Appartengono ormai al passato i giorni in cui le conferenze sui cambiamenti climatici facevano notizia. L’11 novembre a Varsavia si è aperta la diciannovesima conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici nel semi-silenzio dei media internazionali (assoluto il silenzio dei media italiani). Sarà che dopo 18 edizioni in cui i paesi hanno preso impegni cui non hanno tenuto fede, sono in pochi a credere che sia in una sede ONU che si troveranno le soluzioni necessarie per evitare il disastro climatico.
I rappresentanti di oltre 190 paesi sono riuniti nella città polacca per discutere come affrontare i cambiamenti climatici dopo il 2020, ma nessuno si aspetta grossi passi avanti da questo incontro. Si tratterà, come ce ne sono stati già molti nella storia delle COP (sigla che sta per Conferenza delle Parti dell’UNFCCC, United Nations Framework Convention on Climate Change), di un vertice preparatorio in cui si dovrebbero gettare le basi per un accordo da raggiungere in tempo per i colloqui del 2015 che si terranno a Parigi.
Ma il tempo stringe e l’esperienza insegna che mettere d’accordo paesi a livelli diversi di industrializzazione sui limiti di emissioni di gas serra non è impresa semplice (leggi la nostra cronistoria dei negoziati sul clima). Eppure non è più ora di rimandare. La natura, forzata dalla mano dell’uomo, a volte sa essere ironica. Come a sottolineare l’urgenza di provvedimenti troppo a lungo rimandati, il clima ha fatto drammaticamente sentire la sua voce: nelle ultime due settimane il tifone Haiyan ha devastato le Filippine, una serie di tornado ha messo in ginocchio ampie zone del Midwest degli Stati Uniti e una tempesta di inusuale intensità per il Mediterraneo ha colpito la Sardegna. A chi volesse ancora mettere in dubbio il nesso tra questi fenomeni e l’inquinamento atmosferico provocato dall’uomo gli scienziati ribadiscono: fenomeni atmosferici di questa intensità e frequenza sono destinati ad aumentare se non teniamo la temperatura terrestre sotto i livelli di guardia.
Le stesse Nazioni Unite, che hanno più volte mostrato i propri limiti come sede per un accordo internazionale sul clima, hanno di recente pubblicato un rapporto (The Emission Gap Report 2013) in cui sottolineano il ritardo dei paesi nel dare seguito agli impegni assunti sulla riduzione dei gas serra. “Se la comunità mondiale non si avvierà immediatamente verso azioni ad ampio raggio per ridurre il gap di emissioni di gas serra – si legge nel comunicato stampa che ha accompagnato la presentazione del rapporto – le possibilità di rimanere sul percorso meno costoso per mantenere l’innalzamento della temperatura globale al di sotto dei 2 gradi centigradi in questo secolo si ridurranno rapidamente e apriranno le porte a una serie di sfide”. Di fatto significa che continuare a rimandare costringerà le nazioni a riduzioni ben più consistenti. Gli scenari finora prospettati, infatti, prevedevano che le riduzioni iniziassero nel 2010. E quello è anche l’ultimo anno per cui i dati sulle emissioni globali di gas serra sono disponibili. Non è quindi facile avere una percezione precisa di dove stiamo andando ma gli impegni non rispettati da praticamente tutti i paesi coinvolti non possono far ben sperare. Eppure sembra che l’urgenza che accompagnava questa discussione alla fine dello scorso decennio sia svanita.

Uno striscione di Greenpeace contro il governo polacco colpevole di aver organizzato il vertice dell’industria del carbone in concomitanza con la COP19
Gli unici che ancora si sgolano a chiedere misure immediate sono anche gli unici a fare notizia: gli ambientalisti scendono in piazza con colorite proteste per ribadire che è urgente che la comunità internazionale prenda provvedimenti contro l’innalzamento globale delle temperature. In particolare, in questi giorni, a suscitare l’indignazione degli attivisti è stata la decisione del governo polacco di organizzare, a Varsavia, in concomitanza con la COP 19, la conferenza della World Coal Association che spinge perché il carbone, la fonte fossile più abondante al mondo, abbia un ruolo nella riduzione dei gas serra grazie all’utilizzo di nuove tecnologie nelle centrali energetiche. Il mondo ambientalista, inutile dirlo, non ci sta. La linea di fondo del pensiero ecologista può essere riassunta prendendo a prestito una frase da Einstein: non si può risolvere un nuovo problema usando la stessa mentalità che lo ha creato.
La crisi economica sembra aver allontanato la soluzione al problema dei cambiamenti climatici. Se inizialmente si era pensato che la recessione potesse finire per giocare in favore del clima abbassando le emissioni di gas serra, dopo qualche anno di crisi appare evidente che la risposta mondiale è quella di affidarsi a fonti più economiche e quindi – spesso – più inquinanti. Da una parte (geograficamente parliamo soprattuto degli USA) è in corso una rivoluzione legata allo sfruttamento dei giacimenti di gas di scisto che sta cambiando gli assetti energetici mondiali ma che, pur producendo quantità minori di anidride carbonica alla centrale energetica (quando bruciato il gas naturale produce meno CO2 rispetto al petrolio e al carbone), pone una serie di problemi ambientali la cui entità è ancora largamente sconosciuta. Dall’altra parte del mondo, l’uso del carbone è in forte e costante crescita come conseguenza dell’industrializzazione e dell’aumentata capacità (e necessità) di produzione di energia della Cina. Negli ultimi 10 anni il carbone ha coperto quasi la metà del consumo mondiale di energia primaria. Lo dicono i dati dell’International Energy Agency che ha di recente fatto sapere che, secondo previsioni, ancora nel 2035 il carbone potrebbe essere la principale fonte di produzione di energia elettrica.
La soluzione è lontana. Dato per scontato che da Varsavia uscirà poco o niente, l’appuntamento cui tutti guardano è quello in programma a New York per il settembre 2014 cui Ban Ki-moon ha invitato i leader mondiali con l’auspicio di trovare un nuovo quadro all’interno del quale sviluppare un accordo in vista di Parigi 2015. Il vertice punta a catalizzare l’azione di governi, imprese, finanza, industria e società civile verso nuovi impegni e contributi sostanziali, scalabili e replicabili, per favorire il passaggio a una nuova economia low carbon. Il segretario generale delle Nazioni Unite ha invitato la comunità internazionale a cercare un ambizioso accordo vincolante all’interno delle cornice dell’UNFCCC. Ancora una volta, quindi, le Nazioni Unite cercano di fare da arena per quello che sempre più si caratterizza come lo scontro del millennio.