“Le nostre abitudini vanno cambiate ora”, ha puntualizzato il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, che ha annunciato delle misure restrittive in tutta Italia per far fronte all’emergenza Coronavirus. Non c’è più una zona rossa, adesso l’Italia è tutta zona protetta a causa del forte aumento dei contagi e dei decessi. ‘Io resto a casa’ è il nome del provvedimento entrato in vigore martedì scorso, in cui attraverso le ulteriori misure restrittive gli spostamenti saranno possibili solo per motivi di carattere lavorativo, necessità o salute. Sono 20.603 i contagi avvenuti in tutta la penisola italiana, al 15 marzo, da Nord a Sud. E’ un dato allarmante che aumenta giorno dopo giorno, posizionando il bel paese al secondo posto della classifica globale come numero di persone contagiate dopo la Cina che ne conta 80.956. Dopo l’Italia, segue l’Iran. E’ un’emergenza globale che si propaga rapidamente a macchie rosse, estendendosi rapidamente, e azzerando completamente ogni barlume di normalità attraverso restrizioni necessarie per contrastare questo virus ancora sconosciuto all’uomo ma che ha già ucciso oltre 1800 persone Italia. Questa emergenza di carattere mondiale è stata definita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità come “un nuovo virus che si diffonde in tutto il mondo e contro il quale la maggioranza degli uomini non ha difese immunitarie”. Una pandemia.
L’emergenza ha portato inevitabilmente anche alla sospensione dei colloqui in carcere per questioni come misura di contenimento per il Coronavirus. La decisione non è stata bene accolta dai detenuti che, da Nord a Sud dello stivale, hanno manifestato il proprio dissenso attraverso vere e proprie rivolte. I detenuti di 27 carceri italiane hanno iniziato a creare gravi disordini e bruciando lenzuoli e materassi. Alcuni detenuti reclusi negli istituti di pena di Verona e Alessandria hanno assaltato le infermerie, dove hanno assunto farmaci. Quattro detenuti a Verona, Alessandria, Ascoli Piceno e Parma sono morti, altri sono stati ricoverati. Nell’istituto penitenziario di Foggia, alcuni detenuto sono riusciti ad evadere, altri sono stati catturati. Otto sono morti per soffocamento e overdose da psicofarmaci. Molti, invece, sono saliti sul tetto, dopo aver frantumato le finestre appiccando incendi. Il carcere di Modena è stato completamente devastato; alcuni detenuti sono entrati all’interno dell’ufficio matricole e hanno bruciato gli atti. Non esiste più alcun documento. Poi sono entrati in infermeria, hanno saccheggiato l’infermeria. Tre detenuti sono morti per l’uso di sostanze stupefacenti. E’ stata aperta un’inchiesta dalla Procura di Modena per resistenza a pubblico ufficiale e violenza privata. Quattro detenuti si trovano attualmente in prognosi riservata e 18 in totale sono stati curati per disintossicazione.
Nel carcere di Pavia sono stati sequestrati due agenti di polizia penitenziaria, poi liberati nella notte, anche in questo caso, i detenuti sono scesi dal tetto; a Roma, a Rebibbia, venti donne hanno bloccato via Tiburtina, di fronte al carcere. Anche a Regina Coeli è esplosa la protesa, dove in alcuni bracci della struttura sono esplosi dei roghi. Nel carcere di San Vittore, alcuni detenuti sono saliti sul tetto urlando “Libertà, libertà”. Una rivolta che ha coinvolto in modo concatenante e con lo stesso modus operandi molte altre strutture italiane. Scene simili si sono verificate a Napoli, Torino, Salerno, Frosinone, Lecce, Vercelli, Trapani, Prato, Pavia e poi ancora Campobasso, Bologna, Menfi e poi Aversa, Palermo, Siracusa. Cosa ha fatto scattare questa molla? Qual è stato il collante che da Nord a Sud ha unito questa rivolta? Si è trattato di episodi isolati oppure no? E’ stato solamente un problema legato ai colloqui e alle restrizioni?
Questa situazione riporta alla mente le Pantere Rosse, un collettivo di detenuti che nella prima metà degli anni ’70 ha svolto un’intensa attività di militanza all’interno dei penitenziari italiani. Ma chi erano esattamente le Pantere Rosse? Perché le recenti rivolte può vagamente ricordare un episodio risalente agli anni ’70 ormai desueto? Il tutto nasce all’interno delle carceri, nel 1969, con delle resistenze pacifiste che si limitavano allo sciopero della fame ed erano circoscritte ad una resistenza passiva. Successivamente, però, le proteste assunsero una forma più radicale all’interno delle carceri delle più grandi città d’Italia. Il clima pian piano divenne teso, i detenuti devastarono i reparti interni, distrussero tutto. Il governo rispose con il pugno di ferro. Nel febbraio del 1974, a Firenze, la protesta si conclude con un morto e otto feriti, ad Alessandria invece, esattamente tre mesi dopo, con sette morti, quattordici feriti e cinque ostaggi.
I detenuti vogliono ottenere migliori condizioni di vivibilità, di remunerazione lavorativa, di un aumento della socialità interna verso l’esterno. Chiedevano inoltre l’amnistia e il condono, che otterranno nel 1970. Alla fine del 1975, nel carcere di Regina Coeli, a Roma, avviene un’evasione di massa. Pochi mesi dopo si verificheranno altre evasioni dalle carceri di Firenze, Treviso, Benevento. ” Noi non abbiamo scelta: o ribellarsi e lottare o morire lentamente nelle carceri, nei ghetti, nei manicomi, dove ci costringe la società borghese, e nei modi che la sua violenza ci impone. Contro lo stato borghese, per il suo abbattimento, per la nostra autoliberazione di classe, per il nostro contributo al processo rivoluzionario del proletariato, per il comunismo, rivolta generale nelle carceri e lotta armata dei nuclei esterni”. Era questo il messaggio che nel 1974 veniva promosso tramite altoparlanti davanti alle carceri di Milano, Roma e Napoli, che si autodistruggevano esplodendo subito dopo la trasmissione. Oggi come ieri, i detenuti continuano a compiere le stesse azioni nei medesimi istituti di pena con il fine di imporre i loro diritti. Si tratta di una semplice coincidenza di carattere storico oppure c’è una sottile linea che collega questi due poli?