Il 14 gennaio Emanuela Orlandi festeggerebbe, fosse ancora viva, 55 anni. Ne aveva 15, quando, il 22 giugno 1983, è misteriosamente scomparsa. A quarant’anni dalla scomparsa, il Vaticano annuncia ufficialmente di aver deciso di studiare per l’ennesima volta tutto il corposo fascicolo relativo a quest’“affaire”, per cercare di fare piena luce e fugare ogni possibile sospetto e zona d’ombra. Proposito lodevole, non fosse che le buone intenzioni si dice siano un ottimo materiale per lastricare le strade dell’inferno. Non si vuole, qui, inseguire “fantasie” alla Dan Brown. La realtà è sufficiente, senza far uso della fantasia.
Che Emanuela sia stata rapita e non si tratti di una scomparsa volontaria, è un dato certo. Cittadina vaticana, figlia di un dipendente della Santa Sede, la sua scomparsa è stata messa in relazione ad Alì Agca: il turco che il 13 maggio 1981 a San Pietro cerca di uccidere papa Giovanni Paolo II: liberare lui in cambio del rilascio di lei. Un paio di volte, quand’era detenuto in Italia, chi scrive ha avuto la possibilità di intervistarlo. Una prima volta subito dopo l’incontro, in carcere, con il pontefice che voleva uccidere. Entrambe le volte con il suo italiano gutturale, sillabava: “Emanuela è viva”. Suggestivo, Agca; e tutto meno che un imbecille, ma dargli credito è altra cosa.
Per tornare a Emanuela: si sono seguite le piste più fantasiose; mille sussurri e grida, pochissime le certezze.
Secondo un altro filone investigativo nella vicenda è coinvolto uno dei capi storici della Banda della Magliana: Enrico De Pedis; non si è mai capito perché sia stato sepolto nella basilica di Sant’Apollinare. Il coinvolgimento della banda nella scomparsa di Emanuela, disegna, almeno ipoteticamente, un quadro inquietante: la Banda avrebbe cercato di condizionare le politiche del Vaticano, e fa intravedere oscure gestioni di fondi dirottati dallo IOR al tempo del defunto cardinale Paul Marcinkus in favore del sindacato polacco Solidarnosc in funzione antisovietica. Però: ma davvero il Vaticano, per quanto finanziariamente potesse essere esangue, si rivolge a quattro delinquenti romani per avere del denaro da dirottare al sindacato di Lech Walesa? Mah!
Sempre secondo i “si dice” c’è chi ancora oggi teme che dietro questa storia si nasconda una verità scomoda. Per chi? Il mistero è un mosaico composto da più misteri, costellato da versioni fumose e contraddittorie. Un giorno si rinvengono resti umani all’interno della dependance della Nunziatura Apostolica a Roma. Si pensa a Emanuela; gli esami però escludono sia lei.
Poi un nuovo capitolo. Una lettera anonima invita a cercare dove indica l’angelo, una tomba dentro il cimitero teutonico in Vaticano. Si scava, e anche qui non si viene a capo di nulla.
La Santa Sede ha sempre assicurato che faceva tutto il possibile per fugare ogni possibile dubbio. Al di là delle promesse, è un fatto che il Vaticano ha respinto tutte le richieste di rogatoria avanzate dalla Procura di Roma. Il 17 marzo 2014, al termine della messa nella chiesa di Sant’Anna, papa Francesco si intrattiene con la famiglia Orlandi. In quell’occasione secondo Pietro, fratello di Emanuela, il papa avrebbe detto che la ragazza “sta in cielo”.
Ora la questione “ritorna”.

Notiziari televisivi “offrono” frettolosi servizi di manciate di secondi, corredati da consumate e neppure troppo cercate immagini di repertorio; immancabile la dichiarazione del fratello, ovviamente chiede verità e giustizia… I giornali seguono a ruota. Una ribollita d’oltretevere, che però ormai è davvero insapore, più che rafferma. Del resto ne è passata di acqua, sotto i ponti. Tanti cronisti che hanno seguito la vicenda non ci sono più o sono in pensione, per chi li ha sostituiti parlare di Emanuela è come parlare di Garibaldi…
Ugualmente un po’ di memoria andrebbe pur coltivata. Tra i tanti che si sono occupati della vicenda, Pino Nicotri, autore di un paio di libri sull’ “affaire”. Grazie a lui si possono fissare alcuni punti fermi:
1) Emanuela NON è stata rapita per essere scambiata con Agca, anzi il “rapimento” i magistrati lo vedono come un depistaggio per coprire i reali motivi della scomparsa.
2) il Vaticano non solo non ha MAI voluto collaborare, ma ha anche mentito e ordinato di mentire. Per esempio, lo ha ordinato al vice capo della sicurezza vaticana ingegner Raul Bonarelli il giorno prima di essere ascoltato come testimone dai magistrati citati. Per questo dirigente della vigilanza vaticana a suo tempo il magistrato ha chiesto uno stralcio per concorso nella scomparsa.
3) Il prefetto Vincenzo Parisi, poi capo della polizia di Stato, ha testimoniato la propria convinzione che la montatura del “rapimento” NON può essere stata tenuta in piedi senza complicità interne al Vaticano.
4) Nelle stesse ore il cui papa Karol Wojtyla lanciava i suoi ripetuti appelli ai “rapitori” perché lasciassero libera la ragazza, monsignor Giovanbattista Re, dirigente di una sezione della Segreteria di Stato, rifiutava l’offerta di monsignor Giovanni Salerno di auscultare, lui che si occupava di finanze del Vaticano, i molti ambienti con i quali aveva contatti, per cercare di capire che fine avesse fatto Emanuela. Ovvero: mentre il Vaticano con la mano destra, cioè con Wojtyla, lanciava appelli buonisti ai “rapitori”, con la mano sinistra, cioè con la Segreteria di Stato, se ne fregava bellamente della sorte della “rapita”. Deve essere stato in ossequio al precetto evangelico “Non sappia la sinistra cosa fa la mano destra“.
5) Cosa straordinaria, ma sulla quale si accanisce significativamente il silenzio di tutti, nessuno chiede ad alta voce come mai il funzionario del parlamento italiano, dottor Gianluigi Marrone, che inviava in Vaticano le rogatorie internazionali dei magistrati italiani desiderosi di interrogare alcuni cardinali, era lo stesso che dal Vaticano, in qualità di suo Giudice Unico, rispondeva “NO!” a quelle sue rogatorie. Cioè a se stesso! E nessuno osa chiedere come mai una sua segretaria, Natalina Orlandi, non abbia mai avuto nulla da eccepire su questo straordinario doppio ruolo, pur essendo lei una sorella di Emanuela.
Ecco, cominciare a fare luce su questi cinque punti individuati da Nicotri sarebbe una buona base di partenza. Dato a Nicotri quello che è suo, c’è poi quell’amica di scuola che quarant’anni dopo racconta di aver avuto da Emanuela la confidenza che in uno dei suoi giri in Vaticano una persona molto vicina all’allora pontefice l’aveva infastidita, “e si trattava di un’attenzione sessuale”.
Figuriamoci se qui si vogliono evocare atmosfere da “Les Clés de saint Pierre”, di Roger Peyrefitte o “Les Caves du Vatican” di André Gide. Però se si vuol fare cronaca, beh, la si faccia come va fatta. E si faccia attenzione alla tempistica.

Il Vaticano come s’è detto ha deciso di riaprire l’“affaire”: “rileggeranno” tutte le carte e i fascicoli. Al di là dei risultati, il cronista con un po’ di esperienza sulle spalle, a naso e per istinto è portato a credere che non sia un caso che la notizia arrivi dopo qualche ora dal fragoroso scoppiettar di polemiche acceso da pesanti dichiarazioni di Georg Gänswein, segretario particolare del papa emerito Joseph Ratzinger. Prodomo di un pesantissimo scontro che si consuma all’interno dei saloni vaticani, dove già sono in corso le “primarie” per il nuovo pontefice. L’“affaire” Orlandi non è il “chiacchiericcio” evocato da papa Francesco. E’ una sorta di “messaggio” che certamente qualcuno ha colto. Del resto, Jorge Bergoglio è un papa “doppio”: metà seguace di San Francesco, metà “nipotino” di Ignazio di Loyola. Magari è una semplice coincidenza.
Leonardo Sciascia, che da sempre è una delle migliori bussole per chi vuole avere tenace concetto, era solito dire che le uniche cose sicure sono le coincidenze…