Forse (mille forse) con la morte di Matteo Messina Denaro si realizza quello che in una intervista dice Giovanni Falcone: “Come tutte le cose umane, anche la Cosa Nostra ha una nascita, una vita, avrà una morte”.
La Cosa Nostra che in questi anni abbiamo conosciuto, quella almeno, è morta. Dei “vecchi” corleonesi restano (seppelliti da una quantità di ergastoli, infiacchiti dagli anni, Pietro Aglieri forse preda di vera crisi mistica; l’irriducibile Leoluca Bagarella; il silenzioso Nitto Santapaola, che ha barattato il suo silenzio con la garanzia che non sarà torto un capello ai figli, dopo che gli hanno ucciso la moglie). Lui stesso, Matteo, pur erede di una vecchia e potente “famiglia” di Castelvetrano e pupillo di Totò Riina, era diverso. Da sempre, da molto prima che il tumore lo devastasse.
Riina, per esempio: capace di uccidere e far uccidere decine di persone, bambini compresi. Ma fedelissimo alla moglie. Così Bagarella: Vincenzina Marchese, pare entrata in depressione dopo aver subito due aborti e per la vergogna di essere sorella di Pino Marchese, il primo corleonese “pentito”; la donna si uccide e Bagarella da morta la onora perfino più di quando era viva; o Bernardo Provenzano: vive una vita solitaria in squallide masserie, mangia pane e formaggio come un pastore, “nasconde” la moglie in Germania e i figli neppure sanno chi è il loro padre…
Matteo, lui no: fin da ragazzo ama la bella vita, i vestiti dei migliori sarti, camicia di seta, belle donne, non si fa mancare nessun piacere della vita: è esattamente quel “fimminaro” che Riina rimprovera sia l’acerrimo nemico Tommaso Buscetta. In effetti, con “don Masino” condivide il saper affascinare le donne, ed esserne a sua volta attratto.

Altra “Cosa Nostra” ora: tutta da decifrare, ammesso che la si possa ancora chiamare così. Non si dice che con la morte di Messina Denaro sia scomparso il crimine organizzato con tutto quello che comporta. Si dice che non esiste più, forse, quella forma organizzativa tanto celebrata (e spesso distorta), da film e romanzi. Altra “cosa”, magari perfino più pericolosa, insinuante, difficile da comprendere e contrastare. Ma “altra”.
Per tornare a Messina Denaro, restano segreti e misteri. Tanti. Riina vuole uccidere Falcone a Roma. Poi cambia “idea”, il piano progettato con cura “salta”. Perché? Cosa (e chi) interviene per rimandare l’attentato che poi si realizza a Capaci? Nel marzo del 1992 Riina manda a Roma un commando di cui Matteo fa parte, per uccidere Falcone, che lavora al ministero della Giustizia. Improvvisamente l’ordine di tornare in Sicilia perché c’è un’altra “soluzione”. Nessuno ha saputo spiegare questo mistero.
Ancora: chi suggerisce di piazzare la micidiale bomba a via dei Georgofili a Firenze? Messina Denaro è tra quanti conoscono e condividono le ragioni che portano i corleonesi a operare sanguinosamente in “continente”: la Cosa nostra uccide non solo a Firenze, ma anche a Roma e Milano; e ci sono le minacce di strage durante un’affollata partita di calcio a Roma, o la minaccia di attentati in varie città d’arte. Chi e perché fa quella scelta? Con quali obiettivi? Raggiunti o solo vagheggiati? Perché, infine, tutti i boss di una certa levatura sono comunque finiti in carcere…
Infine: che fine ha fatto e in cosa consiste, il favoleggiato “archivio” di Riina? E la famosa agenda rossa di Paolo Borsellino: qualcuno sussurra che l’avesse Messina Denaro (almeno in copia). In questo caso, chi gliel’ha consegnata, e perché? Quell’agenda, dai resti fumanti dell’automobile di Borsellino, non è certo stata presa in consegna da mafiosi.
Qui si aprono scenari inquietanti e misteriosi: una Cosa Nostra che attacca frontalmente lo Stato, poi, in qualche modo ne scende a patti. Si inabissa, torna a discreti “affari” in omaggio al detto: “Chinati giunco, che passa la piena”. E’ un vero e proprio cambio di strategia e di tattica da parte di Provenzano, a cui Messina Denaro si adegua. E’ la mafia “silente”.
Quando si rende conto del livello raggiunto dalla sua malattia abbandona ogni cautela. Non si consegna, ma nulla fa per impedire di essere catturato. Ai magistrati subito dice: “Io non mi farò mai pentito”. Poi, il silenzio; nei suoi “covi” poco o nulla che aiuti davvero gli investigatori. Del resto avvertiti: “Se ho qualcosa non lo dico, sarebbe da stupidi. Queste cose, qualora ce le avessi, non le darei mai”.
Questo sì, si può dire con certezza (e senza una briciola di ammirazione): Matteo Messina Denaro stupido non era.