Ad Amman inizia a fare freddo. La città è costruita su sette colli, come Roma. Ma qui l'altezza sul livello del mare raggiunge anche 1100 metri. Di giorni, i raggi del sole riscaldano la pelle, ma già l'aria si fa pungente. Nel giro di qualche settimana, i giordani si aspettano la neve e qualche giorno fa la pioggia ha colpito violentemente la capitale e il nord del paese, ovvero la zona che confina con la Siria.
Secondo le ultime statische dell'Unhcr, i rifugiati nel paese sarebbero 544.374. Ma tutti qui sanno che molto probabilmente i siriani che hanno attraversato il confine sono più di un milione. La maggior parte dei rifugiati vive fuori dall'immenso campo profughi di Za'atari. I siriani cercano stanze da affittare, molte volte nelle zone più povere di Amman o nei villaggi vicino al confine, dove nella maggior parte dei casi i rifugiati sono più numerosi dei residenti stessi. La Giordania ha una lunga tradizione di accoglienza, ma ora la situazione rischia di diventare sempre più tesa, tra giordani e rifugiati. Da queste parti, l'acqua è un bene primario che scarseggia per tutti. La crisi economica ha impoverito il paese e i siriani vengono sempre meno accettati. Il rischio, a breve, sarà quello di dover affrontare una crisi nella crisi, ovvero un problema sociale interno che può diventare una nuova guerra tra poveri.
La Croce Rossa in Giordania porta avanti un progetto (“Cash transfer programme – CTB”) con il quale vengono selezionate le famiglia più vulnerabili dalla lista dell'Unhcr e gli viene consegnata una carta bancomat ricaricata mensilmente. Con questi soldi, i rifugiati possono pagare l'affitto e far fronte ai bisogni primari, mentre l'Onu si occupa di alcuni voucher con cui procurarsi il cibo. Il programma CTB è molto apprezzato, anche perchè riesce a lavorare anche sulla dignità dei siriani che così possono decidere autonomamente come spendere il proprio denaro e auto-organizzarsi, non sentendosi semplicemente degli assistiti. Per quanto riguarda educazione e sanità, le autorità giordane hanno aperto scuole e ospedali ai rifugiati, ma questo significa doppi turni e soprattutto il rischio di portare al collasso un intero sistema.
Con l'inverno in arrivo, che tra l'altro nelle previsioni metereologiche sarà uno dei più severi degli ultimi anni, i siriani hanno paura di non poter affrontare il freddo e di poter tenere al sicuro i più vulnerabili, come bambini e anziani. Quando ci aprono le porte delle loro case, l'atmosfera è sempre cordiale, ma ovviamente piena di interrogativi. Quando finirà la guerra? Cosa sta succedendo ai nostri cari rimasti in Siria? Quando potremo tornare? Negli occhi di ognuno di loro, la tragedia della guerra con i tanti morti dall'inizio del conflitto. Il rumore dei bombardamenti che hanno tolto la voce ai più piccoli per giornate intere. La disperazione per avere dovuto abbandonare la propria terra. “Che cosa potevamo fare? La nostra casa era distrutta e i bombardamenti si intensificavano. Non potevamo fare altro che mettere al sicuro i nostri, scappando dalla Siria”, ci spiegano tutti.

Il campo di Zaatari in Giordania approntato dall’Onu per i profughi siriani (@Tommaso Della Longa)
Al confine intanto gli accessi sono diminuiti anche se in molti dicono che sono migliaia i siriani pronti ad arrivare e che in questo momento il governo giordano sta controllando di più l'accesso. Il campo di Za'atari, il secondo più grande al mondo, contiene al momento tra i 90mila e i 100mila siriani, in pratica è stata costruita una grande città in mezzo al deserto. L'Unhcr e le altre organizzazioni umanitarie hanno moltiplicato i loro sforzi per migliorare la condizione di vita degli ospiti ed effettivamente la situazione attuale non è lontanamente paragonabile a quanto avevamo visto a maggio scorso. Ora si cerca di lavorare sulla decentralizzazione dei servizi all'interno del campo e sul lavoro congiunto tra organizzazioni umanitarie, istituzioni giordane e comunità siriane.
Dopo aver visto la distribuzione di cibo in Libano e la situazione in Giordania, quello che rimane più impresso è l'enormità dei bisogni umanitari e delle risposte che la Comunità internazionale dovrebbe dare ai rifugiati, ma anche ai paesi ospitanti. Oltre al livello diplomatico e strategico, il mondo dovrebbe ricordarsi della sofferenza delle persone, dei milioni di profughi, degli sforzi del mondo umanitario. Tutto questo, insieme alla protezione dei soccorritori, dovrebbe diventare uno dei punti cruciali di ogni dibattito, di ogni notizia, di ogni meeting internazionale e non più solamente uno sfondo fatto di numeri, come se il dramma umanitario fosse un dato di fatto, un qualcosa di inesorabile che non si può migliorare. Oggi abbiamo dovuto anche registrare l'aumento del numero dei soccorritori uccisi in Siria: da 22 a 31, visto che alcuni comitati periferici della Mezzaluna Rossa Siriana non avevano più contatti con la sede nazionale e solo ora sono riusciti a comunicare quanto accaduto ai propri volontari. Un conteggio drammatico che deve essere fermato. Con uno sforzo congiunto a livello internazionale per il rispetto dei soccorritori e per un accesso umanitario garantito. Senza perdere altro tempo.
Twitter: @TDellaLonga