far fronte agli effetti devastanti del conflitto”, ha continuato Ban.
Lo scopo dell’odierna Conferenza alla quale hanno partecipato i maggiori donatori per questa causa, è quello di lanciare un appello per ricercare fondi urgenti allo scopo di aiutare milioni di persone all'interno della Siria e nei paesi limitrofi che sono state colpite dal conflitto che imperversa da quasi tre anni. Alla fine della conferenza, sono stati donati in totale 2,4 miliardi di dollari. "Questo prova che i siriani devastati da questo conflitto non sono stati dimenticati" ha detto Ban Ki-moon.
Il conflitto, ricordiamo, è iniziato nel marzo 2011 e ha prodotto richieste “senza precedenti” per le agenzie umanitarie e di sviluppo, ha dichiarato il Segretario Generale Ban Ki -moon durante la conferenza. Secondo l'Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari (OCHA), si stima che 9,3 milioni di persone in Siria – molti dei quali bloccati in zone difficili da raggiungere e assediati – necessitino urgentemente di aiuto. Quasi la metà di loro sono bambini, che non dispongono di un adeguato accesso alle cure sanitarie e all'istruzione.
Dati allarmanti provengono anche dalla notizia che più di 3 milioni di persone sono fuggite dalla Siria, rifugiandosi in Libano, Giordania, Turchia, Iraq ed Egitto, causando grande disagio e aumentando le tensioni in tutta la regione. Per far fronte a ciò, Ban Ki-moon ha chiesto un concreto sostegno internazionale per soddisfare queste enormi esigenze umanitarie, rilevando anche che quest'anno sono necessari circa 6,5 miliardi dollari.
Nel gennaio 2013, la prima conferenza dei donatori per la Siria ha visto 43 Stati membri impegnarsi per 1,5 miliardi dollari in aiuti umanitari. Tali fondi sono stati utilizzati per fornire assistenza salva-vita per milioni di persone in Siria e nei paesi circostanti, tra cui razioni alimentari di emergenza, assistenza medica mobile e vaccinazioni, acqua potabile e servizi igienico-sanitari e rifugi di base.
Ban ha inoltre dichiarato: “L'aiuto umanitario è la differenza tra la vita e la morte, tra la speranza e la disperazione. Esso ha già assistito milioni di persone colpite da questa crisi. Conto su di voi per mostrare al popolo siriano che il mondo è qui per aiutarli”.
Questa Conferenza è stata voluta proprio prima dei colloqui della prossima settimana in Svizzera volti a trovare una soluzione politica alla guerra civile che ha già rivendicato oltre 100.000 vite a causa dei combattimenti tra il governo e vari gruppi che cercano di scacciare il Presidente Bashar Al-Assad.
Il Sottosegretario Generale dell’ONU per gli Affari Umanitari, Valerie Amos ha voluto anche lei sottolineare l’impatto di questa crisi, dichiarando: “Questa è la più grande crisi umanitaria che affrontiamo oggi”. Aggiungendo poi: “Noi tutti speriamo che i colloqui politici della prossima settimana consegnino un risultato positivo. Nel frattempo, ogni bambino, ogni donna, ogni uomo colpito da questa crisi merita il nostro continuo supporto”.
L’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati, António Guterres, ha osservato nel suo intervento che nel giro di pochi anni, la Siria è passata da essere il secondo più grande paese che ospita rifugiati al mondo a diventare il paese che ne produce più veloce. “Mi si spezza il cuore a vedere la gente della Siria – che per decenni hanno generosamente accolto i rifugiati provenienti da altri paesi della regione – essere ora loro stessi costretti all'esilio”, ha osservato Guterres. L'agenzia dell’ONU da lui stesso diretta (UNHCR) ha registrato oltre 2,3 milioni di siriani rifugiati nella regione mentre i governi hanno stimato oltre i 3 milioni di persone fuggite, tra cui molti che non hanno chiesto assistenza. I paesi della regione – Libano, Giordania, Turchia, Iraq ed Egitto – hanno ricevuto un flusso incessante di siriani in fuga e hanno fornito loro tutela, a costi enormi per se stessi, ha detto Guterres.
Il Segretario Generale Ban Ki-moon ha avuto modo anche di raccontare la propria esperienza personale e ciò che ha visto con i propri occhi in questi ultimi giorni passati tra i campi dei rifugiati in Giordania, Turchia, Iraq e infine in Kurdistan dove ha incontrato alcune famiglie nel campo Kawrgosik. “Ero lì per dimostrare la mia solidarietà. La loro sofferenza è straziante. La loro resistenza è ammirevole. Hanno bisogno di noi per dimostrare che il mondo sta con loro ora”. Ban ha poi continuato il suo racconto dicendo: “Ho incontrato una coppia che vive in una tenda dell'UNHCR con le loro due figlie. I genitori sono preoccupati per riuscire a mantenere i loro figli al caldo durante l'inverno. Hanno bisogno di così tanto in termini di cibo, riparo e servizi – ma il padre ha detto che più di tutto, hanno bisogno di pace”.
L’ONU farà del suo meglio per spingere verso una soluzione politica del conflitto al più presto, continuando a fornire aiuti a chi ne ha bisogno, senza tralasciare nessuno. Anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità sta dando un prezioso aiuto, fornendo sedie a rotelle a disabili che sono stati feriti durante gli attacchi.
Infine le Nazioni Unite si sono appellate tramite Guterres, a tutti i paesi – compresi quelli al di là della regione – nel mantenere aperte le proprie frontiere per coloro che sono costretti a fuggire e cercare protezione altrove". Il Capo dell’UNHCR ha aggiunto che c'è qualcosa di “fondamentalmente sbagliato” in un mondo dove chi cerca asilo politico rischia di annegare in mare o viene respinto indietro una volta raggiunto le frontiere.