L’Olanda, dove si è votato ieri, è stato il primo dei 27 a recarsi alle urne per eleggere il nuovo Parlamento Europeo. Oggi votano repubblica Ceca e Irlanda. L’Italia sarà tra quelli che chiuderanno, domenica 9 sera. Il motto dell’Ue, “Uniti nella diversità”, trova conferma nel rispetto che il meccanismo unionale di voto da sempre documenta per le tradizioni nazionali in fatto di giorni elettorali.
Una premessa d’obbligo: il Parlamento uscente contava 705 deputati, il prossimo salirà a 720. Il confronto tra le dimensioni dei gruppi nella IX e X legislatura, deve tenerne conto.
I risultati del voto si conosceranno alla fine del ciclo elettorale; nel frattempo possono circolare gli exit poll. Per quanto se ne sa, in Olanda le cose sono andate bene per i partiti unionisti e non troppo bene per il movimento di estrema destra “della Libertà”, Pvv, controllato dallo xenofobo Geert Wilders, che nelle legislative di novembre sorprese affermandosi come primo gruppo nel parlamento di un paese, l’Olanda, considerato società tra le più aperte e liberali dell’Europa. Al momento a laburisti e verdi, guidati da Frans Timmermans, sono assegnati 8 seggi contro i 7 del Pvv. È però vero che, se il risultato fosse confermato, il Pvv avrebbe guadagnato, rispetto al precedente voto europeo, ben 6 seggi e il ticket progressista ne avrebbe perso 1. Ad avere 1 seggio in meno sarebbero anche i liberali con 4 seggi e i popolari con 3, mentre guadagnerebbero 1 seggio gli europeisti liberali di sinistra andando a 3. Da sottolineare i 2 seggi al Movimento dei contadini: vandea olandese al tempo dell’intelligenza artificiale. In ultimo, ottima notizia per chi non ama il populismo: fuori dal Parlamento Europeo, dove aveva 4 seggi, il Forum per la democrazia (FvD) di Thierry Baudet, i cui elettori hanno preferito puntare sul governativo Pvv.
Il voto olandese conferma quanto vanno ripetendo le indagini demoscopiche sulla volontà dei potenziali 373 milioni di votanti: confermare la maggioranza uscente ma rafforzare le opposizioni.
Secondo le previsioni pubblicate due giorni fa da EuroNews, guadagnano i seguenti gruppi: La Sinistra, Popolari (Epp), Conservatori e riformisti (Ecr), Identità e democrazia (Id), Non iscritti. L’incremento maggiore toccherebbe a questi ultimi in termini assoluti (+29) e percentuali (+ del 50%), il che la dice lunga sulla crisi che il regime dei partiti comincerebbe a denunciare anche a livello dell’Ue, ribadendo un fenomeno di vecchia data nei singoli stati membri. Gli altri gruppi perderebbero, rispetto alla legislatura terminata, chi più (i liberali di Renew Europe, Re, -21), chi meno (S&D, socialisti e democratici, – 4).
Altre le previsioni fatte circolare da Europe Elects a fine maggio, in base a una sorta di media tra le rilevazioni circolanti. Epp resterebbe il primo partito, con 180 eletti (+3). A debita distanza (138 seggi contro 141 precedenti) S&D, con gli slovacchi di Hlas esclusi dal conteggio. Re avrebbe 86 seggi (-15), sempre che resti nel gruppo l’olandese Vvd, ora alleato nel governo nazionale dell’estremista Pvv aderente a Id.
In quanto alla destra, il sistema delle appartenenze dei partiti nazionali ai due gruppi del Parlamento Europeo potrà riservare sorprese, visto che tra le ipotesi circola l’eventualità di una confluenza tra Id e Ecr. Quattro gli elementi in base ai quali si deciderà: quanti eletti avranno rispettivamente i partiti di Meloni e Le Pen e quale tra i due risulterà leader nella rappresentazione della rampante destra europea dando per scontato il maggior potere contrattuale della Francia rispetto all’Italia, se Fidesz (al governo in Ungheria) aderirà a un gruppo parlamentare e a quale, se la recente cacciata degli estremisti tedeschi di Afd da Id (il taglio costa 16 seggi) avrà effetti significativi in termini di contagio.
Ecr si attesterebbe a 75 seggi, guadagnando, nonostante l’abbandono del rumeno Aur, 8 seggi grazie soprattutto al successo previsto di Fratelli d’Italia. Se Meloni riuscisse a inserire Fidesz in Ecr, il gruppo acquisirebbe ulteriore ampiezza e status, anche se rischierebbe di trovarsi il ceco Ods, piuttosto centrista, di traverso.
In quanto alla sinistra, il gruppo formato da Verdi e Alleanza Libera (G/Efa) è dato a 56 seggi rispetto ai 71 che aveva nell’uscente parlamento. La Sinistra nel Parlamento Europeo (Gue/Ngl- Left) guadagnerebbe 2 seggi arrivando a 39 deputati. Nelle migliori tradizioni della sinistra estrema, è in previsione una scissione del gruppo: gli uscenti si unirebbero ai tedeschi Bsw, adesso tra i Non Iscritti. Questi sono dati a 76 seggi rispetto ai 51 della IX legislatura.
Le proiezioni di Europe Elects assegnano una confortevole maggioranza al blando centro riformista e socialdemocratico. Sommando i voti di Epp, S&D e Re si arriva a 404 deputati, poco più del 56% dell’emiciclo. Il numero è largamente sufficiente per l’elezione del(la) presidente del Parlamento (la metà più 1 a scrutinio segreto) e per l’approvazione de(la) presidente della Commissione.
Anche secondo sondaggi meno generosi verso i centristi, quelli del bocconiano European Institute for policy making, con popolari a 183 seggi, socialisti e democratici a 131, Renew Europe a 84, si avrebbero per la maggioranza 398 voti, ben sopra i 361 necessari. Il margine ampio è necessario a tutelare la maggioranza da avversioni personali o mal di pancia politici verso i candidati, che hanno in passato generato franchi tiratori.
Alla luce degli avvenimenti, attendendo la nottata tra domenica e lunedì, si aggiungono alcune altre riflessioni.
La spaccatura/confronto tra unionisti e nazionalisti è evidente. È anche un conflitto generazionale e territoriale: dove ci sono giovani cittadini gli unionisti marciano spediti. Il dato influenza anche la partecipazione al voto: già nel 2019 la partecipazione si era leggermente incrementata superando la barra psicologica della metà (50,66 %), restando comunque fiacca, anche a causa della partecipazione sotto il 40% in ben sette stati membri.
Sembra che gli unionisti siano più motivati dei nazionalisti a recarsi alle urne, un dato che influenzerebbe parecchio il risultato del voto. Il che spiega i continui appelli di Meloni per radio e tv ad andare al voto.
La volatilità continua a caratterizzare l’attuale fase politica nei 27. Segnala incertezza sul futuro, scarso senso di appartenenza ideale e ideologica, disponibilità all’influenza da terzi e fake. La volatilità si esprime per lo più all’interno di un ambito politico, benché salti anche lo steccato.
È certo che l’Ue è nel mezzo di molte sfide, la più evidente le guerre ai confini orientale e meridionale. Altrettanto certo che nessuno dei suoi piccoli membri sia in grado, da solo, di tutelare i propri interessi e corrispondere ai rischi che derivano da un sistema di rapporti internazionali sempre più globale e tecnologizzato, dove le dittature sono tornate ad essere aggressive fuori dai confini: ultimo esempio le interferenze in corso degli hackeraggi russi nelle elezioni Ue. Auspicabile che gli elettori tirino conclusioni corrette da queste due banali considerazioni.