Molti anni fa, due diplomatici europei, italiani, se ricordo bene, furono fermati dai servizi segreti israeliani mentre scattavano fotografie di un grande recinto boscoso creato per proteggere un’aeroporto militare non lontano da Tel Aviv. La vicenda fu messa a tacere rapidamente; i due fecero ritorno in patria e altri strumenti furono, verosimilmente, usati per controllare le attività riservate di un paese amico. Talmente amico, ho mostrato in “Mossad base Italia” (ed.Il Saggiatore), che i 007 di Tel Aviv sono da sempre di casa nella nostra penisola, spesso scelta per operazioni speciali che vanno dal rapimento del traditore israeliano Vanunu che raccontò al Times di Londra la storia delle bombe nucleari fabbricate e custodite nella base di Dimona (deserto del Negev) alle iniziative anche recenti contro l’Iran.
Alla fine degli anni Settanta, quando approdai per la prima volta a Gerusalemme, il giornalista per essere accreditato doveva sottoscrivere le regole della censura israeliana ereditate dai tempi in cui la Palestina era sotto Mandato britannico e i pericolosi terroristi erano ebrei in lotta per creare quello che sarebbe diventata Israele, oggi la più grande potenze militare del Vicino Oriente, uno dei pochi con abbondanza di armi nucleari e soprattutto con i mezzi per farli arrivare a destinazione. Il documento che dovetti firmare, quattro o cinque pagine fitte fitte, proibiva persino di pubblicare notizie di scioperi dei trasporti pubblici senza farle visionare al competente ufficio governativo incaricato di vigilare sulla sicurezza del paese.
Negli anni Ottanta le regole furono aggiornate e riguardavano soprattutto la televisione e i collegamenti live da zone di confine. Il mondo era cambiato. Israele si sentiva più sicuro e Mossad e Shin Bet (la prima una specie di Cia americana, responsabile per lo spionaggio e le azioni all’estero; il secondo, come la Fbi di Washington, incaricato della sicurezza interna) molto più preparati. Godevano, e godano di due elementi fondamentali molto importanti: Vengono costantemente introdotte nuove tecnologie di sorveglianza; E gli agenti sono spesso cittadini o originari dei paesi da sorvegliare, controllare e colpire come l’Iran di oggi.
Secondo la rivista online “+972 Magazine” la censura militare di Tel Aviv ha impedito nel 2023 la pubblicazione di 613 articoli da parte di organi di informazione in Israele, stabilendo un nuovo record per il periodo da quando ha iniziato a raccogliere dati nel 2011. Sono stati anche censurati parti di altri 2.703 articoli, che rappresentano la cifra più alta dal 2014. In totale, l’esercito ha impedito che le informazioni venissero rese pubbliche in media nove volte al giorno. Alcuni divieti, in tempi di guerra, sono logici: non si deve raccontare se missili o droni abbiano colpito bersagli strategici; si fanno il numero dei morti ma non necessariamente dei feriti; non vengono mostrate immagini delle zone colpite, soprattutto quando si tratta di bersagli strategici all’interno di Israele.
“La legge israeliana – scrive Haggai Matar, giornalista e attivista politico pluripremiato, nonché direttore esecutivo di +972 Magazine – richiede a tutti i giornalisti che lavorano in Israele o per una pubblicazione israeliana di sottoporre qualsiasi articolo che tratti di “questioni di sicurezza” al censore militare per la revisione prima della pubblicazione, in linea con le “norme di emergenza” emanate dopo la fondazione di Israele, e che rimangono in vigore. Queste norme consentono al censore di censurare completamente o parzialmente gli articoli sottopostigli, così come quelli già pubblicati senza la sua revisione. Nessun’altra autoproclamata democrazia occidentale gestisce un’istituzione simile”.
Qualche collega più anziano di me ricorda le veline del MInculpop, il ministero della cultura popolare fascista in Italia.
“L’accresciuta interferenza del governo nei media israeliani – scrive Matar – non assolve la stampa mainstream dal suo fallimento nel riferire sulla campagna di distruzione dell’esercito a Gaza. La censura militare non impedisce alle pubblicazioni israeliane di descrivere le conseguenze della guerra per i civili palestinesi a Gaza, o di presentare il lavoro dei reporter palestinesi all’interno della Striscia. La scelta di negare al pubblico israeliano le immagini, le voci e le storie di centinaia di migliaia di famiglie in lutto, orfani, feriti, senzatetto e persone affamate è una scelta che i giornalisti israeliani fanno da soli”.
Questa scelta influisce anche su quella parte della popolazione ebraica israeliane che non accetterebbe il massacro della popolazione palestinese di Gaza o degli assalti quotidiani compiuti dai militari e da civili israeliani in Cisgiordania ai villaggi palestinesi. Hamas, organizzazione islamista è il nemico di Israele ma sono i palestinesi tutti, donne, bambini, anziani, a pagare il prezzo dell’odio che il premier Netanyahu e il suo governo cavalcano giorno dopo giorno con un progetto di sterminio che appare sempre più evidente. Sterminio ed eliminazione sistematica di chi racconta. Gli attacchi israeliani in tutta Gaza dallo scorso ottobre hanno ucciso 180 giornalisti e operatori dei media. Sono inclusi nella cifra tre giornalisti uccisi ieri.