Ore 16.10 di giovedì 2 gennaio. Una forte esplosione squarcia alcuni palazzi di Haret Hreik, uno dei sobborghi nel sud di Beirut. Il primo bilancio parla di quattro morti e 77 feriti. Le agenzie di stampa di tutto il mondo disegnano il quadro intorno all’attentato: l’autobomba è esplosa per colpire la resistenza libanese, ovvero Hezbollah (Partito di Dio) e sarebbe frutto di una catena iniziata il 30 novembre con le bombe contro l’ambasciata iraniana di Beirut. Nella linea cronologica, l’assassinio del dirigente di Hezbollah, Hassan Hulo al Laqiss, freddato sotto casa da alcuni killer ai primi di dicembre e l’autobomba del 27 dicembre che ha causato otto morti, 70 feriti e l’uccisione dell’ex ministro libanese delle Finanze Mohammed Shatah, attuale consigliere del premier Saad al Hariri ed esponente del movimento al Mustaqbal (Future).
Purtroppo troppe volte la semplificazione giornalistica non lascia spazio a un’analisi corretta. E molte altre volte il prisma dei media occidentali legge solamente notizie a senso unico, alcune volte anche in malafede. Così per la vulgata più in voga, le due bombe che colpiscono e uccidono davanti all’ambasciata iraniana, l’assassinio del comandante Laqiss e l’ultima esplosione nel sud di Beirut sono tutti attacchi contro Hezbollah e il mondo sciita per la sua vicinanza al governo siriano di Assad. Mentre la bomba che ha ucciso Shatah è la risposta contro il movimento Future e i sunniti che appoggiano i cosiddetti ribelli siriani. Così l’automatismo, di forma e di fatto, è sciiti contro sunniti, Hezbollah contro Future, Assad contro ribelli e così via. Peccato che la situazione, se analizzata nel profondo, non sembra essere proprio così. Anzi, scomponendo gli avvenimenti e non generalizzando, sembrerebbe proprio che qualcuno stia giocando, come nel passato, a incendiare il Libano per portare l’anarchia in tutta l’area.
Mentre buona parte della stampa puntava il dito contro il mondo sciita per l’autobomba contro Shatah, quasi tutti si sono dimenticati di citare l’immediato comunicato di forte condanna che Hezbollah ha fatto pochi minuti dopo l’attentato.
E ancora, mentre tutti definivano l’uccisione di Laqiss come un tassello nella guerra sciiti-sunniti, solo in pochi raccontavano di testimonianze oculari che parlano di un commando di teste di cuoio che scappava via mare dopo aver ucciso il responsabile dell’area telecomunicazione di Hezbollah, proprio poche ore dopo l’accusa del leader del Partito di Dio, Sayyed Hassan Nasrallah, contro l’Arabia Saudita, “nuovo portavoce di Israele nei Paesi arabi”.
Per non parlare del fatto che la macchina che ha fatto saltare in aria il leader di Future proviene da un campo profughi palestinese ed è stata rubata dal gruppo sunnita “Fatah al-Islam”. E che proprio al funerale di Shatah è stato cacciato un religioso sunnita pro-Resistenza da alcune persone che poi hanno issato la famigerata bandiera nera qaedista.
Per finire l’analisi più approfondita, bisogna andare in territorio siriano dove le sorti della guerra stanno volgendo verso Assad, mentre le formazioni dei cosiddetti ribelli sono ormai capeggiate da formazioni estremiste legate ad al-Qaeda, il più delle volte formate da stranieri e non da siriani.
Acquisiti tutti questi elementi, il quadro sembra più chiaro. Così il disegno che si cela dietro le quinte e dietro la semplificazione (errata) della guerra tutta interna all’Islam tra sciiti e sunniti compare con confini sempre più chiari. Qualcuno sta cercando di destabilizzare il Vicino Oriente perché l’asse della Resistenza sempre più forte fa paura tanto a Israele quanto ai paesi del Golfo Persico sempre più preoccupati dalla forza dell’Iran. Tanto da creare questa alleanza a geometria variabile tra sauditi e israeliani per incendiare e quindi dominare lo scacchiere vicino-orientale. Un’altra prova? Le autorità libanesi hanno arrestato per l’attentato all’ambasciata iraniana un cittadino saudita, Majid al-Majid, che viene considerato il capo delle brigate Abdallah Azzam, uno dei gruppuscoli legati ad al-Qaeda che negli ultimi anni ha colpito anche in Egitto, Giordania e Iraq. Poche ore dopo l’ultima autobomba esplode nel sud di Beirut. Da una parte, il tentativo di portare sciiti e sunniti a imbracciare le armi in una nuova guerra civile in Libano. Dall’altra la risposta di Hezbollah che continua a richiamare i principi di unità di tutti i libanesi contro le forze che vogliono portare la destabilizzazione nell’area.
Smontate le generalizzazioni e le semplificazioni di certa stampa, torna preponderante una domanda: a chi fa comodo un Libano incendiato, una Siria divisa e un Iraq devastato dagli attentati? A voi, dopo aver letto tutte le carte in tavola, la risposta.