Giorgia Meloni è in pole position per Palazzo Chigi. I sondaggi sono quasi tutti concordi nel collocare FdI quale primo partito e la coalizione di centrodestra (FdI-Lega-FI) come favorita nelle imminenti elezioni politiche, che si terranno il prossimo 25 settembre.
Abbattuto il governo Draghi con l’assist decisivo di Conte e dei grillini, il centrodestra riunito si prepara alla sfida delle elezioni anticipate. Ma un eventuale premierato di Giorgia Meloni solleva molte preoccupazioni. La tradizione politico-culturale di cui è portatore il suo partito, erede del Movimento Sociale, benché sia passata da scissioni e trasformazioni, resta ancora oggi intrisa di impulsi nostalgici, che trovano voce perfino in alcuni punti della bozza di programma politico presentata da FdI in queste ore.
Molta impressione infine hanno fatto le sue intemerate a squarciagola contro quella che, a suo dire, sarebbe la corruzione se non addirittura la distruzione dei valori tradizionali. Giorgia la donna, la madre, la cristiana, ha letteralmente sbancato sui media, diventando ultra virale. Particolarmente efficace in tal senso la versione spagnola del comizio.

Ma i tempi cambiano. E come fu per la Lega Nord di Bossi, che a nord del Rubicone stregò legioni di operai che si sentivano abbandonati dalle sinistre e dai sindacati, molte delle più archetipali resistenze stanno venendo meno anche nei confronti di Giorgia Meloni e del suo partito. Spaesamento, crisi economica e un sostanziale vuoto di grandi progetti politici, hanno trasformato l’insofferenza in fatalismo. E allora perché non provare? È da anni diventato meloniano perfino Giovanni Lindo Ferretti dei CCCP. Perché mai altri dovrebbero sentirsi a disagio?
E se sul fronte interno, al momento, Giorgia Meloni sembra reggere contro appelli e richiami sui rischi “di questa destra al governo”, la leader di FdI sa bene che la vera arena nella quale deve misurarsi è quella internazionale. Perché un conto è vincere le elezioni, un altro è confrontarsi con le sfide globali, dove si esiste solo se si agisce in squadra con gli alleati internazionali. E la carta che Giorgia Meloni sta giocando in questo senso è quella dell’Atlantismo. Su questo punto, la guerra in Ucraina le ha offerto un prezioso spazio di movimento per la costruzione di una accountability atlantista.
“La politica estera di un governo a guida Fratelli d’Italia resterà quella di oggi. Per me è una condizione. E non credo che gli altri vogliano metterla in discussione”. E ancora: “se noi non mandiamo le armi, l’Occidente le continuerà a mandare, e ci considereranno un Paese poco serio. Il problema sarà nostro. Bisogna essere lucidi. Non possiamo pensare di essere neutrali senza conseguenze”. Così Giorgia Meloni alla Stampa. Una posizione netta, ribadita più volte e non passibile di interpretazioni. Perfettamente in linea con la posizione rigorosa di appoggio da opposizione responsabile al governo Draghi, il più atlantista d’Europa, sulle misure intraprese riguardo all’invasione russa dell’Ucraina.
Tutto bene quindi? Assolutamente no! Giorgia Meloni ha costruito il suo consenso cavalcando senza risparmio l’antieuropeismo, il sovranismo più sfrenato, il nazionalismo nostalgico. In Europa, FdI sta con la schiera degli euroscettici, che lavorano contro l’integrazione europea. Tra i suoi compari ci sono Marine Le Pen e Viktor Orban. Con quest’ultimo ha sviluppato un profondo rapporto politico, celebrato con la visita di Meloni a Budapest qualche anno fa.
Orban è non solo una spina nel fianco della UE, ma è il capofila di quell’ormai tristemente noto Gruppo di Visegrad, che rappresenta una specie di distaccamento anti Bruxelles. Molti osservatori considerano il Gruppo Visegrad una sorta di enclave russa in UE. In effetti, Orban è uno dei più attivi “portavoce” degli interessi di Putin in Europa. Vedasi, solo come ultimo esempio, la posizione di contrasto dell’Ungheria alle sanzioni che la UE ha comminato alla Russia in seguito alla criminale invasione dell’Ucraina.

Lungo è anche l’elenco delle votazioni al Parlamento UE con cui FdI si è posto in contrasto con le forze europeiste, seguendo invece la deriva sovranista. Impossibile mettere in fila tutti gli esempi. Ma ne basta uno su tutti, per la sua enorme importanza per il futuro del Vecchio Continente: il provvedimento riguardante il NextGenerationEU, su cui si basa il PNRR. Fratelli d’Italia ha votato contro questo provvedimento.
E buttando lo sguardo fuori dalla UE, non possiamo dimenticare l’appoggio di Giorgia Meloni a Donald Trump, il Presidente USA che più ha tradito l’Atlantismo con le sue posizioni isolazioniste, ostili alla UE, e tanto carezzevoli verso la Russia del dittatore Putin.
Insomma, non si può essere davvero atlantisti se non si è europeisti e viceversa. E l’appoggio incondizionato all’Ucraina è condizione necessaria ma non sufficiente per essere atlantisti e degni rappresentanti dell’Occidente. Mentre sull’europeismo, Giorgia Meloni sta a zero. Ma se anche per assurdo volessimo assumere per buona una sua inversione a 180 gradi su tutte queste tematiche, dobbiamo tenere presente chi sono i compagni di viaggio: Salvini e Berlusconi. Il primo è a capo di un partito simbolo dell’anti europeismo e completamente sdraiato su posizioni filoputiniane. Il secondo possiede un partito mai stato davvero liberale e che ora è ridotto a piccola dependance del sovranismo e del bigottismo più becero. E senza di loro, Giorgia Meloni non ha i numeri per fare niente. Quindi no, la sua premiership non dà affatto garanzie in termini di Atlantismo. Anzi!