Qui in Libano, il nemico per più di 800mila rifugiati siriani si chiama inverno. Il tempo sta cambiando, le giornate di sole diventano più corte, il freddo si fa sentire sempre più pungente. E tra qualche settimana la neve e violenti nubifragi si abbatteranno sulla terra dei cedri e in tutta l'area vicino orientale.
In pratica, stiamo parlando di milioni di persone, in Siria e nelle nazioni confinanti, che dovranno affrontare temperature vicine allo zero e allagamenti, con i relativi problemi di salute. Ad oggi i rifugiati sono oltre due milioni, tra Libano, Turchia, Iraq, Giordania ed Egitto. Più del doppio all'interno della Siria. Intere famiglie costrette a lasciare tutto più di una volta negli ultimi due anni e mezzo di conflitto armato. “Sembra quasi che la guerra e la sofferenza ci stiano inseguendo”, ci dice uno dei rifugiati incontrati durante la distribuzione alimentare della Croce Rossa Libanese a Saadnayel, nell'affascinante Valle della Bekaa.
Le storie che si sovrappongono parlano di viaggi della speranza continui, prima all'interno della Siria e poi nei paesi limitrofi. Storie fatte di disperazione e paura, di bambini che non vanno più a scuola, di famiglie divise, di mancanza di lavoro, di angoscia continua per un futuro che, invece di migliorare, peggiora. Storie di intere comunità che si spostano in cerca di un posto sicuro dove stare e di protezione umanitaria.
“Chiediamo solamente cibo, materassi, coperte e stufe. Altrimenti sarà molto difficile sopravvivere all'inverno”, spiega una signora siriana di 65 anni, che da tre mesi vive in una fabbrica abbandonata “dove non c'è nulla, letti, sedie, acqua corrente, ogni giorno è una sfida”.
Il tempo, qui in Libano, corre più veloce, passano i giorni e crescono le preoccupazioni per il freddo che sta per arrivare. E' incredibile che una stagione climatica possa diventare il peggiore nemico di persone che sono scampate alla morte poche settimane prima. Davanti a tutto questo, le organizzazioni umanitarie si trovano a dover scegliere chi è il più vulnerabile, chi è il più bisognoso, chi deve essere aiutato prima. Mentre il mondo circostante va avanti, parla di massimi sistemi di politica, ma pecca di concretezza quando si parla di aiuti umanitari. Dopo due anni e mezzo ancora non è garantito l'accesso umanitario senza ostacoli in tutta la Siria. Dopo due anni e mezzo i bisogni aumentano sempre di più, facendo crescere una delle peggiori crisi umanitarie delle ultime tre decadi. Eppure la speranza nelle comunità di rifugiati di “tornare presto a casa” rimane un sogno vivo e concreto: sono stanchi della guerra e non accettano l'idea di vivere lontani dalla propria nazione.
Intanto nei Paesi che li ospitano, la tensione rimane alta. In Libano, a Tripoli, gli scontri sono sanguinosi e quotidiani: la guerra siriana è sbarcata anche da queste parti, con le fazioni pro e contro Assad che si combattono. Ma la tensione rimane alta anche perchè lo spettro delle divisioni degli anni della guerra civile è sempre presente: lo si intuisce negli occhi della gente, nelle parole non dette, nei gesti.
“Un Libano forte e pacificato fa paura. E' per questo che qualcuno dall'esterno gioca sempre sulla sua destabilizzazione”, ci dicono in un bar un gruppo di libanesi. E a livello interno, qui come nelle altre nazioni circostanti, il rischio è che si scateni una guerra tra poveri, tra i rifugiati siriani che lavorano per pochi dollari e i residenti che non hanno lavoro. Una situazione esplosiva che ha bisogno di risposte concrete a livello internazionale, mentre gli appelli delle organizzazioni umanitarie rimangono praticamente lettera morta e i fondi per le attività diminuiscono invece di aumentare.