L’orsa Amarena è stata uccisa, o dovremmo dire assassinata, la notte fra il 31 agosto e il 1 settembre a colpi di fucile, e la notizia si è diffusa fra l’indignazione generale: appena tre giorni fa era diventato virale un filmato della beniamina del Parco Naturale d’Abruzzo, che passeggiava di sera fra gli umani a San Sebastiano dei Marsi, richiamando i suoi due cuccioli, e poi si allontanava tranquillamente. Amarena era abituata a farsi vedere nei paesi del Parco, tanto turisti la hanno incontrata anche con le sue cucciolate precedenti. Quel filmato, tragicamente, era stato sbandierato come una prova che in Abruzzo si riesce a gestire la convivenza con gli orsi nel reciproco rispetto.
A spararle – con arma regolarmente detenuta, era un cacciatore – un uomo di 56 anni che dice di essersi spaventato vedendola in giardino; “non volevo ucciderla”. A darne notizia, nella notte, è stata la direzione del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise con un post sui social: Amarena “è stata colpita da una fucilata esplosa dal signor LA alla periferia di San Benedetto dei Marsi, fuori dal Parco. Sono intervenute prontamente le Guardie del parco in servizio di sorveglianza… L’episodio è un fatto gravissimo, che arreca un danno enorme alla popolazione che conta una sessantina di esemplari, colpendo una delle femmine più prolifiche della storia del Parco”. L’orsa, si aggiunge, aveva talvolta provocato danni alle colture ed altre attività zootecniche, “sempre e comunque indennizzati dal Parco”, e non era mai stata aggressiva con gli esseri umani.
Adesso è una corsa contro il tempo per trovare i cuccioli, troppo piccoli per sopravvivere da soli; sono stati mobilitati oltre 100 uomini fra carabinieri e forestali; mentre contro chi ha sparato si sono scatenate anche minacce di morte sul web.
Per l’Abruzzo è un colpo anche dal punto di vista della reputazione: il Parco Naturale e il presidente della regione, Marco Marsilio, tenevano a distaccarsi dal caso Trentino, dove il Progetto Ursus per il ripopolamento degli orsi nelle foreste settentrionali dell’Italia ha suscitato molte polemiche concentrate negli ultimi mesi attorno all’orsa Jj4. Questo esemplare, accompagnata dai suoi cuccioli, il 5 aprile aveva ferito a morte un ragazzo che correva nel bosco, Andrea Papi: primo caso di umano ucciso da un orso in Italia in oltre cent’anni. Jj4 era stata catturata e il presidente della regione Trentino Alto Adige, Maurizio Fugatti, ne aveva decretato la condanna a morte; i ricorsi delle associazioni animaliste davanti alla giustizia amministrativa regionale, dopo mesi di braccio di ferro, sono sfociati nella sospensione dell’ordine di abbattimento perché “sproporzionato e non coerente con le normative sovrannazionali e nazionali”. Nel frattempo, uno dei tre cuccioli dell’orsa era stato ritrovato morto.
A chi dare la priorità, all’essere umano e alla sua urbanizzazione della natura, o all’orso? O al lupo, se è per questo (poiché nelle foreste italiane anche il lupo è specie protetta ma assai contestata dagli allevatori). E si tratta solo di rapporto con la natura selvatica – o di una più generale incapacità di rapportarsi alle specie degli animali diversi – ma non così tanto – da noi?
In questa calda estate italiana, un altro fatto di cronaca degli ultimi giorni ha suscitato orrore: la storia di una capretta uccisa a calci in un agriturismo durante una festa di compleanno da un paio di ragazzi, che hanno anche filmato il delitto, incitati dai presenti (tutti adesso indagati per maltrattamento o per istigazione alla violenza). La capretta, abituata al contatto con l’umano, si era avvicinata fiduciosa. I ragazzi si giustificano dicendo che erano ubriachi. Esplosione di rabbia, o segnale di totale carenza di empatia – magari anche verso gli animali umani?
In Italia la legge del 2004 “punisce con la reclusione da tre mesi a un anno o con la multa da 3.000 a 15.000 euro, chiunque per crudeltà o senza necessità cagiona una lesione ad un animale o lo sottopone a sevizie, o a comportamenti o a fatiche o a lavori insopportabili per le sue caratteristiche etologiche. La stessa pena è comminata a chi somministri agli animali sostanze stupefacenti o vietate o li sottoponga a trattamenti che provochino danno alla salute degli stessi. Si prevede infine un aumento della metà della pena qualora dai fatti di cui al comma 1 derivi la morte dell’animale”.
Non sono cose che succedono solo adesso perché siamo diventati cattivi o abbiamo imparato a fare i video con gli smartphone. Semmai, i video con gli smartphone testimoniano – sui social – non solo l’animo umano, ma quello che prima non veniva alla luce del giorno.