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December 22, 2013
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Sud Sudan, ONU e lo spettro Rwanda

Stefano VaccarabyStefano Vaccara
I resti dei due peacekeepers dell'Onu di nazionalita' indiana uccisi il 19 dicembre ad Akobo, nello Stato del Jonglei, South Sudan, arrivano a Juba per i funerali. (UN Photo/Rolla Hinedi)

I resti dei due peacekeepers dell'Onu di nazionalita' indiana uccisi il 19 dicembre ad Akobo, nello Stato del Jonglei, South Sudan, arrivano a Juba per i funerali. (UN Photo/Rolla Hinedi)

Time: 5 mins read

Questa e' la trascrizione della corrispondenza per Radio Radicale di Stefano Vaccara dal Palazzo di Vetro dell'Onu

Mentre l’Onu, con soprattutto gli interventi di Stati Uniti e Francia, si concentrava sugli scontri nella Repubblica Centro Africana per cercare di contenere una guerra etnica dalle conseguenze inimmaginabili, ecco che anche nel Sudan del Sud le tensioni etnico-politiche che covavano gia’ da mesi esplodono facendo centinaia di morti e, giovedi, anche due vittime tra I caschi blu dell’Onu di un contingente indiano che fa parte di una missione che come primo compito ha la protezione dei civili. 

Ma che la guerra civile fosse sul punto di riscoppiare in Sud Sudan non poteva essere una sorpresa per nessuno dei diplomatici riuniti all’ONU. Infatti da quando la scorsa estate il presidente del neo Sud Sudan, Salva Kiir Mayardit, di etnia dinka, aveva licenziato il suo vice presidente Riek Machar, di etnia nuer, in pochi avevano dubbi che la resa dei conti tra i due leader sarebbe arrivata prestissimo. Nel 2011 i due leader rivali avevano festeggiato insieme l’indipendenza dopo decenni di lotte contro il Sudan del nord musulmano. Il Sud Sudan e’ uno stato nato solo due anni fa, la 193esima nazione del mondo, che aveva ottenuto quindi subito un seggio all’Assemblea generale dell’ONU. Ma adesso questa giovane nazione divisa da oltre 60 tribu’, rischia di disintegrarsi.

Le etnie che contano di piu’ sono appunto i dinka del presidente Mayardit, e i nuer de il vicepresidente Machar. Le Nazioni Unite,  quando erano riuscite a far garantire dal Sudan del Nord l’indipendenza per quello del Sud, avevano cercato anche di forzare la pace tra le due tribu’ ostili stazionando in un paese grande pressapoco quanto la Spagna, un contingente di 7mila caschi blu a guardia soprattutto della capitale Juba. Si pensava che la presenza di quei soldati dell’Onu sarebbe stata sufficiente a prevenire lo scatenarsi dei conflitti etnici, e invece da giorni i morti si accumulano. E entrambe i civili dell diverse etnie, hanno cercato rifugio nei vari compaud dell’ONU sparsi nel paese.

Ma adesso anche le forze dell’Onu vengono attaccate dai ribelli del Sud Sudan. Aerei ed elicotteri impegnati a portare aiuti e a evacuare civili dalla città di Bor, la roccaforte dell’ex vicepresidente Riek Machar, sono stati in questi due giorni presi di mira e dei soldati feriti.

La missione dell’OU Unimiss, lanciata nel 2011, è essenziale per tenere in piedi una nazione senza infrastrutture di alcun tipo. GLi Stati Uniti sia finananziariamente che con mezzi dislocati sotto la baniera Onu, sono i maggiori contribuenti della missione. Finora i caschi blu non erano rimasti coinvolti nei combattimenti fra gli uomini fedeli al presidente Salva Kiir Mayardit e quelli dell’ex presidente Machar.

Sudan del Sud

Una mappa del nuovo stato del Sudan del Sud

Ma giovedi a Akobo, nei pressi della citta’ di  Bor, la capitale dello stato dello Jonglei dove l’etnia nuer, quella fedele all’ex vicepresidente Machar,  sarebbe maggioritaria, una piccola base Onu è stata assaltata da circa 2000 giovani armati che cercavano di assalire civili di etnia Dinka che si erano rifugiati dentro la postazione dell’ONU: due militari indiani sono rimasti uccisi, un altro casco blu e’ stato gravemente ferito. Oltre 20 civili di etnia Dinka sarebbero rimasti uccisi. 

Ora l’Onu sta cercando di riprendere il controllo delle sue basi nella regione dello Jonglei, ed evacuare funzionari e civili in pericolo. Mentre la rivolta si sta estendendo ad altri Stati, anche in quelli dove sono situati i pozzi di petrolio più importanti.

Il bilancio dei morti avrebbe ormai superato i 500  morti e gli scontri etnici tra dinka e nuer potrebbero portare ad una situazione gia’ vista in Rwanda quasi venti anni fa. Le fonti Onu hanno detto venerdi che almeno 40 mila civili hanno gia’ trovato rifugio nella basi dell’Onu dislocate nei pressi della capitale Juba.

Venerdi il Consiglio di Sicurezza dell’Onu si e’ riunito in una seduta di emergenza e in un comunicato ha detto di essere molto “Preoccupato dalla velocità con cui la situazione si sta aggravando”. I Segretario Generale dell’ONU Ban Ki Moon ha detto che “Il futuro di questa giovane nazione richiede che la leadership attuale faccia tutto il possibile per impedire che il Sud Sudan sprofondi nel caos”.  Anche il Presidente Barack Obama, giovedi aveva rilasciato una dichiarazione molto preoccupata sulla situazione in Sud Sudan: ““Oggi il futuro e’ in pericolo, Il Sud Sudan si trova davanti ad un precipizio. I recenti combattimenti rischiano di far precipitare il Sud Sudan nel suo recente passato della guerra civile”.

Quando alla fine della Riunione del Consiglio di Sicurezza di venerdi, l’ambasciatore francese Gerard Araud, Presidente di turno, si e’ presentato davanti ai giornalisti, ha descritto una situazione molto allarmante. Ha detto che il piccolo contingente di caschi blu che stava proteggendo dei civili ad Akobo, non ha potuto far nulla contro circa duemila giovani armati che hanno attaccato l’accampamento uccidendo due soldati dell’Onu e almeno una ventina di civili, per poi fuggire dopo essersi impossessati di armi e munizioni.

Noi abbiamo chiesto all’ambasciatore francese cosa il Consiglio di Sicurezza intendesse subito fare per evitare che si possa arrivare ad una situazione come avvenne in Rwanda o nella ex Jugoslavia, dove i civili avevano creduto di poter trovare protezione dai caschi blu dell’ONU per poi finire trucidati senza che i caschi blu intervenissero per proteggerli. L’ambasciatore francese ha risposto dicendo che la situazione e’ diversa: “I caschi blu” ha detto Araud, “questa volta non potevano fare di piu’ perche’ erano solo una ventina di soldati contro duemila giovani armati e quindi non hanno potuto evitare che i ribelli entrassero nel compound” . E poi l’ambasciatore francese ha cominciato a spiegare che i soldati Onu ora verrano impiegati nelle diverse zone del paese in base alle situazioni di pericolo imminenti. Quando Radio Radicale ha chiesto se il Consiglio avesse gia’ discusso se fosse necessario inviare a questo punto in Sud Sudan ulteriori rinforzi Onu per poter proteggere la popolazione a rischio, l’ambasciatore francese e’ stato categorico: “No, non serve adesso”. Cioe’ i soldati Onu a disposizione, circa settemila, sarebbero sufficienti. 

Quando al briefing del portavoce del Segretario Generale dell’Onu abbiamo posto la stessa domanda (video qui, minuto 9:23), se per evitare un altro Rwanda, il Segretario Generale pensasse gia’ di chiedere al Consiglio di Sicurezza di rinforzare ulteriormente il suo contingente di caschi blu in Sud Sudan, la risposta non e’ stata molto differente da quella dell’ambasciaotre francese, e cioe’ che i soldati presenti in Sud Sudan, sarebbero per ora sufficienti ed e’ soltanto un problema di prevedere in tempo dove debbano essere dislocati.

 

 

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Stefano Vaccara

Stefano Vaccara

Sono nato e cresciuto in Sicilia, la chiave di tutto secondo un romantico tedesco. Infanzia rincorrendo un pallone dai Salesiani e liceo a Palermo, laurea a Siena, master a Boston. L'incontro col giornalismo avviene in America, per Il Giornale di Montanelli, poi tanti anni ad America Oggi e il mio weekly USItalia. Vivo a New York con la mia famiglia americana e dal Palazzo di Vetro ho raccontato l’ONU per Radio Radicale. Amo insegnare: prima downtown, alla New School, ora nel Bronx, al Lehman College della CUNY. Alle verità comode non ci credo e così ho scritto Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination (Enigma Books 2013 e 2015). Ho fondato e diretto (2013-gennaio 2023) La VOCE di New York, convinto che la chiave di tutto sia l’incontro fra "liberty & beauty" e con cui ho vinto il Premio Amerigo 2018. I’m Sicilian, born in Mazara del Vallo and raised in Palermo. I studied history in Siena and went to graduate school at Boston University. While in school, I started to write for Il Giornale di Montanelli. I then got a full-time job for America Oggi and moved to New York City. My dream was to create a totally independent Italian paper in New York to be read all over the world: I finally founded La VOCE di New York. In 2018 I won the "Amerigo Award". I’m a journalist, but I’m also a teacher. I love both. I cover the United Nations, and I correspond from the UN for Radio Radicale in Rome. I teach Media Studies and also a course on the Mafia, not Hollywood style but the real one, at Lehman College, CUNY. I don't believe in "comfortable truth" and so I wrote the book "Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination" (Enigma Books 2013 e 2015). I love cooking for my family. My favorite dish: spaghetti con le vongole.

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