Un amico nuovo è meglio di due vecchi. Stravolgendo il titolo di una commedia di Aleksandr Ostrovskij, padre della moderna drammaturgia russa, viene fuori una massima che sembra cogliere lo spirito dei tempi tra Mosca e Pechino.
Nella capitale cinese è appena sbarcato Vladimir Putin, per una tre-giorni che è la sua prima missione ufficiale all’estero dopo la recente riconferma elettorale al Cremlino, terza di fila e quinta in assoluto per lo “zar” pietroburghese. Una maniera di ricambiare la stima dell’omologo Xi Jinping, che a marzo dell’anno scorso aveva scelto Mosca per la prima visita di Stato dopo aver a sua volta incassato un inedito terzo mandato a capo della Repubblica Popolare.
La tratta Mosca-Pechino negli ultimi anni è diventata trafficatissima: dal 2014 il Dragone è stata la meta non ex-sovietica preferita da Putin (dodici visite), mentre la Russia rimane lo Stato estero più visitato da Xi (nove volte).
La frequenza delle visite è aumentata a dismisura all’aggravarsi della questione ucraina. Non è un caso che le fondamenta della “amicizia senza limiti” annunciata nel febbraio 2022, pochi giorni prima dell’invasione, siano state poste proprio all’indomani dello scoppio della rivoluzione filo-occidentale a Kyiv del 2014. Fu allora che la Russia di Putin, finita nel mirino dell’Occidente per l’annessione della Crimea, iniziò il suo progressivo allontanamento dai due partner principali – Stati Uniti ed Unione Europea – per abbracciare la Cina di Xi (e venderle sempre più energia).
Tra i due leader ormai si sprecano le dichiarazioni di affetto, tanto da spingere nel 2019 Xi a definire Putin come il suo “miglior amico”. E nel solco della tradizione, lo zar ha deciso di affidare all’agenzia di stampa cinese Xinhua un nuovo panegirico dell’alleanza sino-russa alla vigilia del suo arrivo a Pechino.
“Le relazioni tra Russia e Cina hanno raggiunto il più alto livello di sempre e, nonostante la difficile situazione globale, continuano a rafforzarsi”, dice Putin nell’intervista. Doveroso l’encomio personale a Xi, definito “un leader saggio e visionario con uno “stile di comunicazione rispettoso, amichevole, franco e allo stesso tempo commerciale”.

Stima personale a parte, qualche piccolo intoppo è in realtà già iniziato ad emergere. Dopo due anni di crescita ininterrotta, ad esempio, a marzo l’export cinese verso la Russia è crollato di oltre il 14% rispetto a un anno fa, sebbene l’interscambio complessivo sia aumentato di circa il 5%.
Sul commercio bilaterale incombe la pesante scure delle sanzioni statunitensi, che non si limitano a colpire le aziende e gli enti pubblici russi ma anche quei soggetti – pubblici o privati – che aiutino Mosca ad aggirare gli stretti paletti posti dall’Occidente. All’inizio dell’anno le visite parallele a Pechino della segretaria al Tesoro Janet Yellen e del segretario di Stato Antony Blinken sono servite a ribadire il monito: chiunque aiuti Mosca a sostenere lo sforzo bellico è nemico giurato di Washington (e del dollaro). Dalle parole ai fatti, a inizio mese nella blacklist del Dipartimento del Tesoro di Washington sono finite anche diverse imprese cinesi che avrebbero fornito attrezzature aerospaziali, manifatturiere e tecnologiche a duplice uso militare-civile.
I colossi bancari cinesi hanno contestualmente iniziato a stringere i cordoni della borsa temendo che qualche improvvido passo falso gli precluda l’accesso ai mercati occidentali. Questione di priorità. Le statistiche dopotutto parlano chiaro: l’interscambio commerciale attuale tra USA e Cina vale poco meno di 760 miliardi di dollari – tre quarti dei quali costituiti dall’export cinese. Pur in grande spolvero, quello tra Cina e Russia vale appena un terzo: $240 miliardi.
La visita di Putin servirà anche a studiare soluzioni al problema, rendendo le transazioni proibite difficilmente rintracciabili dall’occhio di falco americano. Come? Ad esempio facendole transitare per un Paese terzo. Gli esperti si sono concentrati soprattutto sul recente boom dell’export cinese verso Kirghizistan, Kazakistan e Tagikistan, aumentato rispettivamente del 164%, 77% e 118%. Joseph Webster, senior fellow dell’Atlantic Council, fa notare come l’impennata del commercio con le tre ex repubbliche post-sovietiche – notoriamente in ottimi rapporti con Mosca – sia trainata proprio da tecnologia a doppio uso militare-civile. “Non c’è alcuna ragione apparentemente legittima per questa impennata drammatica”, scrive Webster, aggiungendo che molto di quel materiale “viene quasi certamente dirottato verso la Russia”.
Dal canto suo, il Dragone smentisce da tempo qualsiasi coinvolgimento nella guerra, professandosi neutrale e avendo persino proposto un suo piano per la pace in 12 punti.
A Pechino si parlerà anche di decoupling. La delegazione russa comprende lo stesso gruppo di esperti del ministero delle Finanze e della Banca centrale che dal 2014 è al lavoro per affrancare il sistema finanziario russo da dollaro ed euro, sposando invece lo yuan cinese (che al dicembre 2023 rappresentava più di un terzo degli scambi commerciali russi con l’estero).

Tra amici, è chiaro, ci si aiuta a vicenda. E così, mentre le aziende del Dragone davano ossigeno all’economia di guerra russa, al contempo beneficiavano – e continuano a farlo – di rifornimenti a prezzi stracciati di gas russo tramite il gasdotto “Power of Siberia”.
L’allineamento sino-russo è favorito anche dalla retorica del Cremlino, che ricorre spesso alle analogie tra le “sanzioni illegali” dell’Occidente contro la Russia e i tentativi della Casa Bianca di boicottare l’industria cinese. L’attualità corre decisamente in aiuto, dato che questa settimana Biden ha introdotto dazi su 18 miliardi di dollari di beni di importazione cinese, in linea con il predecessore – e rivale – Donald Trump, che ne aveva già bersagliati oltre $300 miliardi, dal settore dei pannelli solari a quello dei veicoli elettrici (dove le tariffe sono passate dal 25% al 100%), passando per i semiconduttori.
Putin ha ribadito a Xinhua che Russia e Cina intendono “rafforzare il coordinamento della loro politica estera per costruire un ordine mondiale giusto e multipolare”. Lontano, soprattutto, dagli occhi indiscreti dell’Occidente.