Dal 20 gennaio 2025, l’America non è più un paese normale.
Non è più la più grande democrazia del mondo, la più importante potenza economica globale dalla quale farsi ispirare, e forse nemmeno la più grande potenza militare dalla quale farsi proteggere. Il presidente Donald Trump la sta trasformando giorno dopo giorno, a velocità elevata, in un immenso laboratorio globale e sperimentale a sua immagine e somiglianza. Lo scopo è smantellare tutto quello che negli ultimi 50 anni è stato raggiunto sul piano dei diritti sociali, ma soprattutto distruggere un’amministrazione federale giudicata troppo invasiva, obsoleta, sovrabbondante e inefficiente. Compresa la Costituzione scritta, sulla quale tutti i presidenti giurano nel giorno del loro insediamento.
Ma questa volta è diverso. Donald Trump ha giurato, ma un secondo dopo ha cominciato a firmare centinaia di decreti esecutivi con i quali, ignorando praticamente la presenza e la divisione dei poteri con Camera e Senato, governa da 30 giorni.
Per il suo primo “tagliando di controllo” o check-up presidenziale ha scelto le giornate del CPAC, la grande assemblea dei super conservatori che si è appena conclusa in Maryland.
Normalmente, però, se si tratta di un’auto, questi tagliandi o ispezioni li fanno meccanici specializzati e certificati da un’autorità dei trasporti. Se si tratta del check-up di una persona, ci si affida a un ospedale e a un medico altamente qualificato. Se si tratta dello stato economico di un paese, si ricorre a economisti di fama.
Questa volta, però, è diverso. Il primo tagliando dei 30 giorni, Trump se lo è fatto da solo. È un tagliando all’America, ai suoi problemi interni e internazionali, e non ci sono standard con valori alti e bassi con i quali rapportarsi. I valori sono quelli che dice il presidente e basta.
E nel tagliando di Trump, in questi giorni, l’America è già cambiata e sta andando benissimo, spinta dal suo pensiero unico.
Ma questo presidente degli Stati Uniti, anche nel primo mandato, ha sempre avuto un rapporto disturbato con la verità e con la realtà.
Trump la distorce, la esagera, la cambia e, alla fine, mente. È convinto che “la disinformazione dei media danneggia” e che la sua “realtà alternativa, ma falsa”, invece, premi.
Come i 50 milioni di dollari in preservativi spediti da USAID a Hamas, che sono un palese falso utilizzato per giustificare la chiusura in blocco dell’agenzia umanitaria americana. O i tagli dell’8% al Pentagono con la rimozione di generali e ammiragli per dimostrare che anche lì c’è corruzione e discriminazione contro la popolazione bianca che non fa carriera militare. E questo vale anche per i ministeri dell’educazione e della salute, per la sicurezza dei confini, nei quali ha messo alla guida solo amici miliardari, bravi nel gestire le loro aziende o personaggi popolari molto conservatori e fedelissimi, ma anche incompetenti.
In tutto quello che Trump fa come presidente, però, non c’è nulla di criminale o sbagliato fino a questo momento.
Lui da 30 giorni sta azzerando le regole, facendo uno “stress test” del potere presidenziale che nessuno aveva mai tentato prima.
È convinto che il presidente abbia ricevuto dalla Corte Suprema un diritto assoluto e si muove governando solo con decreti, sfidando l’incostituzionalità.
I tribunali hanno ricevuto 79 cause contro i suoi editti imperiali. In alcuni casi, le misure draconiane dei tagli affidati a Elon Musk sono state bloccate, congelate o rinviate al giudizio di corti superiori, ma in altre Trump ha avuto il via libera, come lo smantellamento di USAID e la chiusura di migliaia di uffici federali e di controllo sul conflitto di interessi.
Il primo tagliando di Trump che porta ai suoi 100 giorni porta a vedere non solo l’America, ma un intero pianeta guidato da dittatori autentici come Putin, Xi Jinping o il principe dell’Arabia Saudita, che si dividono gli affari globali senza il rispetto dei confini, dell’autodeterminazione e delle alleanze di difesa collettive.
In altre parole, se Xi Jinping punta davvero ad annettere Taiwan abolendo lo status quo dei suoi sistemi, è difficile prevedere un intervento militare americano in difesa di Taipei, ma soprattutto difficile la militarizzazione di altri paesi dell’area per fermare l’armata cinese. Putin lo ha fatto con la Crimea e Pechino potrebbe ridurre Taiwan come Hong Kong.
Trump crede che “Make America Great Again” guardando solo agli interessi nazionali e scontrandosi con alleati storici, serva ad accrescere la reputazione americana a livello internazionale. Invece, è il contrario. Chiedete in giro. L’America si discredita in questo modo e perde la reputazione democratica se tutto si riduce ad un affare o ad un prezzo. E la Camera e il Senato non sono più gli strumenti per vigilare sul presidente e sulla democrazia.
Trump il prezzo lo ha già messo sui minerali rari dell’Ucraina e chiede anche l’uscita di scena di Zelensky, “dittatore” che non vuole andare al voto. Lui lo spiazza dicendo: “Proteggeteci facendoci entrare nella NATO e in Europa. E se questo porta alla pace e alla salvezza dell’Ucraina, lascio subito…”. Ma questo nemmeno l’aspirante imperatore Trump può prometterlo, così come assicurare che con la guerra dei dazi e l’aumento della disoccupazione per i tagli di massa federali, i prezzi al consumo per gli americani si abbasseranno. Il secondo tagliando di marzo potrebbe addirittura avere altre brutte sorprese e portare all’implosione della sua Casa Bianca se non al caos.