Duecento connazionali arrestati in Polonia. Racconti di arresti senza un perché, generalizzati, nel mucchio. Racconti di maltrattamenti, processi “farsa” con interpreti che consigliavano di dichiararsi “colpevoli per evitare ulteriori guai”, nessun rispetto per il diritto di difesa, nessuna comunicazione con i familiari. Basterebbe questa lista di fatti per far gridare allo scandalo e far reagire lo Stato italiano con forza e veemenza, sia dal punto di vista istituzionale sia da quello mass-mediatico. E invece, solo risposte tardive e in affanno. Mentre una ventina di italiani ancora sono in carcere a Varsavia a distanza di giorni dall’arresto.
Ma cos’è successo in Polonia? Di cosa stiamo parlando? Già, sulle prime pagine dei giornali italiani questa notizia non ha avuto tanto spazio ed è stato stigmatizzata quasi immediatamente. Ma spieghiamoci meglio. Giovedì scorso si giocava la partita di calcio di Europa League tra il Legia e la Lazio. All’andata i tifosi polacchi si erano distinti per violenze e scontri nel centro della Capitale. Al ritorno, in tanti tifosi laziali vogliono seguire la propria squadra in Polonia. La polizia ferma e arresta, il giorno prima della partita, un gruppo di tifosi per possesso di armi da taglio. Ma il giorno del match il dispositivo poliziesco polacco fa tornare alla mente regimi non molto democratici. Normalmente i tifosi che sono in trasferta usufruiscono di un servizio di trasporto per lo stadio e della scorta della polizia, ma a Varsavia sembra non funzionare così. I ragazzi della Lazio decidono di vedersi all’Hard Rock Cafè per andare tutti insieme allo stadio, anche per motivi di sicurezza, visto che quello che i tifosi polacchi avevano fatto all’andata. Subito però si capisce che c’è qualcosa che non va. Diverse camionette della polizia accerchiano i laziali e li chiudono in una serie di strade secondarie. Tanti nella confusione scappano. In molti vengono fatti stendere per terra, ammanettati, lasciati ore in mezzo alla strada, senza un motivo. Chi riesce ad andare allo stadio, parla di continue provocazione e di un deflusso, al termine dell’incontro, a dir poco agghiacciante: per ore chiusi nello stadio esposto al freddo della Polonia a novembre. E poi obbligati a salire a gruppi su alcuni taxi. C’è chi riesce a tornare in stanza addirittura dopo quattro o cinque ore.
Intanto l’incubo per i duecento fermati è appena iniziato. Tutti chiusi nei commissariati, in celle improvvisate, senza poter parlare con i familiari o con gli avvocati. Racconti assurdi di persone che finiscono in un buco nero, senza un perché. La polizia polacca pubblica un video per raccontare i violenti scontri: video, da cui si evince al massimo che qualche persona, sbagliando, tira una bottiglia contro un blindato. E nulla di più. I polacchi addirittura hanno parlato di “arresti preventivi” come fossimo già nei giorni di “Minority Report”.
A distanza di giorni, la situazione ancora non si è conclusa. In tanti si sono detti colpevoli di “schiamazzo notturno” e sono stati rilasciati, dovendo pagare una multa. “Mi hanno messo le manette e portato in tribunale, dove sono stato processato senza un avvocato – spiega un tifoso appena tornato in Italia – C’era solo l’interprete con un consiglio: se ti dichiari colpevole puoi andar via senza pagare nulla perché hai passato la notte in stato di fermo”. C’è chi ha dovuto pagare una multa dai 100 ai 500 euro, c’è chi ancora attende il giudizio. Chi è stato messo in isolamento per due giorni senza cibo e pochissima acqua. Ragazzi e ragazze sotto choc che ancora non si spiegano cosa sia successo.
Quello che fa male è l’atteggiamento di larga stampa nazionale che ha solo dato la notizia di famigerati scontri tra ultras della Lazio e polizia polacca con duecento arrestati, prendendo per buona la notizia delle violenze. Ma si sa, il tifoso è di quelle categorie su cui i pregiudizi la fanno da padrone: così magicamente la parola ultras diventa sinonimo di teppista violento. E quello che fa a dir poco riflettere è l’atteggiamento dell’Italia che davanti a duecento connazionali in carcere si muove scomposta e in ritardo. Tranne un’interrogazione parlamentare nazionale e l’intervento del vicepresidente del Parlamento europeo, Roberta Angelilli, che ora ha anche chiesto all’Ue di fare chiarezza sull’accaduto, gli interventi istituzionali, quando ci sono stati, sono arrivati in ritardo. Ci sarebbe piaciuto vedere un coinvolgimento concreto, un atteggiamento diverso, un aiuto immediato ai nostri connazionali, invece dei titoli a sei colonne su presunte violenze dei laziali in Polonia. In qualunque altro Paese sarebbe scoppiato uno scandalo, da noi solo un assordante silenzio. Ancora una volta, come Italia, abbiamo perso un’occasione: quella di essere sistema per l’interesse dei cittadini.
Twitter: @TDellaLonga
L’intervista a una delle ragazze italiane arrestate