Ormai è innegabile questa è l’era della piattaformizzazione e della bolla dei filtri. L’avvento dei social media sta rappresentando il terreno ideale dove gestire la comunicazione come strumento di consolidamento del potere. Le piattaforme scandiscono il tempo, creano veridicità all’interno di frame costruiti per “sostituire” il reale con la sua rappresentazione.
La comunicazione viene manipolata e il sociologo, professor Guido Gili, scrive della comunicazione “orizzontale” che avviene attraverso i social media. Questa tipologia di comunicazione può essere infiltrata e pilotata dal basso attraverso un uso sistematico e coordinato dei post e dei messaggi. Non mancano i gruppi di persone che usano i media come cassa di risonanza per le proprie posizioni politiche e che controbattono le tesi a loro sgradite, dando vita a dibattiti pubblici anche piuttosto arditi.
Quest’anno in Italia abbiamo assistito ad una campagna elettorale tutta social e che ha trovato spazio sui canali di messaggistica istantanea. I politici si sono ritrovati a dover fare i conti con il web e con quanti amano i social media.
Il selfie è stato il protagonista di tutta la campagna elettorale. Giovanni Stanghellini, pischiatra e psicoterapeuta, ha parlato di “una nuova ossessione della contemporaneità, un quadro che se non ha rilevanza clinica ha sicuramente dignità sociologica”. Il professore Stanghellini, del Dipartimento di Scienze Psicologiche, della Salute e del Territorio dell’Università di Chieti, autore del volume “Selfie”, qualche tempo fa aveva spiegato all’Ansa che: “Videor ergo sum, esisto in quanto vengo osservato da qualcuno, è questo il nuovo io all’epoca dei selfie. Il sé, insomma, prende corpo solo attraverso lo sguardo dell’altro, solo perché qualcuno guarda il mio selfie”. Un modo diverso di conoscere il proprio corpo, attraverso l’approvazione degli altri.
Pertanto, secondo lo studioso: “Lo smartphone, che consente un numero illimitato di selfie in ogni istante della vita, non è un semplice dispositivo tecnologico estrinseco rispetto al corpo di una persona, come poteva essere una macchina fotografica, è una vera e propria protesi integrata nei nostri corpi, ormai così indispensabile che per molti di noi è difficile immaginare la propria esistenza in assenza di essa”.
Un pensiero in linea con il grande sociologo Zygmunt Bauman che ha analizzato il bisogno delle persone di ricevere apprezzamenti positivi. Basta riflettere sull’importanza dei “like” e dei “cuoricini” che anche noi riceviamo e ci fanno sentire importanti.

ANSA/Facebook Matteo Salvini (NPK)
In questi ultimi mesi tantissimi i selfie di Giorgia Meloni, di Giuseppe Conte, di Matteo Salvini. Un mezzo veloce e rapido per comunicare con il proprio pubblico, mostrandosi sui palchi e nelle piazze.
Il portale Il Temp.it, cosi come tante altre testate giornalistiche, hanno riportato le percentuali dei selfie che i neo eletti hanno pubblicato sui loro social del cuore. A quanto pare la media è stata di un selfie a testa per i 400 deputati e i 200 senatori. Espressioni, sorrisi e pose di ogni tipo.
Ogni politico ha voluto annunciare ai suoi contatti e ai suoi follower di essere presente a Montecitorio o a Palazzo Madama. Le foto sono state condivise e commentate dalla rete e gli utenti non hanno perso l’occasione per trasformarli in meme.
Sembra chiaro che la veicolazione delle immagini e l’accesso alle informazioni avviene principalmente in una dimensione digitale.
E così tra i compiti di chi ha deciso di fare politica a tempo pieno, o di farla per passione o missione, c’è anche quello di saper comunicare attraverso i social network. E chi non conosce linguaggi, stile, vantaggi e svantaggi, potenzialità e rischi? Si affida di solito ad agenzie di comunicazione o professionisti che a tempo pieno, anche grazie all’uso di IPad, smartphone o tecnologie d’avanguardia riescono a monitorare ora dopo ora quanto è stato “postato” da altri sul profilo del politico e come quest’ultimo deve muoversi per essere al centro dell’attenzione e non uscire fuori dal sistema.

La comunicazione politica sbarazzina e ammiccante della prima ora, diffusa a volte con poco stile sui blog, non ha vita facile sui social network, dove regna la diffidenza e dove si è eroi o si va a finire nella polvere nel giro di poche ore.
Quello che in tanti ci tengono a ribadire è che sui social network conta la reputazione. Quella che si è riusciti a costruire e quella che invece è riconosciuta dal pubblico del web. Una buona reputazione può produrre notorietà ma non sempre consenso. Non ci sono automatismi tra l’essere conosciuti ed acquisire la fiducia e un eventuale consenso o ancor meglio un voto.
Oggi, sono cambiati i linguaggi, i codici e i comportamenti e il compito della comunicazione politica è quello di trovare una strategia efficace per utilizzare i nuovi strumenti tecnologici e inviare messaggi chiari e diretti ai propri interlocutori.
La disintermediazione rimane un nemico da combattere e si può combattere solo ritrovando l’etica della politica. Bisogna uscire dalle logiche dello scandalo e dal linguaggio populista per approdare ad un modello comunicativo relazionale che dia credibilità e autorevolezza ai politici e ai loro progetti. Il rischio qual è? Che la comunicazione politica si trasformi esclusivamente in marketing elettorale e “propaganda”. Ma all’Italia serve ripartire e ritrovare la serenità messa a dura prova dalla pandemia e dalla guerra, ma anche da scontri sui media e sui social tra schieramenti avversi.