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July 29, 2013
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La Cambogia al bivio, tra contestazioni elettorali e speranza di cambiamento

Silvia RomanellibySilvia Romanelli
Il premier cambigiano Hun Sen mostra il dito dopo aver votato

Il premier cambigiano Hun Sen mostra il dito dopo aver votato

Time: 4 mins read

La vittoria schiacciante del partito che ha dominato la storia della Cambogia dal periodo degli Khmer Rossi fino ad oggi questa volta non c’è stata.

Nelle ultime elezioni del 28 Luglio infatti il Partito Popolare Cambogiano (CPP) di Hun Sen, primo ministro oramai in carica da 28 anni, ha riportato solamente una vittoria ridotta, che tra l’altro è stata contestata il giorno seguente dall’opposizione.

Il CPP avrebbe ottenuto 68 dei 123 seggi dell’Assemblea Nazionale, corrispondente alla Camera in Italia, perdendo 22 seggi rispetto alle precendenti elezioni tenutesi cinque anni fa. Il principale partito d’opposizione invece, il Partito Cambogiano di Salvezza Nazionale (CNRP), avrebbe totalizzato ben 55 seggi.

Questi risultati sono stati contestati dal CNRP, che li ritiene manipolati e ha chiesto l’istituzione, entro fine Agosto, di un comitato d’inchiesta composto dalle diverse parti politiche, gli Stati Uniti, l’organismo cambogiano in carica dell’organizzazione elettorale e le organizzazioni non governative.

All’avvicinarsi delle urne, molte ONG avevano richiamato l’attenzione sulle irregolarità nei meccanismi d’iscrizione dei cittadini alle liste dei votanti, sul clima d’intimidazione contro l’opposizione, la presenza mediatica sproporzionata del CPP rispetto ai suoi avversari e l’uso di risorse statali, finanziare e umane, per la campagna del partito di Hun Sen.

L’intero processo elettorale “è stato manipolato per assicurare la vittoria del partito al potere,” si legge in un comunicato stampa sul sito dell’ONG ‘Human Rights Watch’.

In un video largamente rilanciato sui social media, l’associazione cambogiana COMFREL (Committee for Free and Fair Elections in Cambodia) mostra come l’inchiostro indelebile usato dagli elettori sia in realtà del tutto cancellabile. A ciò si aggiunge la presenza nelle liste elettorali di nomi di persone inesistenti e al contrario l’assenza dell’11 per cento dei cittadini che invece si credevano iscritti, come denunciato dal National Democratic Institute, un organismo finanziato dal governo statunitense.

Proprio le frustrazioni di questi cittadini, che andando alle urne si sono accorti di non poter votare perché non registrati, sarebbero all’origine, secondo il Phnom Penh Post, dei disordini avvenuti in un seggio elettorale della capitale, dove due vetture della polizia sono state date alle fiamme.

“Ci sono tra 1.2 e 1.3 milioni di persone i cui nomi sono mancanti e che quindi non hanno potuto votare. Hanno cancellato il nostro diritto di voto, come possiamo accettare queste elezioni?” sono le parole di Sam Rainsy, leader del CNRP, riportate dall’agenzia Reuters.

“Cambiamento” è stata la parola chiave usata da Rainsy durante la campagna elettorale, della quale ha potuto vivere in prima persona in Cambogia soltanto l’ultima settimana. Prima si trovava in Francia, in esilio volontario dal 2009, per evitare una condanna pendente su di lui per aver falsificato delle mappe contestando i confini accordati tra Cambogia e Vietnam, un’accusa che Rainsy ritiene di natura politica. Benché abbia ricevuto la grazia del re e sia potuto tornare in Cambogia il 19 Luglio scorso, Rainsy non ha potuto partecipare alle elezioni né come elettore né come candidato perché arrivato troppo tardi in patria per registrarsi per entrambi.

A sostenere l’opposizione cambogiana ci sono molti  giovani nati negli anni ottanta che hanno ingrossato quest’anno le fila degli elettori. Sarebbero loro, secondo alcuni osservatori, a chiedere un cambiamento e a non accontentarsi della stabilità senza diritti offerta dal CPP – una stabilità capace forse di soddisfare generazioni più anziane che hanno visto molto peggio durante l’inferno del regime degli Khmer Rossi tra il 1975 e il 1979 e la successiva occupazione vietnamita.

Le elezioni sono un banco di prova per un paese come la Cambogia, che è da anni in un processo di democratizzazione cominciato con le urne organizzate sotto l’egida dell’ONU nel 1993.

Ma il paese, il cui primo ministro Hun Sen è stato un comandante militare sotto gli Khmer Rossi, è sembrato finora far fatica a scrollarsi di dosso l’eredità della storia. Con Hun Sen la Cambogia ha accelerato il suo sviluppo economico ed è entrata nell’Associazione delle Nazioni del Sud-Est Asiatico (ASEAN), ma al contempo ha visto aumentare i contrasti sociali tra coloro che hanno beneficiato dello sviluppo del paese e un terzo della popolazione che invece ancora vive con meno di un dollaro al giorno.

Con questo rimescolamento delle carte politiche che ha scosso la dominazione del CPP, potranno ora i cambogiani sperare in un futuro migliore? La risposta non è scontata e dipende in gran parte da come il CPP risponderà alla messa in questione dei risultati elettorali da parte dell’opposizione. Sebbene queste elezioni siano state piuttosto pacifiche per gli standard cambogiani, degli episodi di violenza tra i due campi potrebbero aver luogo nell’atmosfera bollente di questa fine Luglio post elettorale. 

Gli sviluppi saranno di certo sotto lo sguardo attento degli osservatori – e dei donatori – internazionali, primi tra tutti gli Stati Uniti, da cui sono arrivate minacce di tagli agli aiuti per lo sviluppo inviati alla Cambogia in caso di elezioni che non rispettino gli standard democratici.

La minaccia americana è tuttavia poca cosa di fronte alla promessa da parte della Cina, lo scorso Aprile, di altri 548 milioni di dollari di aiuti per la Cambogia, un paese in cui la Cina investe già otto volte di più degli Stati Uniti.

La partita è ancora tutta da giocare e speriamo che a guadagnarci alla fine siano i cittadini cambogiani.

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Silvia Romanelli

Silvia Romanelli

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